A fine 2019, Kansas City, nel Missouri, ha compiuto una scelta radicale: diventare la prima grande città statunitense a rendere gratuiti i trasporti pubblici per tutti. Nessun biglietto per autobus e tram, nessun abbonamento mensile. Una rivoluzione che si proponeva di trasformare la mobilità urbana in uno strumento di giustizia sociale. Ma a distanza di tempo, quella che era stata salutata come una mossa coraggiosa solleva interrogativi complessi su sostenibilità economica, efficacia e impatti a lungo termine.
L’iniziativa è nata con l’intento dichiarato di favorire l’accesso al trasporto per le fasce più vulnerabili della popolazione: lavoratori a basso reddito, studenti, persone anziane. Eliminando la barriera del costo del biglietto, il trasporto pubblico avrebbe potuto diventare un bene comune, accessibile e inclusivo. I primi dati sembrano confermare la bontà dell’intuizione. Nelle settimane successive all’abolizione delle tariffe, si è registrato un incremento significativo dei passeggeri, in particolare nei quartieri meno serviti o abitati da comunità marginalizzate. In molte zone della città si è cominciato a vedere un numero maggiore di persone in movimento, con un impatto positivo sulla vita sociale e sull’accesso ai servizi.
Tuttavia, non tutto si è rivelato semplice. La gratuità del servizio ha comportato un aumento della pressione sul sistema di trasporto. Più passeggeri significano più corse, maggiore usura dei mezzi, più personale da impiegare. Di conseguenza, i costi operativi sono aumentati: la misura costerà 9 milioni all'anno di mancati introiti. Se prima la vendita dei biglietti contribuiva a finanziare una parte delle spese, ora l’intero sistema dipende dai fondi pubblici. E questa dipendenza apre a nuovi rischi: la sostenibilità finanziaria dell’iniziativa è legata alla volontà politica, alle scelte di bilancio, agli equilibri amministrativi.
C’è poi un altro aspetto da considerare, secondo la testata giornalistica Bloomberg. Rendere il trasporto gratuito non è sufficiente, se il servizio non è efficiente. In assenza di un piano di potenziamento, si rischia di rendere gratuito un servizio che continua a non soddisfare le esigenze dei cittadini. Molti utenti, infatti, lamentano ritardi, sovraffollamento e una copertura insufficiente in alcune aree. Inoltre, se l’obiettivo è anche ambientale – cioè ridurre l’uso dell’auto privata – i segnali sono contrastanti: è vero che alcune persone hanno abbandonato l’auto per salire sull’autobus, ma in altri casi chi prima si spostava a piedi o in bicicletta ha preferito il mezzo gratuito, generando un paradossale aumento delle emissioni.
Kansas City si è posta come laboratorio di una nuova idea di città. La sua esperienza mostra che rendere gratuiti i trasporti pubblici può produrre effetti positivi, specie in termini di equità e inclusione. Ma dimostra anche che la misura, da sola, non basta. Per funzionare davvero, va accompagnata da investimenti strutturali: potenziamento delle linee, mezzi più moderni, infrastrutture dedicate. E, soprattutto, deve far parte di una strategia urbana più ampia, capace di integrare mobilità, sostenibilità e giustizia sociale.
Il caso di Kansas City non offre risposte definitive, ma pone una domanda cruciale per il futuro delle città: siamo disposti a considerare la mobilità come un diritto universale, anche a costo di ripensare i modelli economici che la sorreggono? Se la risposta è sì, allora l’esperimento americano, con tutti i suoi limiti, rappresenta un punto di partenza da cui imparare.