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17 Aprile 2020

Respinto il barcone dopo una settimana all'inferno

In 51 salvati da un peschereccio in acque maltesi dopo 6 giorni alla deriva. 5 cadaveri, 7 dispersi. Subito rimandati in Libia.
Respinto il barcone dopo una settimana all'inferno
Foto di EPA/DOGAN NEWS AGENCY, foto simbolo 2015
Mentre il virus chiude i porti del Mediterraneo sono quasi 1000 le persone segnalate in mare in una settimana. Fra loro centinaia di minori, donne incinte. La foto simbolo del 2015 ha dato il nome alla nave dei soccorsi, ancorata a Taranto.
Italia, Malta e Libia non sono porti sicuri, a causa dell’emergenza Covid-19, per accogliere i barconi dei disperati che continuano ad avventurarsi in mare. E dunque, delle centinaia di persone che continuano ad avventurarsi del Mediterraneo, cosa sarà?
 
La sorte di una neonata di 47 giorni, recuperata su un barcone in mare il 15 aprile dopo cinque giorni alla deriva, senza carburante, né cibo, né acqua, sarebbe stata quella di tornare in arresto in un centro di detenzione libico. Sarebbe stata salvata — se così si può dire – dopo una settimana di scaricabarili fra tre paesi protagonisti della rotta mediterranea: Italia, Malta e Libia. La bimba sarebbe stata (l'ipotesi della presenza di una neonata è riportata solo dal quotidiano Avvenire) "soccorsa da una nave commerciale dalla zona di ricerca e salvataggio maltese e consegnata alla guardia costiera libica".

In realtà la dinamica dell'accaduto è tutto fuorché chiara. Dell'imbarcazione si erano perse le tracce da giorni mentre le Guardie Costiere di Italia, Malta e Libia si rimpallavano accuse. I media rilanciano le agenzie di stampa. Gli appelli delle Ong viaggiano su twitter.


Sul gommone respinto in Libia sono state ritrovate 51 persone allo stremo e 5 cadaveri. Altre 7 persone, fra le 55 salpate venerdì scorso, sono cadute in mare ed annegate. Per tutta la settimana si sono ripetuti gli appelli disperati raccolti da Alarm Phone, l’organizzazione che raccoglie le richieste di aiuto dai barconi dispersi nel Mediterraneo: erano 4 le imbarcazioni di fortuna risultate disperse in mare.
 


Sui 4 natanti imploravano disperate un aiuto un totale di circa 250 persone. 2 di queste barche (con 155 persone a bordo) sono riuscite ad arrivare in maniera autonoma a Lampedusa, mentre l’ultima (con 47 persone a borto) è stata salvata dalla Aita Mari, nave dell’Ong spagnola Salvamento Marítimo Humanitario.
È giallo poi per alcuni scatti fotografici di un barcone rovesciato realizzati da un mezzo militare, per i quali hanno chiesto chiarezza Sea Watch e Alarm Phone. Per la Guardia Costiera Italiana rappresenterebbero i resti di un salvataggio, di cui però nessuno ha avuto notizia. 
Il dramma messo in sordina dall’emergenza Coronavirus è ripreso quasi quotidianamente da Avvenire e da pochi altri. «Dal 5 all’11 aprile abbiamo raccolto richieste di aiuto da più di 20 imbarcazioni di fortuna, per un totale di oltre 1000 persone», denuncia il quotidiano cattolico nel riportare gli appelli di Alarm Phone. 
 

L'emergenza migranti e il rimpallo delle responsabilità

L’analisi geopolitica parla di palleggi di responsabilità e di gravi violazioni di diritti umani da parte di tutti gli attori coinvolti. Il 9 aprile sarebbe stato l’esercito maltese a mettere fuori uso il motore di un barcone con 70 migranti. Qualcuno da una motovedetta, riporta Alarm Phone, avrebbe urlato loro: «Vi lasciamo morire in mare!». Il 10 aprile anche Malta si è autodichiarata “porto non sicuro”, mentre l’Italia l’aveva già fatto il giorno 8.
 

La vicenda della Alan Kurdi

Il 2 settembre 2015 veniva ritrovato sulle coste turche il corpo del bimbo siriano Alan Kurdi (nella foto in alto). L'11 marzo 2020 tre scafisti sono stati riconosciuti responsabili della sua morte e codannati al carcere a vita.

La nave dedicata alla memoria di Alan Kurdi, armata dall'Ong tedesca Sea Eye, il 7 aprile ha soccorso in 2 interventi un totale di 150 migranti, trovando un rifiuto allo sbarco sia da Italia che da Malta. La presa di posizione del Tavolo Asilo Nazionale non si era fatta attendere: «è importante garantire il rispetto dei principi di solidarietà e di umano soccorso», hanno sottoscritto la ventina di organizzazioni internazionali aderenti.

Esterne della Alan Kurdi con scritta Sea-Eye e profughi a bordo
Arrivo di 88 migranti salvati in mare dalla Alan Kurdi nel porto di Taranto, 3 novembre 2019.
Foto di ANSA/RENATO INGENITO

 
La Ministra Paola De Micheli ha difeso il respingimento italiano motivandolo con motivi sanitari, perché non vi sarebbero abbastanza strutture in Italia per far svolgere ai migranti il periodo di quarantena. 
 
Così le risponde Giovanni Fortugno, delegato al Tavolo Asilo per la Comunità Papa Giovanni XXIII:  «Rispetto al coronavirus siamo più noi che mettiamo a rischio chi arriva, piuttosto che il contrario. Ma possiamo studiare soluzioni per la quarantena. Rispetto ai fatti dell’ultima settimana sarebbe utile lavorare a tavoli ristretti con il Governo, per trovare soluzioni insieme piuttosto che fare dell’immigrazione un argomento di scontro politico. Uno dei temi di confronto resta quello dei corridoi umanitari, che in questo momento sono sospesi».
 
Fanno eco gli appelli all’accoglienza del Centro Astalli e dei Padri Comboniani:
 

E anche di Papa Francesco, che il 10 aprile ha  firmato una lettera autografa indirizzata a Mediterranea Saving Humans, piattaforma per il salvataggio di migranti nel Mediterraneo:  «Grazie per tutto quello che fate. Vorrei dirvi che sono a disposizione per dare una mano sempre. Contate su di me».  


 
Oggi la nave Alan Kurdi è ancora ancorata, con il suo carico umano, al largo delle coste di Termini Imerese, nel palermitano. (UPDATE) A breve inizierà il trasbordo dei naufraghi.