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4 Agosto 2025

Eni scommette sul GNL. Una scelta discutibile

Accordo con Venture Global: tra diplomazia e rischi ambientali
Eni scommette sul GNL. Una scelta discutibile
Foto di Jerzy from Pixabay
L'intesa tra Eni e Venture Global per la fornitura di gas liquefatto a lungo termine solleva interrogativi su motivazioni politiche e impatti ambientali. Mentre Eni nega legami geopolitici, esperti avvertono sui rischi economici e ambientali di un accordo che appare anacronistico rispetto alla transizione energetica europea. Il GNL, con emissioni superiori al carbone, potrebbe compromettere la sicurezza energetica e danneggiare le comunità locali.
Non solo l’accordo tra Von der Leyen e Trump sui dazi. Dietro l’intesa Eni-Venture Global per la fornitura di gas liquefatto (GNL) a lungo termine, firmata lo scorso 16 luglio, si intravede una concessione politica dell’Italia al presidente americano, un tentativo di mantenere relazioni amichevoli ed evitare l’inasprimento dei rapporti commerciali. È così che l’hanno letta testate internazionali come Politico e Reuters, lasciando intendere che, più che una mossa strategica sul fronte energetico, si tratti di un gesto diplomatico mascherato da accordo industriale.

Il patto tra Eni e Venture Global

Ma Eni nega ogni collegamento con il contesto geopolitico. Nel suo comunicato, la compagnia definisce l’intesa con Venture Global «una tappa fondamentale nella strategia di espansione e diversificazione del portafoglio di GNL», sottolineando che parte dei volumi acquistati contribuirà alla diversificazione delle forniture di gas in Europa. Nessun commento, invece, sulle trattative in corso tra Washington e Bruxelles in materia di dazi.
Eppure, secondo diversi esperti, l’accordo solleva preoccupazioni sotto tre profili: economico, ambientale e sociale. In primo luogo, il GNL appare come una scelta anacronistica rispetto alla traiettoria della transizione energetica europea. È un combustibile destinato a perdere competitività rispetto alle rinnovabili, specialmente nella seconda metà di questo decennio, quando il gas contrattualizzato comincerà a essere effettivamente consegnato. Non solo: il suo ciclo di produzione e trasporto comporta emissioni climalteranti persino superiori a quelle del carbone, e comporta gravi danni per le comunità locali vicine ai siti di estrazione e liquefazione, come testimoniato da diverse inchieste, tra cui quella di ReCommon.

Una scommessa controcorrente

Dal punto di vista della sostenibilità economica, l’accordo rischia di trasformarsi in un boomerang. I dati sono chiari: il consumo di gas in Europa ha raggiunto il picco nel 2021 e da allora è in costante diminuzione. Anche nel 2024 le importazioni di GNL sono calate, e metà dei terminali di rigassificazione dell’UE risultano sottoutilizzati, con tassi inferiori al 40%.
Ana Maria Jaller-Makarewicz, analista energetica per l’IEEFA (Institute for Energy Economics and Financial Analysis), mette in guardia: «Poiché la domanda europea di gas continuerà a diminuire, Eni e le altre società che siglano accordi a lungo termine potrebbero non trovare acquirenti. Inoltre, nel momento in cui si prevede una carenza globale di GNL — attesa intorno al 2030 — il mercato potrebbe rispondere con un abbassamento dei prezzi e una riduzione dell’offerta, rendendo i contratti esistenti economicamente svantaggiosi».
Katherine Dixon, CEO del Regulatory Assistance Project, è ancora più esplicita: «Un accordo ventennale per importare gas in Europa? È una mossa che presuppone il fallimento della politica industriale ed energetica dell’UE. La Commissione Europea punta a elettrificare il 32% dell’economia entro il 2030, eppure Eni scommette su uno scenario opposto: quello in cui l’Europa perde». Per Dixon, la scelta dell’azienda italiana cementa un modello energetico obsoleto e ad alto costo, inadeguato a rilanciare la competitività industriale europea nel confronto con Stati Uniti, Cina e Asia orientale.

Rischi geopolitici e regolatori

Oltre al pericolo economico, l’accordo solleva dubbi sulla tenuta della sicurezza energetica. Aymeric Kouam, analista di Strategic Perspectives, sottolinea la vulnerabilità dell’intesa rispetto alla volatilità del mercato globale e ai possibili capricci di una futura amministrazione Trump. «Il GNL venduto da Venture Global è “free on board”: non è destinato specificamente all’Europa, ma sarà inviato dove Eni potrà spuntare il prezzo più alto. Inoltre, l’accordo potrebbe violare le nuove normative europee sul metano, esponendo la compagnia a sanzioni».
Questa struttura contrattuale, pensata per massimizzare la flessibilità commerciale, riduce in realtà il controllo sulla destinazione del gas e compromette l’obiettivo dichiarato di rafforzare la sicurezza energetica europea. Il rischio è che l’Europa si ritrovi legata mani e piedi a un combustibile fossile di difficile collocazione e con elevati costi ambientali.

Il GNL inquina più del carbone

Il gas liquefatto è spesso presentato come “ponte” nella transizione energetica, grazie alla sua presunta minore intensità emissiva rispetto al carbone. Ma secondo Robert W. Howarth, professore alla Cornell University e tra i massimi esperti mondiali di metano, questa visione è fuorviante.
Analizzando l’intero ciclo di vita del GNL esportato dagli Stati Uniti — dalla fratturazione idraulica (fracking) alla liquefazione, dal trasporto alla combustione finale — Howarth ha concluso che le sue emissioni di gas serra superano del 33% quelle del carbone, su un orizzonte temporale di 20 anni. «Il GNL richiede energia per essere raffreddato e trasportato. L’intero processo lo rende una fonte climalterante peggiore del carbone. È una pessima scelta per il clima», afferma.

Comunità in sacrificio

Mentre in Europa si discute di sicurezza energetica e riduzione delle emissioni, dall’altra parte dell’Atlantico sono le comunità locali a pagare il prezzo di queste scelte. James Hiatt, attivista dell’associazione Better Bayou in Louisiana, denuncia da anni le conseguenze degli impianti di Venture Global sulle popolazioni costiere: «Hanno inquinato l’aria, danneggiato la pesca, ricevuto sussidi pubblici per arricchirsi e causato danni ambientali irreversibili. Ora, con questi accordi, si stanno garantendo decenni di ulteriori distruzioni. Gli acquirenti europei non farebbero mai fracking nei loro territori, ma sono pronti a finanziarlo altrove. È ipocrisia pura».

Una scelta che guarda al passato

L’accordo tra Eni e Venture Global non è solo una questione commerciale: è una scelta politica ed energetica che guarda al passato. In un momento in cui l’Europa cerca faticosamente di costruire un futuro decarbonizzato e indipendente dai combustibili fossili, un contratto ventennale di importazione di GNL appare come una zavorra pesante. Economicamente incerta, ambientalmente disastrosa e socialmente ingiusta.
Mentre il mondo si muove verso elettrificazione, rinnovabili e autonomia energetica, Eni — e con lei il governo italiano — sembra voler legare il proprio destino a una fonte fossile in declino, in nome di equilibri geopolitici precari e di interessi industriali miopi. Una scommessa, questa sì, che rischia di perdere davvero.