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18 Marzo 2022
Ultima modifica: 18 Marzo 2022 ore 11:40

Enrico Galiano: un insegnante fuori tema

C'è chi lo paragona al professore dell'"Attimo fuggente" per la sua capacità di attrarre i suoi studenti, ma dice che in realtà è lui ad imparare da loro.
Enrico Galiano: un insegnante fuori tema
È convinto che sbagliare sia un'arte e invita i suoi studenti a osare. Lui ha fatto e ci racconta com'è andata.
«Ragazzi, ragazze, io ci sono, io vi vedo, esistete e avete qualcosa di bello dentro di voi, anche se non ci credete.»
Sembra una citazione del professor John Keating, interpretato da Robin Williams ne L’attimo fuggente, e invece a parlare è Enrico Galiano, professore di italiano altrettanto coinvolgente, empatico. Uno che riesce a tirar fuori dai ragazzi di una scuola media di periferia a Pordenone – e non da rampolli di buona famiglia come nel film – doti, qualità, emozioni che neppure loro stessi pensano di avere. Perché, è convinto il professore: «Non esistono studenti che non si applicano ma solo studenti che non hanno ancora trovato la motivazione giusta per dare il meglio di sé. E quando la trovi, wow, non ce n'è per nessuno!». 
Il segreto per essere un buon insegnante, spiega, è ascoltare: «Non ti ascoltano, se tu per primo non li ascolti». È applicando queste convinzioni che il prof Galiano entra in relazione con i ragazzi, e non solo in classe ma anche attraverso i canali di comunicazione per loro più familiari: i social. Perché per capirli bisogna conoscere la loro lingua e alla fine si scopre che «sono loro ad insegnare a me, costringendomi a guardare le cose da un punto di vista diverso.» 

Chi è Enrico Galiano?

Enrico Galiano è nato a Pordenone nel 1977 e, oltre ad insegnare, scrive e crea contenuti web. Ha iniziato nel 2015 con la webserie Cose da prof superando i 20 milioni di visualizzazioni. Nel 2020 Il Sole 24 Ore lo ha inserito nella lista dei dieci insegnanti più seguiti sul web. Le sue clip vanno oltre le nozioni: in modo ironico e divertente accompagna il ragazzo a comprendere, a costruirsi una mentalità critica  per comprendere i fatti e, in fondo, anche se se stesso.  
Nel 2017 ha esordito con il romanzo Eppure cadiamo felici, conducendoci – attraverso le vicende personali di Gioia – nel cuore di una generazione di adolescenti che entra nel mondo degli adulti tra incertezze, fragilità, sogni da esprimere. Lo abbiamo incontrato la prima volta l’estate scorsa ad Asiago, dove presentava il sequel. Non era previsto – ha spiegato in quella occasione – ma «molti mi scrivevano per sapere che fine avevano fatto Gioia e Lo». Non era facile riprendere la storia in maniera non banale. Sono passati anni, poi è arrivata l’ispirazione ed è nato, nel 2021, Felici contro il mondo
Scambio di contatti, e alla fine arriva anche questa intervista, che non ha niente di classico. Lui in bicicletta di ritorno da scuola e io al telefono. Tra una pedalata e l’altra, un clacson che suona, io preoccupata per la sua incolumità, ansimando riesce a darmi delle risposte veramente speciali. 

La cosa più difficile, quando sei un adulto e hai a che fare con un giovane, è non giudicarlo. Eppure è l’unica chiave che ti permette di essere ascoltato
Enrico Galiano


Che effetto ti fa essere spesso paragonato al professore dell’Attimo fuggente? 
«Se io faccio questo mestiere è perché ho visto quel film. Il professor Keating è stato il mio ispiratore. Con i miei ragazzi delle medie mi sento come un allenatore di calcio che si trova a gestire tanti giocatori forti, pieni di energia. È l’età più difficile, perché non sei più bambino ma non sei ancora ragazzo, sei in mezzo e devi trovare la tua dimensione. Il vero lavoro che faccio non è spiegare la grammatica, quelli sono i miei mezzi, il vero scopo è dire: “Ragazzi, ragazze, io ci sono, io vi vedo, esistete e avete qualcosa di bello dentro di voi, anche se non ci credete”.» 

John Keating saliva sulla cattedra per stimolare i suoi ragazzi, tu come li agganci?
«Quel professore saliva sulla cattedra per mostrare ai suoi studenti come guardare il mondo da un punto di vista diverso. In realtà sono loro che ti costringono a farlo. Si parla sempre troppo poco di quanto siano i ragazzi ad insegnare a noi e di quanto abbiamo tanto da imparare da loro.»  

Enrico Galiano. Il prof social


Da Facebook ad Instagram e YouTube, per finire adesso con TikTok. Perché utilizzi questi strumenti?
«È una questione di linguaggio. Fare l’insegnante è equiparabile ad un viaggio in un paese straniero e se vuoi comunicare è importante conoscere almeno qualche parola. Altrimenti non comprendi molte delle cose che ti dicono in classe e si crea una distanza. Sto attento a ciò che accade in questo sottobosco perché così ho uno strumento in più, quando vado in classe, per relazionarmi con loro. Attraverso quei canali si esprimono anche delle intelligenze, dei talenti, un pensiero sul mondo.»

Qual è la soddisfazione più grande per un insegnante?  
«Questo è un lavoro in cui ricevi tante mazzate, ma quando c’è il rapporto con gli studenti le soddisfazioni sono tantissime. Per questo lo considero il lavoro più bello del mondo.»

Enrico Galiano, L'arte di sbagliare, Garzanti


Nel 2020 hai scritto L’arte di sbagliare alla grande. I nostri sbagli raccontano di noi, spieghi. Ma in che senso è un’arte?
«Sbagliare è in realtà l’arte di perfezionare la propria rotta. Solo chi non sa bene dove andare segue una rotta prestabilita e fa semplicemente quello che gli dicono di fare. Gli “sbagliatori” sono quelli che riformulano la propria rotta continuamente e sanno anche cadere. È importante insegnare a non cadere ma è altrettanto importante insegnare che dalla caduta ci si può rialzare, perché la caduta ci sarà sempre. Al contrario bisogna preoccuparsi se non c’è, perché significa che forse non si è osato. È un errore imperdonabile trattenere la propria curiosità e chiuderla in un cassetto per paura di sbagliare.»

La scuola che ruolo gioca?
«Spesso nella nostra scuola si insegna a non osare troppo, a non rischiare. In alcuni temi dei ragazzi si percepisce la paura di sbagliare, allora si finisce per scrivere quello che sai che l’insegnante vorrebbe; ed è un peccato mortale quando questo pensiero, poi, si traduce nella vita, nel fare ciò che credi che il mondo si aspetti da te piuttosto che quello che tu vorresti davvero. Ho dedicato un intero capitolo del libro al concetto del “fuori tema” e di quanto possa essere significativo insegnare ad andare bene fuori tema, perché può portarti a scrivere le cose migliori. Io sono stato un campione mondiale di fuori tema.»

E per quanto riguarda i tuoi sbagli?
«Nel libro parlo anche di questo: da quella volta sono scappato da scuola durante l’orario scolastico, ai violenti diverbi con gli insegnanti. Errori anche molto stupidi, fatti in un’età in cui si è particolarmente idealisti. Quegli errori, però, mi hanno dato la possibilità di costruirmi un’identità, di ripartire. La mia fortuna è stata una adolescenza colma di errori.» 

Galiano: la scrittura lo ha guarito


È vero che l’idea del tuo romanzo d’esordio prende forma da un tuo dolore personale?
«Sì, la sera in cui io sono stato barbaramente lasciato dalla mia ex fidanzata con la quale progettavo una vita insieme, ma evidentemente i progetti erano solo miei e io non lo sapevo. È stato uno dei dolori più grandi per me. Ma in qualche modo devo essere grato a quel dolore che mi ha spinto ad usare la scrittura come forma di terapia. È uno dei miei punti fermi anche quando sono in classe: non bisogna scrivere per acquisire delle competenze di italiano, ma per dare forma a ciò che abbiamo dentro, e trasformare tutte le emozioni, in particolare il dolore, in qualcosa di bello. Fare del dolore bellezza.»

Enrico Galiano, Felici contro il mondo, Garzanti


In Felici contro il mondo il prof Bove gioca un ruolo importante aiutando Gioia. 
«Credo che ognuno di noi porti nei propri ricordi almeno un insegnante che gli ha cambiato la vita, sia in positivo che in negativo. È il grande potere che ci è dato: per questo il nostro lavoro dovrebbe essere equiparato a quello di un chirurgo o di un politico. È di importanza strategica a livello sociale perché i ragazzi diventano poi quello che noi vediamo dentro di loro.» 

Perché Bove riesce ad essere così significativo nella vita di Gioia? 
«Perché è l’unico che vede la bellezza della sua diversità. Gli altri la percepiscono come un fastidio, un pericolo, un disturbo, invece Bove saluta questa diversità con grande gioia e non giudica. La cosa più difficile, quando sei un adulto e hai a che fare con un giovane, è non giudicarlo. Eppure è l’unica chiave che ti permette di essere ascoltato: se tu giudichi lui smette di ascoltarti.»  

Fare l’insegnante è equiparabile ad un viaggio in un paese straniero e se vuoi comunicare è importante conoscere almeno qualche parola
Enrico Galiano


Perché felici contro il mondo?
«Mi piaceva un titolo con un doppio senso, perché l’adolescenza è quel periodo della vita in cui sei sempre spaccato a metà. Da un lato vuoi andare incontro al mondo, dall’altro ti senti il mondo contro, e non c’è mai una delle due percezioni che prevale in modo definitivo. Poi mi piaceva l’idea di scrivere un titolo che richiamasse quello del primo romanzo, in modo da creare una continuità. Se mai dovessi scriverne un terzo, sicuramente ci sarà la parola mondo.»

Come arriva si arriva alla felicità?
«La felicità non è qualcosa che tu puoi costruire, però puoi costruirle una casa. Cioè fare in modo che lei si senta più invogliata a venirti a trovare. Fino ai trent’anni facevo ancora lavoretti occasionali, molto dignitosi, ma non ero felice, erano scelte di paura. Alcuni mi dissuadevano dall’insegnare, ma io alla fine ci ho creduto e quando ho preso questa strada ho visto che la felicità veniva molto più spesso a trovarmi.» 

Il tema del Covid è diventato centrale. Come sta incidendo sui ragazzi?
«Dopo le persone che hanno subito dei lutti, quelle che lavorano nella sanità, quelle che sono nelle terapie intensive, le vittime di questa situazione sono loro. L’infanzia e  l’adolescenza sono le fasi della vita in cui si è più sociali. È nel gruppo che i ragazzi cercano la loro vera identità. Se togli il gruppo togli anche l’identità e non sanno più chi sono. Ben vengano quelle regioni come l’Emilia-Romagna che offrono supporto psicologico a scuola in modo sistematico. Io posso dare il mio affetto, il mio calore umano, ma ci vogliono strumenti e competenze per sapere bene cosa rispondere a una ragazza che viene da me e mi dice: “Prof, non ce la faccio più, voglio morire”. Serve qualcuno con competenze specifiche e il Covid ha dimostrato quanto ci sia bisogno di queste figure.»

Dobbiamo dare voce a chi non ce l'ha

A cosa stai lavorando?
«A una favola moderna per bambini sull’importanza del non perdere la propria sensibilità, di non farsi anestetizzare dal mondo, e a una specie di sequel de L’arte di sbagliare alla grande: ciò che impari facendo questo lavoro è una sorta di classe capovolta in cui l’insegnante è lo studente che impara un sacco di cose sulla felicità, sull’amicizia, sul rispetto.» 

E cosa ti stanno insegnando i tuoi ragazzi?
«L’importanza di dare loro spazio e voce, perché ho la sensazione che noi adulti li copriamo un po’ troppo. Sto imparando a trasformare le mie lezioni in un posto dove loro si esprimono piuttosto che introiettare qualcosa da me. Cerco di dare voce anche a chi fuori una voce non ce l’ha, e se ce l’ha non viene ascoltata. Speriamo funzioni.»