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24 Luglio 2019

Ero detenuto e mi avete assunto

Due anni di galera. Poi la formazione, il lavoro. La possibilità di una nuova vita. La storia di Salvatore e di chi ha creduto in lui.
Ero detenuto e mi avete assunto
Gli è stata data un'altra possibilità. Una giustizia che educa e accoglie è più efficace di una giustizia che vuole solo punire. Il lavoro alla cooperativa Il Calabrone Cremona, per iniziare a pensare ad una vita futura.
In una società nella quale la crisi economica e la logica competitiva penalizzano i più deboli, creando sempre più ampie sacche di emarginazione, è sempre più evidente il ruolo svolto dalle cooperative  sociali per rendere efficaci percorsi di riabilitazione e inclusione. 
Una delle sfide dei nostri giorni è riuscire a dare una seconda possibilità alle persone che provengono dal mondo del carcere. Un mondo costituito da individui che non hanno la voce per rivendicare i loro diritti e diventa un “pianeta di invisibili”, lontano dalla società. 
I pregiudizi del contesto sociale nei confronti di chi ha un’esperienza carceraria pregressa, accompagnati alla progressiva deprofessionalizzazione del detenuto, contribuiscono a ridurre le possibilità di reinserimento.
Eppure una giustizia che educa e accoglie è più efficace di una giustizia che vuole solo punire. 
Lo sa bene Salvatore, ora dipendente della cooperativa Il Calabrone Cremona: la sua storia testimonia come l'attività lavorativa extra-carceraria sia fondamentale per un effettivo reinserimento sociale.
 

Una pena costruttiva

Il 18 Aprile 2017, dopo quasi due anni di reclusione, ha iniziato il percorso di formazione presso la cooperativa, grazie ad un progetto di collaborazione con la Casa Circondariale di Cremona.
Salvatore era consapevole di aver sbagliato e che, se avesse voluto rialzarsi, avrebbe dovuto scontare la sua pena in modo costruttivo. Decide così di impegnarsi attivamente all’interno del carcere: «Sono diventato piantone di un altro signore che aveva una disabilità – racconta – e poi cuoco della Casa Circondariale», fino ad arrivare al progetto di  formazione con la cooperativa.
Quando il detenuto si pente del suo reato, e si è certi di tale pentimento, è necessario attivare tutte le possibilità affinché possa vivere esperienze esterne al carcere. 
Il lavoro “fuori” è diventato un impegno per la cooperativa Il Calabrone Cremona e un’opportunità concreta, per il detenuto, per iniziare a pensare ad un reale progetto di vita futura.

Enzo Zerbini
Enzo Zerbini, presidente della coop. Il Calabrone di Cremona
Foto di Emanuele Zamboni


Ci racconta Enzo Zerbini, presidente della Cooperativa: «Oggi sono 6 le persone assunte presso la nostra azienda che provengono dall’esperienza carceraria e rappresentano il 15% del personale dipendente».
 

L’importanza della formazione

Prima della definitiva assunzione, sono importanti i mesi di formazione extra-carceraria: i ragazzi, provenienti dal carcere, affiancano un dipendente della cooperativa e, guidati, prendono dimestichezza con il lavoro. Salvatore, grazie al suo percorso di formazione, ha acquisito le competenze necessarie che hanno poi portato all’assunzione e, grazie al suo impegno, a febbraio ha ottenuto il contratto a tempo indeterminato. 
È per questo, spiega Zerbini, che «cerchiamo di offrire ogni anno la possibilità di un percorso di formazione a 3/5 detenuti. I numeri contenuti sono frutto di una scelta: dare una possibilità concreta di assunzione a coloro che hanno preso parte, con impegno, alla formazione promossa».
 

Una nuova vita per Salvatore

Il percorso di formazione è stato l’inizio di una nuova vita per Salvatore, che racconta: «Ero in semi libertà, uscivo la mattina alle 6.00 e rientravo alle 17.30. Andavo in cooperativa e, mentre imparavo un lavoro, mi confrontavo con il mondo esterno: per me erano momenti di aria, mi sembrava di tornare quasi alla normalità».
È così che nella cooperativa Il Calabrone Cremona, dove l’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate è l’obiettivo principale da conseguire, il lavoro è visto come alternativa tangibile alla vita in carcere ed è essenziale strumento di rieducazione e di reinserimento sociale. Un’opportunità per il detenuto di entrare in contatto con l’esterno, confrontandosi con dinamiche simili a quelle che dovrà affrontare all’uscita dal carcere. 
In tal senso il lavoro fuori dal carcere diventa uno strumento di preparazione graduale alla vita libera: il detenuto comincia a percepirsi utile per la società, a crearsi un sistema di relazioni, a crearsi dei punti di riferimento e a progettare una vita fuori dalla cella.

Apprendere capacità lavorative è una forma di educazione alla legalità e avere una professionalità da spendere sul mercato del lavoro, una volta fuori dal carcere, sarà la prima forma di protezione dal pericolo di recidiva e quindi anche fonte di sicurezza collettiva. È assunzione di responsabilità.
«Solo l’acquisizione di capacità e competenze specifiche – sottolinea Zerbini –consentirà a coloro che hanno commesso un reato di introdursi in un mercato del lavoro che necessità sempre più di caratteristiche di specializzazione e flessibilità».
A tal fine è necessario che il lavoro svolto durante la pena consista in un'attività qualificante dal punto di vista professionale, che permetta al detenuto di acquisire delle capacità lavorative spendibili sul mercato del lavoro, una volta ritornato in libertà.
Salvatore oggi ha terminato di scontare la sua pena, vive a Cremona, vicino alla cooperativa ed è ritornato ad essere una risorsa per la società: «Oggi vivo in una casa da solo, riesco a gestire tutte le spese e ho un lavoro sicuro che mi permette di stare sereno. Sì, ho toccato il fondo, ma oggi sono contento di quello che ho. Sono stato fortunato!».