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16 Febbraio 2022
Ultima modifica: 16 Febbraio 2022 ore 09:40

Eutanasia: il sano giudizio della Corte

La Corte Costituzionale non ha ammesso il quesito referendario che puntava a depenalizzare l'omicidio del consenziente. Il commento di un avvocato che difende i diritti umani
Eutanasia: il sano giudizio della Corte
Foto di Fabio Frustaci
Le motivazioni: «Non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili». Ecco perché la Corte ha ragione.
La Corte Costituzionale il 15 febbraio ha ritenuto inammissibile il quesito referendario sull’omicidio del consenziente in quanto - si legge nel comunicato emesso dalla Corte - «non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili»
La pronuncia della Corte - le cui motivazioni leggeremo presto - ha già dunque, nel suo comunicato, espresso un giudizio di grande valore normativo e umano dove si ribadisce con illuminata coscienza il rispetto del diritto più prezioso: la vita. 
Conosciamo bene, del resto, l’esperienza dolorosa di altri ordinamenti dove norme originariamente destinate ad essere rigorose, si sono rivelate vaghe e soggettive e stanno dando luogo a situazioni sempre più discutibili.

Dall’erosione di tutela subentrano rapidamente principi pragmatici e utilitaristici che giungono a teorizzare come logica e giustificabile la soppressione della vita se essa è ritenuta di peso per se stessi o per gli altri.
Nei soli Paesi Bassi il numero di eutanasie eseguite dal 2001 è più che triplicato e le cifre presentate ogni anno dai comitati regionali di revisione dell'eutanasia mostrano un costante aumento del numero di abusi.
La mentalità eutanasica progredisce inevitabilmente trasformandosi in “cultura dello scarto” e produce con una crescita inaccettabile soprattutto per patologie psichiatriche e demenza.
Nei casi di sofferenza psicologica si finisce - a causa della difficoltà di comprendere la portata di tale sofferenza - ad abusarne: eutanasia di persone con disturbi psichiatrici, dementi, persone molto anziane o persone che soffrono di diverse patologie per cui le condizioni iniziali richieste dalla legge diventano evanescenti. Addirittura sono sorte petizioni aberranti a Parlamenti di cittadini infervorati affinché si autorizzi il suicidio assistito gli ultrasettantenni, non citando altra ragione che l'età e la "stanchezza di vivere".

La Suprema Corte scongiura tali afflati referendari ribadendo dunque che ci sono categorie di diritti fondamentali che precedono le società e gli ordinamenti e debbono per questo esser protetti e tutelati più di ogni altro. D’altra parte il rispetto della vita umana non si impone solo a fazioni umane o a chi segue principi di fede: è sufficiente la ragione a esigerlo basandosi sull’analisi di ciò che è e deve essere una persona. Infatti, nella cornice giuridica della sua formulazione, il quesito - seppur i timori e tremori sulla pronuncia fossero grandi per la grande delicatezza e serietà della posta in gioco - non poteva meritare accoglimento, come nell’apprezzabile giudizio è stato.
Decisivo senza dubbio il fatto che il quesito posto all'attenzione della Corte, lungi dal voler apportare una abrogazione semplice, avesse voluto capziosamente stravolgere l’attuale assetto normativo circa la tutela della vita e l’autodeterminazione, andando - anche con una certa tracotanza - ben oltre l’estro creativo della Suprema Corte sviluppato nell’ultimo anno.
Il quesito, nella sua apparente veste abrogativa, era giuridicamente propositivo e fuorviante. Pensato, forse, per rispondere a quei malati gravissimi provati dal dolore che reclamano regole certe, in realtà la sua approvazione avrebbe, più che risolto, molto complicato e creato significativi vuoti di tutela per tempi lunghi ed indefiniti.
In questo caso, parafrasando con un sorriso un grande poeta inglese, la via dell'eccesso non ha condotto al via libera dal Palazzo della Saggezza.