«Una persona su Facebook nella mia bacheca pubblica mi ha rivolto pesanti offese insultandomi riguardo la mia disabilità. Cosa posso fare»? Ecco cosa risponde l'avvocato.
Le
offese su Facebook non sono rare, molti pensano che Internet sia terra di nessuno, una zona franca in cui ci si può esprimere come si vuole, utilizzando parole che di persona non si pronuncerebbero mai. Non è così:
sul Web valgono le stesse norme della vita reale.
Nei social le nostre frasi restano nero su bianco e arrivano a un numero imprecisato di persone.
Le nostre chat, i nostri post, le recensioni restano online per lungo tempo e si possono
leggere in ogni momento e da ogni angolo del pianeta.
Purtroppo la sensazione di sicurezza data dalla presenza dello schermo che si interpone fra noi e i nostri interlocutori ci fa spesso pensare che le nostre parole non abbiano conseguenze sugli altri. La sensazione di libertà nel poter mostrare il lato più negativo del nostro carattere ci fa provare una sorta di oscura soddisfazione, umiliando l’altro, e ci fa sentire erroneamente al sicuro da qualunque ripercussione. È molto probabile che in futuro, con l’avanzare incessante della tecnologia, si presenteranno nuove forme di social network e con esse assisteremo, inevitabilmente, anche a nuove forme patologiche del loro utilizzo, come quella da lei subita.
Offese su facebook fatte in privato
Se le offese su Facebook vengono fatte in privato, si parla di
ingiuria: non si tratta più di un reato ma di un
illecito civile. In questo caso, puoi soltanto
avviare una causa civile per ottenere il risarcimento,
dopo avere stampato il contenuto della chat o del commento per presentarlo come prova. Se il colpevole verrà individuato e condannato, dovrà pagare, oltre all’indennizzo alla persona offesa, anche una sanzione pecuniaria allo Stato compresa tra 100 e 8.000 euro.
Occore poi ricordare che come tutti gli illeciti che derivano da un fatto,
l’ingiuria si prescrive in 5 anni, quindi la vittima dovrà far valere i suoi diritti entro tale termine, inviando ad esempio una lettera legale. E’ poi importante
distinguere l’ingiuria dalla calunnia: spesso nel linguaggio comune i termini
ingiuria e
calunnia vengono utilizzati in relazione allo stesso significato, mentre per il diritto si tratta di due diverse situazioni. La
calunnia, che è un reato vero e proprio, si verifica quando una persona viene accusata ingiustamente, davanti a una pubblica autorità, di un fatto che non è vero. L’accusatore inoltre deve essere in malafede, cioè deve agire conoscendo l’altrui innocenza.
Offese su Facebook fatte pubblicamente
Chi invece insulta sui social pubblicamente commette un reato pesante: la
diffamazione aggravata. È la stessa Cassazione, con una sentenza del 2017, a classificarlo così. In poche parole: scrivere su Facebook pubblicamente un’offesa a qualcuno può costare la
reclusione da sei mesi a tre anni o una multa non inferiore a 516 euro.
Se sei stato oggetto di offese su Facebook con un
post diffamatorio, o di un commento o una foto in grado di rovinare la tua reputazione,
puoi sporgere querela procurandoti la prova stampando la pagina e facendola autenticare da un notaio oppure, in modo più economico, chiedendo a un amico di vedere il post e di testimoniare.
In ogni caso, per
denunciare un’offesa su Facebook è meglio farsi assistere da un avvocato. Tieni presente che se il colpevole ha utilizzato un
account falso sarà più difficile identificarlo, infatti sarà necessario che la Polizia postale individui il responsabile attraverso una richiesta a Facebook. Soprattutto se parliamo di discorsi d’odio e minacce è sempre bene rivolgersi alle forze dell’ordine.
Come contrastare l'odio in rete
Le
statistiche ci dicono che
è in crescita del 4% il rischio di subire episodi di odio e di violenza verbale (bullismo, diffamazione, denigrazione, ecc); si è infatti passati dall’11% del 2017 per arrivare al 14% del 2019. In salita anche la percentuale di chi coloro che valutano sia in corso un processo di
decadimento del linguaggio (+4%): dal 9% al 13%.
Facebook deve fare la sua parte
Una strategia di ampio respiro è stata disegnata in modo specifico dall’Unione Europea. Per contrastare l'odio in rete (
hate speech), è stato istituito nel 2016 un tavolo di lavoro con i maggiori rappresentanti dell’information technology come Facebook, Twitter, YouTube, Microsoft. Il tavolo ha prodotto i
l primo Codice Europeo contro l’hate speech. Uno degli obiettivi principali del Codice è quello di affrontare le segnalazioni di contenuti non idonei ai gestori del social network:
il Codice obbliga i gestori a controllare la segnalazione di contenuti inappropriati entro le 24 ore successive ed eventualmente procedere alla rimozione del contenuto.
Le piattaforme di assistenza online
Le vittime di
cyberbullismo, revenge porn, stalking, hate speech e diffamazione online possono oggi poi contare per la propria difesa anche su due specifiche piattaforme di assistenza
Odiare ti costa e
Chi Odia Paga. Infatti dopo il codice sottoscritto tra la Commissione europea e le principali piattaforme social, all’interno dell’iniziativa
Repubblica Digitale del Governo Italiano, è stata messa a disposizione gratuitamente questa piattaforma online.
Le vittime dell’odio online potranno inviare la loro richiesta d’aiuto tramite la compilazione di un apposito form su i due siti internet, il primo per fare segnalazioni, e “Chi odia paga” che
informerà gli utenti se i commenti o le frasi ricevuti online possono essere legalmente sanzionabili o meno. Nel caso ci siano gli estremi per procedere legalmente, quest’ultimo sito suggerirà all’utente di prendere contatto con un avvocato per procedere. La identificazione della possibilità di agire legalmente viene valutata sulla base di
oltre 1.500 sentenze passate in giudicato e specifiche consulenze legali in modo da informare l’utente con un linguaggio semplice.
L'importanza di educare all'uso dei social network
Il discorso d’odio online viene spesso banalizzato. Rapidità, impulsività e anonimato rendono particolarmente aggressivo (e qualche volta
virale) il contenuto delle offese, dirette spesso verso i più fragili. Se non viene controllato quando è diffuso, il post può comporare
conseguenze negative anche nel mondo offline, poiché contribuisce a inasprire forme di discriminazione e di violenza e tensioni razziali.
La repressione penale non può essere l’unica via
Fondamentale è educare ed educarsi ad un linguaggio di pace affinché ciascuno si formi in maniera corretta e matura, e costruisca una comunità nella quale
le parole siano strumento di pace e sicurezza, non di violenza.
Con lo strumento di un autentico e responsabile esercizio della libertà di espressione mediante
una comunicazione costruttiva che, nel rifiutare i pregiudizi verso l’altro, favorisca una cultura dell’incontro, si può imparare a guardare la realtà con consapevole fiducia e contrastare l’odio
.