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2 Ottobre 2025
Ultima modifica: 2 Ottobre 2025 ore 12:31

Fadda: «Flotilla. Forzare il blocco navale è una scelta nonviolenta»

In occasione della Giornata internazionale della nonviolenza, Matteo Fadda, responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII analizza la situazione attuale e dice: «La nonviolenza non è utopistica ma realizzabile»».
Fadda: «Flotilla. Forzare il blocco navale è una scelta nonviolenta»
Foto di Orietta Scardino
Ottant'anni fa nasceva l'Onu, con l'obiettivo di scongiurare nuove guerre e garantire la pace. Ora questa istituzione viene messa in discussione. Anche l'Europa, spinta dalla paura, sceglie il riarmo. Ma la via è un'altra, se si vuole salvare la specie umana dall'autodistruzione.

«La nonviolenza – diceva Gandhi – è la forza più grande a disposizione dell'umanità. È più potente dell’arma di distruzione più potente ideata dall'ingegno umano.» Un’affermazione d’effetto che se venisse sottoposta ad un sondaggio oggi, 2 ottobre, anniversario della sua nascita (156 anni fa) e per questo Giornata internazionale della nonviolenza istituita dall’ONU, probabilmente troverebbe il consenso di pochi.
Basta guardare ai commenti che circolano in questi giorni sulla Global Sumud Flotilla, il gruppo di imbarcazioni che si ostina a navigare verso Gaza per portare aiuti umanitari, forzando il blocco navale. Significativo quello pronunciato dalla premier del Governo italiano Giorgia Meloni alcuni giorni fa: «Tutto questo è gratuito, pericoloso, irresponsabile. Non c’è bisogno di rischiare la propria incolumità, di infilarsi in un teatro di guerra per consegnare aiuti a Gaza che il governo italiano avrebbe potuto consegnare in poche ore» (fonte: Ansa).

Eppure rischiare la propria incolumità e infilarsi in situazioni di conflitto – a volte potenziale, altre reale – è proprio quello che fa chi sceglie la nonviolenza attiva come mezzo di soluzione dei conflitti e protezione delle vittime.
Ne parliamo con Matteo Fadda, responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII, che per molti anni è stato anche responsabile di Operazione Colomba, il corpo nonviolento di pace promosso dall’associazione di don Benzi per intervenire con la nonviolenza nelle zone di conflitto.
 

Flotilla. Effetto politico positivo, la nonviolenza fa crescere la consapevolezza

Partiamo dalla cronaca di questi giorni, che effetto ti fa vedere nei notiziari le immagini di queste barche a vela che avanzano verso un blocco navale armato? E a cosa può servire una iniziativa come questa?

«Si tratta di un'azione di lotta nonviolenta, è un tentativo di scardinare qualcosa che viene ritenuto ingiusto, come quello che sta capitando a Gaza. Un’azione nonviolenta ha lo scopo di affermare che si sta consumando un'ingiustizia e cerca di contrastarla, anche quando non è immediatamente risolutiva. L’azione della Flotilla cerca di forzare il blocco per portare aiuti, e così facendo evidenzia una contraddizione: chi accusa la Flotilla di non rispettare il diritto internazionale è lo stesso soggetto che quel diritto lo sta calpestando. L'effetto positivo di azioni come questa è far crescere la consapevolezza, soprattutto nelle persone più indifferenti, e questo è un obiettivo già raggiunto. Ma anche cercare di far prendere coscienza all’altra parte dell’ingiustizia in atto e su questo c’è ancora del lavoro da fare.

Sono passati ormai due anni dalla strage di civili israeliani compiuta da Hamas il 7 ottobre 2023, a cui seguì la reazione tuttora in corso, che ha provocato oltre 65 mila vittime. In questi giorni si parla del nuovo piano in 20 punti proposto dal presidente Donald Trump per mettere fine alla guerra in  Palestina, che ne pensi?
 
«Può darsi che riesca a interrompere l'azione violenta attuale, ma per fermare veramente la guerra a Gaza e l'occupazione della Cisgiordania serve qualcosa di diverso, bisognerebbe uscire dai processi di unilateralità, dalla dinamica degli interessi economici, degli interessi di potere. Mi sembra che le soluzioni finora proposte a livello politico, anche da Trump, siano centrate sulla logica del profitto. E io ho poca fiducia nella tenuta nel tempo, perché il profitto di per sé è un'ingiustizia: l'arricchimento di uno a discapito di un altro. Invece sarebbe necessaria una ridistribuzione delle ricchezze basata sull'uguaglianza delle persone e sul non scartare nessuno. Allora si va alla radice della guerra e si costruisce la vera pace, fondata innanzitutto sulla giustizia. È il passaggio dalla società del profitto alla società del gratuito, una visione profetica di don Oreste Benzi che abbiamo recentemente approfondito durante le “Giornate di don Oreste”, in occasione del Centenario della sua nascita.»

Don Oreste durante la Guerra del Golfo accettò di mettere la bandiera della pace sull'altare. All'omelia esortò i fedeli a non esporre la bandiera se non fossimo stati in pace in famiglia e con i vicini. (Foto tratta dal libro di Riccardo Ghinelli: "Genesi di una rivoluzione. Don Benzi e la sua gente").
Foto di Riccardo Ghinelli

 

L'efficacia delle azioni nonviolente

Il caso Flotilla ha destato l’interesse dei media, ma c’è chi, come i volontari di Operazione Colomba, da molti anni va in zone di conflitto rischiando la vita, anche in Cisgiordania.  Quali sono le attività principali che svolgete e, soprattutto, quale valore e significato ha questa presenza civile nonviolenta in un territorio occupato?
 
«La presenza nonviolenta di persone internazionali, cioè non della nazionalità del Paese in conflitto, in Palestina e in altri Paesi in cui operiamo, come l’Ucraina e la Colombia, abbiamo visto che ha come effetto immediato una funzione di deterrenza che abbassa il livello di violenza. Gli osservatori internazionali offrono una protezione immediata. In Cisgiordania si svolge un lavoro di accompagnamento delle persone che subiscono soprusi e violenze che, insieme alla documentazione e alla denuncia, è una forma di protezione reale ed effettiva. Un altro effetto positivo è quello di rinforzare la speranza che le cose possano cambiare, e questo da entrambi i fronti. È possibile, anche se molto difficile, provare a creare un dialogo. La testimonianza che ci rimandano sia i palestinesi delle colline a sud di Hebron che gli israeliani che hanno a cuore la pace è che la nostra presenza per loro è un segno di speranza.»
 
Il 2 ottobre ricorre l'anniversario della nascita di Mahatma Gandhi, padre della nonviolenza moderna. Quale valore conserva oggi la sua visione in un mondo dominato da conflitti e in cui la risposta armata sembra spesso l'unica opzione considerata?
 
«Credo che l'ideale alto dello sviluppare relazioni basate sul dialogo anziché su rapporti di forza e prevaricazione sia realizzabile. È possibile realizzare relazioni di questo tipo che siano veramente generative di una pace costruita sul risanare le ferite, riconciliare le persone, perdonare. Per noi cristiani c'è anche la valenza legata all'esperienza di fede, vedendo in Gesù la testimonianza di chi ha vissuto in modalità nonviolenta il contrasto alle ingiustizie. La scelta della nonviolenza come metodo per risolvere i conflitti e costruire la pace non è utopia ma realismo, una proposta concreta di conservazione della specie umana, perché l'alternativa è la distruzione.»
 

Il futuro dell'ONU e il ruolo dell'Unione Europea

Sembrava una scelta fatta già ottanta anni fa, quando il 24 ottobre 1945 venne fondata l’ONU, con l'obiettivo di "salvare le generazioni future dal flagello della guerra". Oggi questa istituzione è sempre più messa in discussione.  
 
«Questa cosa mi preoccupa molto perché l'ONU è un'istituzione veramente democratica, un rappresentante e un voto per ogni Stato. L’ONU è nata sulle ceneri di una devastazione mondiale con la giusta prospettiva di non voler ripetere quell'errore. Delegittimare l'ONU significa far di nuovo prevalere gli interessi nazionalistici rispetto allo sviluppo dell'umanità nella sua integralità, che poi è anche il vero bene delle singole nazioni, per cui bisognerebbe fare esattamente il contrario, valorizzare al massimo l’ONU, superando i limiti dell’attuale Consiglio di sicurezza che è in mano a cinque superpotenze con diritto di veto. Don Oreste Benzi diceva che questa società del profitto non può essere modificata ma va sostituita con una nuova società del gratuito, basata, anziché sul conflitto, sulla cooperazione per il bene comune. L’ONU rappresenta già questa nuova società, a livello mondiale. È questa la strada da percorre, delineata già da chi ci ha preceduto e aveva visto gli orrori della guerra.»
 
L'Unione Europea rappresenta un esempio storico di come Stati che si sono combattuti per secoli abbiano scelto l'accordo e l'alleanza. Che ruolo specifico può avere l'Europa in questo equilibrio mondiale che si sta ridefinendo, visto che da qualche tempo sembra voler rincorrere la linea del riarmo sulla scia delle superpotenze militari?
 
«Le due Guerre mondiali sono state combattute proprio sul territorio europeo e l'Europa è uscita da quei conflitti con la chiarezza di voler costruire una pace vera e duratura. Adesso sta sbagliando strada, ritornando a una dinamica vecchia, che è quella della contrapposizione di forze e del riarmo. Questo è preoccupante, perché il valore dell'Europa è proprio nell'esempio di come Stati con forti identità e storicamente in contrasto siano arrivati a trovare la via del dialogo, della cooperazione e addirittura dell'unità, come evidenzia lo stesso nome: Unione Europea. Ora l’Europa è condizionata da questo clima generale di paura, che spinge al riarmo, ricadendo in una logica di conflitto che forse non ricordiamo neanche più bene cosa può produrre. Credo che l'Europa dovrebbe riscoprire la sua anima pacificatrice che ha sviluppato nel dopoguerra e che ha portato all’Unione Europea. Il passo coraggioso che dovrebbe fare è quello di riconoscere che la naturale evoluzione del Ministero della Difesa deve essere il Ministero della Pace, per costruire nuove modalità di relazione tra Stati. La guerra si può sempre evitare, ma bisogna avere il coraggio di investire sulla pace anziché sulla guerra.»

Obiettori di coscienza e don Benzi al check point
Don Oreste Benzi, insieme ad alcuni volontari della Comunità Papa Giovanni XXIII, al check point di Betlemme, in Palestina, nell'aprile del 2002.
Foto di Archivio

Non idealismo ma scelta operativa

La Comunità Papa Giovanni XXIII non nasce con la pace come mission primaria, ma con l'obiettivo di "condividere la vita degli ultimi e rimuovere le cause dell'emarginazione". Eppure è tra i primi enti ad avere accolto, proprio 50 anni fa, i giovani che sceglievano l’obiezione di coscienza al servizio militare.  
 
«Fa parte proprio del DNA della nostra Comunità la scelta di posizionarsi nel mondo con lo stile della nonviolenza. Condividere la vita significa uscire dalla dinamica dell'io contrapposto a un tu ed entrare nella modalità del noi. Il sentire la fame in chi ha fame, il freddo in chi ha freddo, sviluppa una relazione di comunione, che è per sua natura nonviolenta. Il legame è così evidente che molti membri della nostra Comunità vengono proprio dalla scelta dell’obiezione di coscienza e del servizio civile.»
 
Un augurio per questa Giornata internazionale della nonviolenza?
 
«Che la scelta di vivere la nonviolenza e di essere costruttori di pace non venga etichettata come ideologica o idealista. È invece una scelta molto concreta che può cambiare la storia a partire dalle singole storie. È l'unica strada che ci può far uscire dalla situazione drammatica che stiamo vivendo»

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