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24 Settembre 2019

Forlì: il villaggio della Gioia compie 10 anni

Dal 2009 bambini e ragazzi a rischio di allontanamento dalla famiglia vengono accolti insieme ai loro genitori e accompagnati lungo un percorso di recupero, in un ambiente familiare.
Forlì: il villaggio della Gioia compie 10 anni
Famiglie che aiutano altre famiglie in difficoltà, padri soli, donne straniere. Storie e situazioni diverse fra loro che da un decennio ritrovano un punto di partenza al Villaggio della Gioia di Forlì. Qui si lavora tenendo fede al principio sancito dalla legge che ogni bambino ha diritto a vivere con la propria famiglia.
Grande festa della Comunità Papa Giovanni XXIII a Forlì per il decennale del Villaggio della gioia, la realtà di condivisione diretta voluta da don Oreste Benzi per aiutare le famiglie in difficoltà e prevenire l’allontanamento dei minori. 

Domenica 29 settembre a Villafranca di Forlì durante la festa si inaugurerà la via dedicata a don Oreste, alla presenza del Vescovo Mons. Livio Corazza e del Sindaco Gian Luca Zattini, e si procederà con spettacoli per bambini e adulti. 

Un “mondo vitale nuovo”, il Villaggio della gioia, che in dieci anni ha accolto una trentina di nuclei familiari, ed un totale di oltre 170 persone in stato di bisogno. Fra loro, Federico e Alessandra: un lungo percorso di tossicodipendenza alle spalle, due figlie con le quali non possono più vivere da molti anni. I servizi sociali che li seguono cercano un luogo protetto in cui, concluso il cammino di recupero, possano tornare a vivere tutti insieme per avviarsi definitivamente all’autonomia.
Il “Villaggio della gioia si presta molto bene: nato per evitare l’allontanamento dei bambini dai loro genitori in momenti di difficoltà, in questo caso dovrà favorire la ricostituzione del nucleo familiare dopo un lungo periodo di separazione e sofferenza.

Il Villaggio, luogo da cui ripartire

Il giardino e alcune abitazioni del Villaggio della gioia
Foto di Gianluca Colagrossi

«Quella con Alessandra e Federico è stata un’esperienza molto bella, un progetto concluso bene – raccontano i responsabili –. I due genitori hanno trovato lavoro e, dopo un periodo passato al “Villaggio” con le figlie, si sono trasferiti in un’abitazione autonoma proseguendo lì il loro cammino. Il nostro villaggio ha dimostrato in dieci anni di vita una grande versatilità, riuscendo a fare fronte a bisogni molto diversi, anche in emergenza come nel caso di una coppia di sposi e di alcune donne africane provenienti dalla Libia grazie ai corridoi umanitari. Abbiamo accolto persone con storie e situazioni diversissime, tenendo fede al principio, sancito dalla legge, che ogni bambino ha diritto a vivere con la propria famiglia e cercando, là dove possibile, di tutelare e promuovere la bigenitorialità. Riteniamo importante valorizzare, fra gli altri aspetti, l’importanza della figura paterna. Hanno vissuto con noi anche padri soli con figli, cosa che in molte strutture non è possibile»
Il Dipartimento per le Politiche della Famiglia della Presidenza del Consiglio ha concesso al progetto il premio “Amico della famiglia”; la regione Emilia Romagna ne ha autorizzato il funzionamento, riconoscendone il carattere sperimentale. 

Al Villaggio famiglie aiutano altre famiglie

Genitori sorridenti sul divano con bambino
Foto di Gianluca Colagrossi

Il “Villaggio” nasce dall’intuizione che famiglie che vivono insieme possono essere risposta al bisogno di altre famiglie, garantendo loro non solo un posto dove vivere in momenti di fragilità, ma anche interventi di tipo educativo e, soprattutto, momenti di vita comune. 
Questo è stato il grande lascito di don Oreste Benzi, che ha seguito passo a passo l’ideazione e lo sviluppo del progetto ma non ha potuto vederne l’avvio concreto con l’inaugurazione delle prime tre case il 26 settembre 2009; ha al proprio cuore la vita in comune di famiglie della Papa Giovanni XXIII, già da anni aperte all’accoglienza di bambini e adulti. 
È di fatto una nuova, particolare attuazione del principio della condivisione diretta di vita, nata nel 1968 seguendo lo slogan “dove siamo noi, lì anche loro” ed attuata poi dal 1973 nella casa famiglia e in numerose altre realtà: questa è la prima espressamente dedicata alla famiglia, sempre più minacciata dall’attuale sistema culturale, sociale ed economico.

Famiglia aiuta famiglia, condividendo spazi e tempi, aprendosi alla convivenza con persone provenienti spesso da situazioni di grave difficoltà. Tutte le unità abitative sono affacciate su una piazza centrale, un prato che è luogo di incontro e di relazione: oltre ad una sala per momenti comuni, sono stati costruiti tre case famiglia e nove appartamenti di varie dimensioni, adattabili alle esigenze dei singoli nuclei.
«È molto importante preservare l’autonomia di ogni famiglia, che ha i propri spazi ed una propria gestione della quotidianità, in maniera integrata con la vita del villaggio ma tale da preparare il ritorno all’autonomia, che è l’obiettivo principale. La permanenza non dovrebbe durare più di 18 mesi, ma anche in ragione del modificarsi del progetto di vita il periodo può prolungarsi. 
Questi dieci anni di storia ci hanno messi di fronte all’estrema complessità e delicatezza di ogni famiglia, che ha propri equilibri, punti di forza e di fragilità. In quelle con cui siamo venuti in contatto, molti hanno storie personali segnate da profondo dolore e mancanze. Cerchiamo di fare un pezzo di strada con loro, accompagnandoli e sostenendoli nei vari aspetti della vita: l’accudimento e l’educazione dei figli, la ricerca del lavoro, le pratiche burocratiche, la definizione di percorsi verso l’autonomia». 

Diversi bisogni, risposte molteplici

Mamma sorride leggendo libro ai bambini
Foto di Gianluca Colagrossi

I bisogni sono davvero molto differenziati: per alcuni nuclei è più importante il sostegno alla scolarizzazione ed all’inserimento sociale dei bambini (per esempio promuovendo l’inserimento nei gruppi scout o in parrocchia), per altri è fondamentale intervenire sul rapporto di coppia o sulle dinamiche e sulle capacità genitoriali. 
Per tutti il grande obiettivo ed il grande salto è costituito dal raggiungimento dell’autonomia, che talora non potrà essere totale ma necessiterà di un supporto. In questo, fondamentale è da un lato il sostegno fornito da altri membri della Comunità, dall’altro il rapporto con i servizi sociali che li seguono, oltre che il lavoro di rete sul territorio, con associazioni, cooperative, aziende ed enti esterni. 

«È un’esperienza molto ricca ed impegnativa, che coinvolge in pieno le nostre famiglie: i nostri figli, naturali o rigenerati nell’amore, stringono relazioni profonde con i bambini accolti, vivono con loro ed è molto bello vederli passare ore ed ore insieme, giocare, aiutarsi vicendevolmente. I progetti di ogni singolo nucleo famigliare sono personalizzati, in accordo costante con i servizi sociali, e si rimodellano seguendo quanto emerge dalla vita, dalle esperienze. Accanto ai progetti ben riusciti, all’autonomia raggiunta non sono mancati i momenti di fatica, le difficoltà, gli insuccessi, ma al di là di essi pensiamo che questa condivisione concreta sia una ricchezza, un valore da coltivare. Lo vediamo vero anche per i tanti giovani e volontari che nel corso degli anni hanno vissuto esperienze brevi o lunghe qui: pensiamo ai gruppi scout che vengono a vivere con noi per qualche giorno, o a chi ha svolto al Villaggio il periodo del servizio civile. 

Un aspetto molto significativo è che, come diceva don Oreste parlando della casa famiglia, ognuno diventa ricchezza per l’altro, e così nascono momenti di aiuto vicendevole: il prato della condivisione diretta si veste di nuovi, piccoli miracoli!».