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15 Gennaio 2024
Ultima modifica: 15 Gennaio 2024 ore 08:46

Guerre: giornalisti sempre più spesso nel mirino

Aumentano gli omicidi e l'isolamento dei giornalisti sia in Russia che a Gaza. Liberate oggi 2 giornaliste in Iran.
Guerre: giornalisti sempre più spesso nel mirino
Foto di EPA/MAXIM SHIPENKOV
L'escalation della guerra sia in Ucraina che nei territori palestinesi ha portato a un aumento preoccupante delle vittime tra i giornalisti e gli operatori dei media. Il difficile conto dei morti; i nomi.
Era appena qualche giorno fa: 31 dicembre, la Federazione Internazionale dei Giornalisti ,ha pubblicato la lista dei 120 giornalisti e operatori dei media morti nel 2023 (AtlanteGuerre). Inoltre, ben 547 giornalisti hanno passato il Capodanno in carcere. La Press Emblem Campaign (PEC), un'ONG svizzera con status consultivo speciale presso le Nazioni Unite, indica addirittura 140 vittime, con differenze che sono dovute ai criteri utilizzati per definire la qualifica professionale di giornalista.


Nella guerra in corso in Israele sono morti circa 23.000 palestinesi, tra cui almeno 72 giornalisti, secondo un conteggio della Reuters. E anche tre reporter libanesi. Ma le cifre non sono del tutto chiare: un'altra stima sale a 80 vittime, e un'altra ancora a 109. Il Committee to protect journalists (CPJ) ha registrato la morte di almeno 79 giornalisti e operatori dei media durante il conflitto iniziato da Israele contro Hamas indicando questo periodo come il più sanguinoso dal 1992. Sebbene l'offensiva israeliana contro la Palestina sia partita da soltanto tre mesi, la Federazione Internazionale dei Giornalisti ha indicato che il 68% dei giornalisti e degli operatori dei media morti nel mondo nel 2023 hanno perso la vita nel conflitto in Gaza.

La situazione a Gaza è particolarmente grave: dallo scorso ottobre si registrerebbe una media di quasi un giornalista morto al giorno. La maggior parte delle vittime erano freelance che lavoravano per testate anche straniere.

Ad inizio gennaio Mustafa ThurayaAli Salem Abu Ajwa e Hamza Dahdouh sono stati uccisi durante un raid attribuito all'esercito israeliano mentre svolgevano il loro lavoro a Gaza; la loro morte è stata giustificata con loro presunte complicità con Hamas.

Le purghe di Putin

Nella recente cronaca relativa al conflitto ucraino invece, ra i casi più significativi c'è quello di Zoya Konovalova, caporedattrice della redazione Internet dell'emittente televisiva e radiofonica statale di Kuban, nel sud della Russia È stata trovata senza vita nella sua abitazione e potrebbe essere stata avvelenata. Aveva lavorato come corrispondente e presentatrice per varie emittenti ed era madre di due figli, nota per il suo giornalismo indipendente e le sue critiche a Putin.

La giornalista Ekaterina Duntsova invece non ci ha rimesso la vita, ma è stata di fatto esclusa dalla vita politica del Paese: pacifista, nota per aver tentato una candidatura alle elezioni presidenziali russe contro Vladimir Putin. La sua registrazione è stata rifiutata dalla Commissione elettorale centrale russa a causa di "errori procedurali".

Poi c'è il caso dell'ex investigatore russo Serghei Khadzhikurbanov, condannato per l'uccisione della giornalista d'inchiesta Anna Politkovskaya nel 2006: dopo aver combattuto in Ucraina è stato graziato dal presidente russo. (nella foto:  Dmitry Muratov è uno dei fondatori di Novaja Gazeta, uno dei pochi giornali russi indipendenti rimasti, premio nobel per la pace 2021).

Sollievo in redazione

Per la libertà di stampa nel mondo a situazione sembra destinata ad aggravarsi ulteriormente, mentre non si vedono all'orizzonte misure concrete  per garantire la sicurezza degli operatori dei media e tutelare la libertà di espressione. Una notizia positiva arriva però oggi dall'Iran: Niloufar Hamedi ed Elahe Mohammadi, due giornaliste iraniane, sono state rilasciate su cauzione. Erano state messe in prigione nel settembre 2022 per aver denunciato la morte di Mahsa Amini, una giovane attivista iraniana di origini curde. Mahsa era morta il 16 settembre 2022 dopo essere stata arrestata per non aver rispettato le regole sull'abbigliamento femminile imposte in Iran. La sua morte aveva scatenato proteste a favore dei diritti delle donne e contro il regime degli ayatollah.