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27 Gennaio 2023

Giornata della memoria: cosa disse il papa tedesco

Il 27 gennaio di ogni anno si commemorano le vittime dell'Olocausto. Visitando il campo di Auschwitz, Benedetto XVI lanciò alcuni drammatici interrogativi.
Giornata della memoria: cosa disse il papa tedesco
Foto di Foto di Peter Tóth da Pixabay
La tragedia dell'Olocausto pone una domanda che diventa quasi un'accusa a Dio: perché ha potuto permettere tutto questo? Ma «in questa nostra ora presente, nella quale incombono nuove sventure» più che un distacco da Dio serve un risveglio della sua presenza.
«Prendere la parola in questo luogo di orrore, di accumulo di crimini contro Dio e contro l'uomo che non ha confronti nella storia, è quasi impossibile – ed è particolarmente difficile e opprimente per un cristiano, per un Papa che proviene dalla Germania».
Eppure Benedetto XVI, cristiano, tedesco, e Papa, quell’indimenticabile 28 maggio 2006 prese la parola in quello spettrale scenario costruito da uomini che in nome di ideologie disumane hanno rinunciato all’esercizio della ragione e dell’amore. E fu un grido. Un grido che ancora oggi risuona nel silenzio di Auschwitz-Birkenau: «Perché, Signore, hai taciuto? Perché hai potuto tollerare tutto questo?».
Nella giornata del 27 gennaio di questo 2023, mentre i cannoni tuonano e annunciano il pericolo di una terza guerra mondiale a pezzi (contro cui papa Francesco si batte e prega fino allo sfinimento), può essere utile esercitare la memoria affidandosi alle potenti parole pronunciate da papa Ratzinger, ad un mese dalla sua scomparsa.

Il papa tedesco ad Auschwitz

Non era la prima volta che andava ad Auschwitz. C’era già stato nel 1979, come arcivescovo di Monaco, durante il primo viaggio di Giovanni Paolo I nella sua patria. E ci era tornato nel 1980 con una delegazione di vescovi tedeschi, «sconvolto a causa del male e grato per il fatto che sopra queste tenebre era sorta la stella della riconciliazione». Nel 2006 Benedetto XVI disse che doveva tornarci, come tedesco, come successore del papa polacco, «per implorare la grazia della riconciliazione – da Dio innanzitutto che, solo, può aprire e purificare i nostri cuori; dagli uomini poi che qui hanno sofferto, e infine la grazia della riconciliazione per tutti coloro che, in quest'ora della nostra storia, soffrono in modo nuovo sotto il potere dell'odio e sotto la violenza fomentata dall'odio».

Perché Dio ha taciuto?

Fare memoria non significa avere gli occhi rivolti al passato, ma cercare nel presente le ragioni delle bene e della speranza. Fare memoria significa implorare la grazia della riconciliazione.
Papa Benedetto XVI ripeté per la seconda volta le sue domande, che sono le stesse domande smarrite e angosciate di ogni uomo di fronte ad ogni dolore innocente: «Dove era Dio in quei giorni? Perché Egli ha taciuto? Come poté tollerare questo eccesso di distruzione, questo trionfo del male?».
Il pontefice tedesco, figlio di quel popolo autore di tanto male, fece sua la domanda dell’uomo moderno, al quale non interessa giustificarsi di fronte a Dio, ma chiama Dio a giustificarsi di fronte al proprio tribunale. È un tema che attraversa la produzione teologica di Ratzinger, come emerge anche dal libro postumo (Cos’è il cristianesimo) uscito in questi giorni.
Benedetto XVI si fece interprete del grido dell’uomo, ma nello stesso tempo lo invitò a rifuggire dalla tentazione di farsi giudice di Dio e della storia. «Non difenderemmo, in tal caso, l'uomo, ma contribuiremmo solo alla sua distruzione». Il papa invitò piuttosto a insistere su quel grido verso Dio, perché non è un grido nel vuoto ma di fronte ad una Presenza. «Svégliati! Non dimenticare la tua creatura, l'uomo!». Questo grido verso Dio fa bene anche sul cuore dell’uomo «affinché si svegli in noi la nascosta presenza di Dio».
«Emettiamo questo grido davanti a Dio, rivolgiamolo allo stesso nostro cuore, proprio in questa nostra ora presente, nella quale incombono nuove sventure, nella quale sembrano emergere nuovamente dai cuori degli uomini tutte le forze oscure (…) Noi gridiamo verso Dio, affinché spinga gli uomini a ravvedersi, così che riconoscano che la violenza non crea la pace, ma solo suscita altra violenza – una spirale di distruzioni, in cui tutti in fin dei conti possono essere soltanto perdenti. Il Dio, nel quale noi crediamo, è un Dio della ragione – di una ragione, però, che certamente non è una neutrale matematica dell'universo, ma che è una cosa sola con l'amore, col bene».
Ed è questo un messaggio più che attuale in questa Giornata della Memoria 2023.

Le vittime della Shoah

La seconda parte del suo discorso il Papa la dedicò alle vittime della Shoa, ricordando di aver incontrato lungo il suo cammino lapidi scritte in bielorusso, ceco, tedesco, francese, greco, ebraico, croato, italiano, yiddish, ungherese, neerlandese, norvegese, polacco, russo, rom, rumeno, slovacco, serbo, ucraino, giudeo-ispanico, inglese.
Riguardo agli ebrei, osservò che «quei criminali violenti, con l'annientamento di questo popolo, intendevano uccidere quel Dio che chiamò Abramo, che parlando sul Sinai stabilì i criteri orientativi dell'umanità che restano validi in eterno». Per poi aggiungere: «Con la distruzione di Israele, con la Shoa, volevano, in fin dei conti, strappare anche la radice, su cui si basa la fede cristiana, sostituendola definitivamente con la fede fatta da sé, la fede nel dominio dell'uomo, del forte».
Benedetto XVI sottolinea anche la presenza di una lapide dedicata ai popoli Rom e Sinti: «Anche qui si voleva far scomparire un intero popolo che vive migrando in mezzo agli altri popoli. Esso veniva annoverato tra gli elementi inutili della storia universale, in una ideologia nella quale doveva contare ormai solo l'utile misurabile; tutto il resto, secondo i loro concetti, veniva classificato come lebensunwertes Leben – una vita indegna di essere vissuta».
Sui polacchi il pensiero va al fatto che «In una prima fase e innanzitutto si voleva eliminare l'élite culturale e cancellare così il popolo come soggetto storico autonomo per abbassarlo, nella misura in cui continuava ad esistere, a un popolo di schiavi».
Il Papa non si sottrae ad un giudizio storico completo: «Poi c'è la lapide in russo che evoca l'immenso numero delle vite sacrificate tra i soldati russi nello scontro con il regime del terrore nazionalsocialista; al contempo, però, ci fa riflettere sul tragico duplice significato della loro missione: hanno liberato i popoli da una dittatura, ma sottomettendo anche gli stessi popoli ad una nuova dittatura, quella di Stalin e dell'ideologia comunista».

Ed infine l’ultimo pensiero va al «volto di Edith Stein, Theresia Benedicta a Cruce: ebrea e tedesca scomparsa, insieme con la sorella, nell'orrore della notte del campo di concentramento tedesco-nazista; come cristiana ed ebrea, ella accettò di morire insieme con il suo popolo e per esso».
Tutte quelle lapidi «Vogliono portare la ragione a riconoscere il male come male e a rifiutarlo; vogliono suscitare in noi il coraggio del bene, della resistenza contro il male».