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27 Gennaio 2022

Giornata della memoria 2022. Perché ricordare?

Un professore accompagna gli studenti di Rimini in un viaggio d'istruzione tra i campi di sterminio da Mauthausen ad Auschwitz-Birkenau, per toccare con mano l'orrore dell'Olocausto. Le nuove generazioni decise a non dimenticare.
Giornata della memoria 2022. Perché ricordare?
Foto di Riccardo Ghinelli
Il giorno della memoria ricorda il 27 gennaio 1945. Giorno in cui l'armata rossa liberò il campo di sterminio di Auschwitz e si scoprì il dramma dell'olocausto. Il comune di Rimini finanzia viaggia d'istruzione a studenti delle superiori ai campi di sterminio.
Perché dedicare un giorno ogni anno alla memoria dell’Olocausto? L’ho capito grazie ad una iniziativa dal comune di Rimini che dal 1964 consente a studenti degli istituti superiori di partecipare a viaggi ai campi di sterminio o ad altri luoghi della memoria.
Mentre insegnavo all’Istituto per geometri “Odone Belluzzi”, nel 1994, ho aiutato gli alunni che avevano partecipato a uno di questi viaggi a raccontare la loro esperienza sul giornale d’istituto. Nel leggere i loro pezzi mi sono accorto che sapevo quelle cose, ma le avevo nascoste in qualche angolo della mente. Nonostante fossero cose terribili, dovevo ringraziarli per avermele riportate a galla.

Giornata della memoria: «Decisi a non dimenticare» 

Cinque anni dopo ho avuto anch’io l’occasione di accompagnare un gruppo di alunni di diversi istituti a uno di quei viaggi. Fra i campi visitati Mauthausen è quello meglio conservato e lascia sbigottiti per la sua fredda e spietata organizzazione. Sembrava che nulla fosse stato lasciato al caso a partire dalla scelta del luogo, su di una collina sopra una cava di pietra.
I prigionieri dovevano estrarre blocchi di granito per poi portarli in cima sulle spalle attraverso i 186 gradini della “scala della morte”, dalla quale i più deboli precipitavano, a volte spinti dalle guardie.

Mauthausen, monumento all'uomo nel ghiaccio
Foto di Riccardo Ghinelli


I ragazzi ascoltavano ammutoliti le descrizioni di chi ci guidava che raccontava come alla già dura vita del campo si aggiungessero crudeltà, come quella praticata su un generale russo che in una notte, con parecchi gradi sotto zero, fu legato a un palo e bagnato fino alla morte con getti d’acqua riducendolo a una statua di ghiaccio. Cose che aggiungevano orrore alla già triste visita alla camera a gas e ai forni crematori.
Dopo questa tappa un gruppetto, che fino allora era stato particolarmente rumoroso, smise di farsi sentire.
Anche quell’anno raccontammo l’esperienza sul giornale d’istituto.
Un’alunna ha descritto bene quello che era accaduto: «Il viaggio […] è durato ben più di quattro giorni, perché, una volta tornati, le nostre menti sono rimaste là per qualche tempo» e «dal pullman non sono scese le stesse persone che erano salite quattro giorni prima […] ognuna decisa a non dimenticare».

Lo sterminio dei disabili

Quel viaggio ha fatto tappa anche a Gusen ed Ebensee e sarebbero molte le cose da raccontare. Una in particolare mi aveva colpito nel profondo: il castello di Hartheim dove trovava conclusione la “Action T4” descritta da Marco Paolini nel monologo Ausmerzen. Si trattava dello sterminio sistematico dei disabili che venivano deportati dalle famiglie o dalle case di cura e uccisi nel giro di pochi giorni. Mi colpì il pensiero della fine che avrebbero fatto gli amici disabili che avevo imparato a conoscere e stimare.
Possiamo solo lodare l’iniziativa del Comune di Rimini che negli anni ha portato sui luoghi dell’Olocausto non meno di duemila ragazze e ragazzi degli istituti secondari di secondo grado. A questi, si aggiungono molti altri che hanno partecipato ad altre iniziative collaterali come spettacoli, proiezioni teatrali, laboratori e testimonianze dei sopravvissuti. Fra questi si possono ricordare in particolare Shlomo Venezia e Liliana Segre.

Le conseguenze dell'odio razziale o politico

Ogni scuola dovrebbe prendere in considerazione di organizzare i viaggi d’istruzione in modo da includere la visita a uno dei tanti campi di sterminio sparsi per l’Europa. Una sosta in uno di questi luoghi lascerà senza dubbio una traccia nell’animo di chiunque e può essere l’occasione per riflettere su quelle che possono essere le conseguenze dell’odio razziale o politico che si manifesta anche oggi in tante parti del mondo.
Oltre ai viaggi scolastici la visita più impressionante è stata quella ad Auschwitz-Birkenau.

Mauthausen
Mauthausen
Foto di Riccardo Ghinelli
Auschwitz, le scarpe.
Foto di Riccardo Ghinelli
Auschwitz, le scarpe. Con un omaggio a Schindler's List di Steven Spielberg
Foto di Riccardo Ghinelli
Auschwitz, le valigie
Foto di Riccardo Ghinelli


Se a Mauthausen si vede con chiarezza la spietata volontà non solo di uccidere, ma di farlo in modo crudele, ad Auschwitz si può avere un’idea di quella che è stata la vastità del piano di sterminio. Auschwitz è solo una la parte minore del complesso, quella che ora ospita il museo dove è raccolta una parte degli oggetti dei prigionieri. Oggetti personali che ci raccontano di gente strappata dalle loro case, con quanto serviva per le loro necessità quotidiane raccolte in valigie sulle quali i guardiani raccomandavano di scrivere nome ed indirizzo. Valigie che poi venivano aperte e saccheggiate. Ne rimane solo una piccola parte: al magazzino fu dato fuoco prima che arrivassero le truppe sovietiche e bruciò per tre giorni. Eppure quella piccola parte impressiona per la quantità.
Uno dei pochi ambienti dove è vietato fotografare è il mucchio dei capelli, destinati ad essere tessuti per fare da isolante. Uno dei miei pensieri fu che, se anche mi avessero consentito di usare la macchina fotografica, mai sarei riuscito a rendere in immagini la grandezza di quel mucchio. Ed erano solo quelli rimasti alla liberazione del campo.
Molto più grande è il vicino campo di Birkenau dove una volta sorgeva una distesa di baracche, ora demolita, della quale si può a stento apprezzare l’estensione. Lì arrivavano i convogli e veniva fatta una prima selezione. Una parte passava direttamente dai vagoni alle camere a gas e, secondo la guida, “quelli erano i più fortunati”.
In quel luogo incrociammo un gruppo formato da ragazzi, evidentemente studenti in viaggio. Tutti in gruppo, alcuni avvolti nella bandiera del loro paese su cui campeggiava orgogliosamente una Stella di Davide.