Topic:
25 Gennaio 2020
Ultima modifica: 29 Giugno 2022 ore 10:04

Il coraggio del giornalista Odoardo Focherini

Il suo nome è scritto su una "pietra d'inciampo" a Mirandola. Ecco la sua storia, utile per la "Giornata della memoria"
Il coraggio del giornalista Odoardo Focherini
L'autrice, tredicenne, è tra i ragazzi che hanno avuto modo di conoscere la figura di Focherini attraverso il racconto del nipote. Con l'aiuto della mamma ha raccolto questa storia, che tanto ha da dire ai ragazzi di oggi.
Tutte le estati, quando vado a prendere il gelato in Piazza Costituente, passo davanti a un grande edificio giallo. Non mi sono mai chiesta che posto fosse, anche perché una tredicenne non ha uno sguardo da scrittore e quindi non riesce a fare molto caso ai dettagli. Ma oggi è stato diverso. Mentre camminavo per fare una passeggiata per schiarirmi le idee, guardandomi i piedi ho notato sul marciapiede una mattonella dorata con sopra inciso un nome a me ben noto, quello del giornalista Odoardo Focherini, oggi beato.

Mia madre mi ha spiegato che è una pietra d’inciampo, la prima nella provincia di Modena, posata a Mirandola il 16 gennaio scorso. E così, dopo 75 anni dal suo martirio, anche noi ragazzi potremo ricordare e capire: Odoardo era uno di noi!
Odoardo Focherini a Mirandola nel 1929
Odoardo Focherini a Mirandola nel 1929

Quest'uomo vissuto durante l’Italia fascista, a Mirandola tra il 1940 e il 1944, era un uomo dai mille talenti e dalle mille passioni: giocava a burattini e cantava coi suoi 7 figli, dava voce ai ragazzi nel giornale che aveva fondato per loro, “L’Aspirante”.  Ed era pure uno scrittore di cronaca: su l’Avvenire d’Italia raccontava i fatti che succedevano nelle nostre città.

Lui era molto conosciuto soprattutto in AC (Azione Cattolica) e anch’io, che faccio parte del Gruppo giovanissimi di AC, ho avuto modo di discutere del suo vissuto. Proprio perché sono impressionanti la sua fede e la sua speranza – e pure quella di sua moglie Maria! – siamo andati a trovare suo nipote, Francesco Manicardi, giornalista e scrittore, che, insieme alla cugina Maria Peri e a Paola Focherini, tra Mirandola e Carpi, ma anche oltre i confini della nostra Emilia, proprio in questi giorni sta raccontando ai ragazzi delle scuole medie e superiori quanto è stato coraggioso e “Giusto tra le Nazioni” il nonno Odoardo Focherini. Ecco le sue risposte.

Quando scriveva e parlava ai giovani Odoardo si è trovato a denunciare le crudeltà del regime fascista? Aveva trovato un modo per dire quel che non era giusto? Oppure era prudente?

«Odoardo Focherini insieme a Zeno Saltini aveva a disposizione una tipografia nell’oratorio di Carpi, dove entrambi coltivavano una profonda passione per la carta stampata. Fondano un giornale di collegamento tra i ragazzi al quale si abboneranno circoli di tutta Italia. Diventa poi corrispondente locale dell’Avvenire d’Italia. Era uno dei pochi giornali che non seguiva volentieri i dettami del regime. Arrivavano infatti alle redazioni dei giornali le “note di servizio” che indicavano cosa si doveva pubblicare: le lodi dell’Impero, la guerra sola igiene del mondo, che le buone mamme fanno tanti figli e stanno a casa, che gli uomini e i ragazzi devono essere pronti a credere, obbedire e combattere.
Odoardo scriveva soprattutto di cronaca locale e diocesana. Ad un certo punto accetta di assumere anche l’impegno della direzione amministrativa dell’Avvenire d’Italia (senza prendere un soldo di paga!), che comportava la gestione di oltre 100 dipendenti. Cerca di mantenere libera la voce del giornale: accetta in redazione a suo rischio e pericolo Angiolo Berti, un giornalista toscano antifascista. Poi assume, ufficialmente come fattorino, Giacomo Lampronti, un giornalista ebreo che aveva perso il lavoro dopo le leggi razziali, e in questo modo gli assicura uno stipendio per mantenere la sua famiglia che farà poi espatriare in Svizzera. Nel 1942 a Bologna, in una cerimonia pubblica al giornale, parla senza peli sulla lingua: "L’uomo deve poter agire secondo la sua ragione, senza vincoli, nel rispetto di una legge che non consente a nessuno di dominare sugli altri quale che sia la motivazione. Il problema interessa anche un popolo che non può essere soggetto a nessuna tirannia". Per molto meno, la gente veniva bastonata, le veniva fatto bere l’olio di ricino o veniva mandata al confino.
Un altro ricordo dei suoi espedienti per sabotare il nuovo Regime: dopo l’8 settembre 1943 e l’occupazione tedesca, pur di non sostenere i nuovi dominatori, evita di far uscire per diversi giorni il quotidiano con la scusa della mancanza di carta. In realtà ha fatto nascondere tutte le risme, per esempio in seminario a Carpi. E anche quando i tedeschi gli danno l’autorizzazione ad andare a prenderle, spiega loro che non è possibile perché rischierebbero un incidente diplomatico col Vaticano: un’autentica beffa!» 

Quale reazione ci fu da parte del suo giornale al momento del suo arresto?

«Quando viene arrestato, a Odoardo non viene detto nulla sul motivo della sua incarcerazione. I tedeschi non hanno prove della sua attività a favore degli ebrei, ma c’è un elemento molto significativo. Sulla sua scheda di ingresso da deportato nel Lager di Flossenburg viene riportata come professione “amministratore di giornale” e non assicuratore: è chiaro quindi che per i nazisti fu decisivo il suo operato all’Avvenire d’Italia.
Il giornale gli mette subito a disposizione l’amico e collaboratore Umberto Sacchetti, vero braccio destro di Odoardo, che lo aiuta a far pervenire le lettere clandestine alla moglie e alla mamma. Oltre alla famiglia, dalla prigionìa cerca di continuare a gestire il giornale che lui chiama affettuosamente la sua "creatura di carta” e che gli sta a cuore come un figlio, nonostante lui sia in carcere senza alcuna certezza per il futuro. Ad un certo punto, capendo il proprio impedimento, offre le dimissioni ma il Consiglio di amministrazione dell’Avvenire le respinge: immaginate che conforto deve essere stato!»

E i suoi giovani dell’Azione Cattolica? Come reagirono?

«L’Azione cattolica si contrapponeva al fascismo, in particolare a livello educativo. Il Regime aveva tentato di osteggiarla, di chiuderne i circoli perché proponeva un modello di educazione alternativo a quello dei “balilla”. Ma senza riuscirci. I suoi giovani avevano altri valori, e Odoardo aveva resistito in ogni modo come dirigente e presidente diocesano di AC, cercando di tenere insieme l’associazione in quegli anni tormentati.
A questo proposito Don Valentini, l’assistente generale dell’Azione cattolica dell’epoca, subito dopo la guerra nel ’45, presiede a Mirandola una cerimonia funebre solenne, ovviamente senza il corpo di Odoardo. E nell’omelia dice parole molto forti: "Odoardo comprese bene la religione e non la scambiò mai con un’assicurata sulla vita… Il Cristo di Focherini non è un Cristo artefatto, è il Cristo vero, infinitamente semplice e grande dal viso aperto e sorridente, che dona sempre a tutti e nulla domanda. Ammirare Odoardo è giusto e doveroso ma non basta: bisogna imitarlo!".»

Delle lettere dalla prigionia qual è quella che ha segnato maggiormente la tua vita e quella della vostra famiglia?

«Le lettere,166 in tutto, sono un corpus unico in Italia, tanto che la Soprintendenza dell’Emilia Romagna qualche anno fa ha deciso di tutelarle.  Fino alla morte della nonna, Maria Marchesi, non sono state rese pubbliche, per volontà della famiglia. Un giovane prete, don Claudio Pontiroli, decide di fare una tesi su di lui e, appassionatosi a questa figura e ai suoi scritti, leggendole esortò il Vescovo di Carpi mons. Staffieri ad avviare il processo di beatificazione.
Come faceva Odoardo a far uscire tante lettere per Maria e i suoi? Odoardo era astuto ed organizzato: in carcere aveva pagato dei secondini come corrieri, nel campo di Fossoli e di Bolzano gestiva l’ufficio postale, si serviva del fruttivendolo per far uscire biglietti clandestini, scriveva su ogni supporto possibile (carta da giornale, cartoline, perfino carta igienica) pur di mandare messaggi ai suoi cari. Dal Lager di Bolzano, a Gries, utilizzando un foglio di quaderno a quadretti, scrive ai suoi figli con grafia da bambino delle elementari.
Maria e 7 bimbi 1944
Maria e 7 bimbi nel 1944

Ha ormai intuito che, pur continuando a sperare in una liberazione grazie all’intervento di alcune personalità della Chiesa, la sua sorte potrebbe essere segnata. E si ricava alcuni momenti di serenità da dedicare ai suoi bambini, inventando per loro un indovinello: "Carissimi bambini, come vedete, questa mia lettera è proprio tutta per voi e sarà scritta in modo che dovrete indovinare la città di dove è scritta... Quale sarà il premio? Porterò con me un sacco grande grande pieno di... curiosi?...". Alla fine si firma scherzosamente “Zio Barba”.
Quale valore ha avuto per i figli ricevere una lettera tutta dedicata a loro! Alla moglie Maria scrive addirittura una canzone dal campo di Fossoli. E il 13 luglio - il giorno prima 67 prigionieri del lager sono stati scelti, portati al poligono di Cibeno dai Carpi e fucilati - ricordando il fidanzamento e chiedendo una nuova promessa di fedeltà a Maria, le scrive: "Se così sarà, accettiamo anche questo con la stessa cristiana rassegnazione con la quale abbiamo accettato il passato, a te il gran carico dei bimbi in un’ora difficile e dura, a me quello del pensiero di tutti voi… La sola certezza che nulla di ciò che è dolore e sofferenza va perduto ma che tutto si tramuta in benedizione se accettata con fede ed offerta a Dio, dà la forza er pensare a te ed ai piccoli con una minore angoscia" .
Pur vedendo la morte di continuo vicino a sé, colpisce il suo sguardo di fede e la volontà di condividere con la moglie questi momenti nell’affidamento a Dio.»

Nelle relazioni tra amici, vicini e parrocchiani quali conseguenze vissero Maria e figli, subito dopo la sua morte? In chi trovarono sostegno e consolazione?

«Odoardo muore a dicembre del 1944, mentre Maria ignara continua a scrivere in Germania e a sperare. Nel giugno del ’45, a guerra finita, attraverso alcuni ex deportati le arriva la notizia tragica della morte del marito. Maria si trova vedova a 35 anni, da sola con 7 figli e i suoceri. Ha un fratello, Bruno, che l’aiuta economicamente per consentire ai nipoti di studiare. Lei sceglie una vita ritirata nel lutto - la ricordo sempre vestita di nero - esce pochissimo, perchè ogni incontro la fa commuovere e ripensare a Odoardo, ma non manca mai alla messa quotidiana.
Fin da subito tra la popolazione si sparge la fama di Focherini “martire della carità”. Gli vengono dedicate lapidi a Carpi e in Trentino, si ricorda il suo sacrificio per salvare gli ebrei. Alcuni di loro tornano a testimoniare la sua generosità: l’amico Lampronti, salvato con moglie e figli e tornato dalla Svizzera, pensate con quali sentimenti poté andare a far visita a Maria sapendo che loro erano sopravvissuti mentre Odoardo, che aveva rischiato la vita per salvarli, non c’era più.
Le comunità israelitiche italiane, anche grazie alla collaborazione di don Vincenzo Saltini, vengono informate delle condizioni di indigenza della famiglia e offrono un sostegno economico. L’amico Sacchetti da Bologna ogni tanto viene a prendere il figlio Rodolfo per portarlo allo stadio a vedere il Bologna; il signor Bignardi, un altro beneficato da Odoardo, va ogni Natale per anni a spolverare i lampadari di casa Focherini come segno di affetto.
La famiglia di Odoardo nel dopoguerra è in grandi ristrettezze ma Maria non chiede aiuto perché non vuole in nessun modo che la purezza disinteressata del sacrificio di Odoardo sia messa in discussione. Trova conforto nei parenti trentini della Val di Non, dove si sente compresa e può ricordare i momenti belli vissuti con Odoardo in montagna.»

Una testimonianza di coraggio ma anche di grande amore tra sposi, che ha tanto da insegnare ai ragazzi. C’è tanta ammirazione o ci sono ancora pregiudizi?

«C’era un amore profondo tra i due coniugi: erano alla pari, si stimavano a vicenda e condividevano ogni cosa. Maria sapeva tutto della scelta rischiosa del marito: lui, appena arrestato, le raccomanda di distruggere tutti i documenti compromettenti sulla rete di salvezza degli ebrei.
Odoardo, quando tornava a casa non pretendeva di comandare, come tanti padri di famiglia dell’epoca: avevano deciso insieme che la conduzione familiare e l’educazione dei figli spettassero a Maria. Lui giocava coi bimbi, si faceva mettere i bigodini, improvvisava scenette e canzoni…
Noi il nonno lo abbiamo conosciuto così, attraverso i ricordi familiari. Dalla bocca della nonna non è mai uscita una parola di recriminazione o imprecazione per quanto le era accaduto; men che meno abbiamo sentito parole di rimprovero verso qualcuno che magari avrebbe potuto fare qualcosa di più per tentare di salvarlo. Ha trasmesso una memoria positiva di Odoardo ai figli e ai nipoti, con l’esempio di una grande fede, provata ulteriormente dalla morte di un figlio undicenne, Attilio.
Oggi è fondamentale raccontare la testimonianza di Odoardo ai giovani, per questo sono tanti gli appuntamenti promossi dal Comitato diocesano per il Beato Focherini.
Targa Odorardo Focherini
Foto di Beatrice Tuzza

Per capire che non devo limitarmi a stare solo nel mio gruppo ma posso allargare anche lo sguardo verso gli altri. E posso imparare a superare i pregiudizi sugli altri. O anche stare attenta, quando due si azzuffano, non a fare il tifo ma a scegliere di “mettersi in mezzo”. Odoardo è stato un intermediario, infatti si è messo in mezzo. A noi forse non verrà chiesto di dare la vita ma sicuramente di imparare a pensare qual è la cosa giusta da compiere.»
(scritto in collaborazione con Irene Ciambezi)