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4 Aprile 2024

In carcere non riuscivo a chiedere aiuto

Dalla disperazione alla speranza: come il progetto CEC trasforma la vita dei detenuti.
In carcere non riuscivo a chiedere aiuto
Foto di Matthew Ansley
Andrea, ex detenuto, trova una nuova strada grazie al progetto Comunità Educante con i Carcerati (CEC), che promuove la rieducazione e il reinserimento sociale riducendo drasticamente la recidiva. Un viaggio di trasformazione che sfida le statistiche e cambia vite.

Per la mia esperienza il carcere è solo un’associazione a delinquere che porta a peggiorare la propria personalità e, una volta usciti, si continua a ricommettere gli stessi sbagli.
Anche se abbiamo fatto del male, non è detto che saremo così per tutto il cammino della vita.

L’attuale sistema carcerario italiano, costa ad ogni contribuente 500 euro annui, presentando un livello di recidiva del 75% (la maggior parte dei detenuti scelgono nuovamente la via delinquenziale, avendo trovato nel carcere una nuova scuola del crimine) rivelandosi costoso, degradante e spesso inefficace.  Un’alternativa concreta a questa giustizia vendicativa è il progetto CEC (Comunità Educante con i Carcerati) per la rieducazione e il reinserimento sociale dei detenuti, che abbassa la percentuale di ricadute al 15% e il costo della retta giornaliera per lo Stato a 35 euro.

«Le pene devono tendere alla rieducazione» stabilisce l’art. 27 della Costituzione: la Comunità Papa Giovanni XXIII, che attua il progetto, mira infatti ad offrire ai partecipanti una formazione umana, valoriale e professionale all’interno delle case che mette a disposizione, perché i detenuti (chiamati nel contesto “recuperandi”) vivano il loro cammino di reinserimento sociale in una dimensione di famiglia.

Nello sbaglio di uno c’è lo sbaglio di tutti. Per recuperare uno è necessario il coinvolgimento di tutti” - affermava don Oreste Benzi, fondatore della Papa Giovanni. Per questo, le comunità esterne vengono coinvolte attraverso numerosi volontari, appositamente formati, che instaurano relazioni di amicizia e dialogo con i singoli detenuti, che, inoltre, condividono attività e vita quotidiana anche insieme a ragazzi disabili, in un clima di responsabilità reciproca.

Il percorso si divide in tre fasi: riflessione sul proprio vissuto e valorizzazione delle proprie capacità, formazione al lavoro e sperimentazione della libertà e dell'autonomia diurna con rientro serale. In questo modo, guardando all’uomo e non all’errore, la strada verso un futuro diverso è possibile. 

Andrea F. sta vivendo in Casa Betania, sui Colli Riminesi, la sfida, le fatiche e le gioie di questo percorso di ritorno alla vita dopo un passato tormentato, tra crimini, carcere e dolore.

«Nel mio cuore è cresciuto il male sin dalla mia infanzia»

Il male ha preso il sopravvento sul bene, facendoti cadere nell’errore e quindi nel carcere. Spesso diciamo che “il male cresce nelle ferite del cuore dell’uomo”. Cosa ti è accaduto? 

«Nel mio cuore è cresciuto il male sin dalla mia infanzia. Sono nato in una famiglia normale e tranquilla, tuttavia i litigi e i problemi economici, a lungo andare, mi hanno causato stress e molta rabbia. Il mio comportamento dai 15 anni è peggiorato: ho iniziato a spacciare e fare furti, entrando in varie abitazioni private. Non lo facevo, in realtà, per soldi, ma perché volevo sfogare lo stress e la rabbia che mi portavo dentro. Infine, a 17 anni, ho conosciuto una persona che ha iniziato a offendermi, a minacciare la mia famiglia e a dire delle cose non vere sul mio conto; io ho lasciato perdere la prima e la seconda volta, ma alla terza non ci sono riuscito, perché ero molto nervoso anche a causa della separazione dei miei genitori. Ho usato la violenza: l’ho rintracciato chiedendo ad un’amica di invitarlo a casa sua ed avvertirmi, così sarei arrivato con mio cugino. Quindi l’ho sequestrato, picchiato e insultato per circa 6 ore, rapinato e rotto le ossa del naso.»

«La gente mi vede come un individuo pericoloso, ma non lo sono realmente»

Riesci, guardando indietro, a risalire, non tanto alle colpe ma alle condizioni che possono averti indotto allo sbaglio?

«Nella mia vita ho fatto tanti sbagli e errori: nel passato mi sembravano solo delle bravate e commettendole non ci ragionavo, poi, col passare del tempo, ho capito i miei errori. Ad esempio, sto cercando di migliorare nell’approccio con il prossimo, infatti io sono una persona molto chiusa e la gente mi vede come un individuo pericoloso, ma non lo sono realmente: mi comportavo così per la situazione in famiglia, tra i litigi ed i problemi economici. Ora la mia intenzione è quella di aprirmi con le persone in maniera educata e sincera. Devo abbandonare il passato e devo andare avanti con pazienza e serietà, trovare un lavoro che veramente desidero col cuore, amare la famiglia sinceramente e fare il bene, non più il male, anche superando le sofferenze e le situazioni difficili.»

«In carcere mi sentivo perso e abbandonato»

L’esperienza del carcere ti ha aiutato?

«Durante la mia prima esperienza del carcere ero veramente disorientato, mi sentivo perso e abbandonato. Poi mi sono detto che avrei dovuto scontare la mia pena e lo avrei fatto senza lamentarmi. Quando i miei familiari si preoccupavano per me, io gli ribadivo che stavo bene, perché non volevo farli soffrire, ma in realtà non era così. Ad un certo punto ho raccontato la verità, come si stesse davvero in carcere: provavo sempre dolore dentro di me. Per la mia esperienza il carcere è solo un’associazione a delinquere che porta a peggiorare la propria personalità e, una volta usciti, si continua a ricommettere gli stessi sbagli, se non peggiori. I giorni dentro sembrano non passare veramente mai, si perde l’orientamento: io passavo tutto il giorno a fumare sigarette e bere caffè, mi sentivo costantemente sotto stress, non mi muovevo mai, ma, soprattutto, non sapevo chiedere aiuto

Come sta andando l’esperienza comunitaria? Quali sono le difficoltà che hai dovuto superare?

«L’esperienza in comunità (CEC) sta andando veramente bene. Il primo giorno mi è parso di entrare in un altro mondo, più reale. Ammetto, però, che inizialmente mi sono sentito perso perché dovevo prendere l’abitudine di vivere un ambiente così diverso. Ora in Casa Betania mi sto aprendo con le persone, con sincerità, capendo le difficoltà che hanno anche gli altri recuperandi e per rimediare agli sbagli fatti in passato sono pronto ad aiutare gli altri: questo mi soddisfa veramente e rasserena molto.» 

Quali sono gli strumenti del progetto CEC che più ti hanno aiutato nell’affrontare i tuoi problemi?

«Uno degli strumenti che più mi ha aiutato è quello del resoconto. Si tratta di un momento di silenzio dove noi recuperandi abbiamo 30 minuti per scrivere le emozioni e i sentimenti della giornata. Questo strumento mi piace, perché mi aiuta ad essere più libero, ad avere più pazienza e tranquillità; potrei paragonarlo quasi ad una terapia per la gestione della rabbia o dello stress. Oltre a questo, uno strumento che penso di poter usare in futuro è “recuperando aiuta recuperando”.» 

Come hai vissuto la presenza di persone disabili all’interno della casa? Che cosa ti ha trasmesso o insegnato la loro presenza?

«La loro presenza mi ha insegnato l’importanza di aiutare il prossimo. In particolare io aiuto Marino, un signore anziano diversamente abile all’interno della casa, e lui aiuta a me, donandomi felicità anche solo con il suo sorriso e la sua allegria, nonostante i suoi 81 anni.»

«Anche se abbiamo fatto del male, non è detto che saremo così per tutto il cammino della vita»

Persone con il vissuto come il tuo spesso provano tanta rabbia e devono, oltre che chiedere perdono per il male fatto, anche perdonare se stessi e coloro che hanno fatto del male a loro. Cosa puoi dirci a riguardo?

«Anche se abbiamo fatto del male, non è detto che saremo così per tutto il cammino della vita. Tutti noi proviamo dello stress e della rabbia dentro, tutti noi sbagliamo. Ma per perdonare noi stessi e levarci quel peso che portiamo dentro, dobbiamo camminare sulla retta via, anche sotto l’effetto dello stress o della rabbia. Non bisogna uscire fuori dal sentiero, ma aiutare il prossimo ed essere sempre sinceri ed onesti con tutte le persone al mondo, anche se ci sono degli ostacoli imprevisti. È necessario, però, perdonare. Dobbiamo prima fare pace con noi stessi, dentro il nostro cuore, che deve essere pulito.»

«Desidero col cuore impegnarmi in questo programma rieducativo»

Con quali pensieri guardi il tuo passato? Tendi a rimuginare? Ti senti sbagliato, fallito? Oppure redento?

«Io vivo in modo tranquillo e sereno perché tutti abbiamo una speranza, anche se abbiamo fatto del male. Cerco di essere sempre utile e disponibile con tutti, e di avere un po’ tempo per me, per pensare e riflettere sugli sbagli fatti. Il passato lo vedo come un ricordo brutto e negativo ma che, ormai, ho lasciato in una cassaforte chiusa a chiave. Posso dire che non rifarò più gli stessi sbagli, non provocherò più del male. Non mi sento un fallito e neanche perso: sto migliorando e dimenticando i brutti momenti del passato. Sento ed apprezzo l’aiuto che mi stanno dando le persone in comunità, che veramente lo fanno per il mio bene. Mi vedo allegro e felice, anche perché la mia famiglia non porta più quel peso di sapere il proprio figlio in un ambiente come il carcere, ma possono vedere che veramente desidero col cuore impegnarmi in questo programma rieducativo. E questo bel sentimento mi dà una carica ed un’energia positiva che non mi fa provare rabbia.»

Come vedi il tuo futuro? Quali sono i tuoi desideri?

«Non so come vedere il mio futuro adesso, ma di sicuro, se continuerò così, senza fare del male e non commettendo più atti delinquenziali, sarò perdonato e libero. Il mio desiderio è quello di diventare un imprenditore informatico; infatti, prima di finire in carcere, avevo negozi su Internet, dove facevo import-export e desidererei tanto riprendere, anche a fare il designer. So che vivrò un nuovo inizio, che porterà sicuramente ad un cambiamento positivo a lungo termine e conoscerò finalmente la vita reale