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19 Dicembre 2025
Ultima modifica: 19 Dicembre 2025 ore 09:18

In dialogo con don Oreste Benzi

I retroscena di un'amicizia che sfida la morte
In dialogo con don Oreste Benzi
Da oggi è disponibile in tutte le librerie e negli store online un nuovo libro che fa vivere un incontro a tu per tu con un sacerdote straordinario.
Esce in libreria il nuovo libro In dialogo con don Oreste Benzi, pubblicato da Sempre Editore e scritto da Valerio Febei. L’ennesimo libro che parla del sacerdote dalla tonaca lisa? Sì e no. Sì: in vista del centenario della nascita di don Benzi sono stati dati alle stampe diversi libri che parlano dell’infaticabile apostolo della carità. No: fin dalle prime pagine l'autore un po’ ci disorienta con la scelta audace del dialogo come forma letteraria. Febei adotta un linguaggio schietto e familiare, un colloquio tra amici stretti, o meglio una conversazione confidenziale.
Come forse tanti ricorderanno, don Oreste appariva spesso in televisione, soprattutto per parlare delle schiave della strada: a volte veniva coinvolto in contraddittori dove faceva fatica a intervenire, eppure non negava mai la sua partecipazione. Ma per conoscere com’era don Benzi nella vita ordinaria, negli avvenimenti spiccioli di una quotidianità spesso data per scontata, ci possiamo affidare al racconto dell’autore: leggendo gli aneddoti raccolti in questo libro sembra quasi di vedere un video girato dietro le quinte, un “backstage” che ha il pregio di restituire l’immediatezza e la spontaneità del sacerdote riminese.
Valerio Febei non scrive una biografia agiografica, ma un flusso di ricordi personali, aneddoti e riflessioni che riescono a catturare l'essenza del prete romagnolo: un "bufalo in discesa" – come lui stesso si definiva – caratterizzato però da una fede prorompente e da un’azione instancabile.
Libro In dialogo con don Oreste Benzi
Esce in libreria il nuovo libro di Valerio Febei "In dialogo con don Oreste Benzi"
 
Un libro che rende palese un'amicizia, quella tra l’autore e don Benzi, che sfida la morte e riesce a rendere presente una persona che è rimasta dentro al cuore, anche se ora non è più visibile agli occhi del corpo.
Il libro è ora disponibile in tutte le migliori librerie e negli store online. Per l’occasione, abbiamo rivolto alcune domande all’autore, Valerio Febei, che ha affiancato don Oreste Benzi all'inizio degli anni '90, periodo in cui la Comunità Papa Giovanni XXIII si sviluppava e si espandeva.
Sposato con Rita Pellecchia, Valerio è padre di 9 figli. Valerio e Rita hanno condiviso la vita in una casa famiglia e sono stati per un periodo in missione in Russia con la Comunità Papa Giovanni XXIII. Valerio, originario di Pontecorvo (FR), classe ’47, è stato professore di Lettere in alcuni istituti secondari e ha scritto anche altri due libri: Storie di amori e matrimoni nella Bibbia (Editore Sempre) e La cupola di S. Ivo alla Sapienza (Edizioni Europa)
Oggi vive a Coriano, vicino a Rimini, e scrive commenti biblici per la comunità monastica “Piccola famiglia della Resurrezione”, pubblicati sul web. 

Valerio, raccontaci come hai conosciuto don Oreste.
«Io e mia moglie eravamo alla ricerca di una proposta di vita cristiana concreta e coerente e, vista la mia particolare tensione contemplativa, fummo indirizzati verso la comunità di Montetauro, fondata da don Lanfranco Bellavista. Vivemmo la vita comune, sposi e laici, per qualche anno, ma lo stile monastico di quella comunità non faceva per noi. Abbiamo conosciuto don Oreste nel 1985 circa, tramite Silvana Zanchin, che faceva parte della Comunità Papa Giovanni XXIII. Ci siamo incontrati a Mirano, ma non scattò subito un’attrazione particolare. Dopo l’esperienza a Montetauro chiedemmo di incontrare nuovamente don Oreste e da lì partì tutto. Divenni un collaboratore stretto di don Oreste, mi occupavo delle sue carte e delle sue lettere, della sua biblioteca e di tanto altro. Si creò una bella familiarità tra noi. Poi iniziammo anche le accoglienze in casa nostra e diventammo una casa famiglia nel 1992.»
famiglia febei in russia
Valerio Febei, al centro della foto, durante un momento conviviale in Russia, insieme a don Benzi. La famiglia Febei visse l'esperienza missionaria per alcuni anni

 
Dal libro emerge un'amicizia profonda tra te e don Oreste: cosa ti ha spinto a "dialogare" con lui a quasi vent’anni dalla sua morte? Cioè: quando hai capito che non ti bastava più custodire dentro di te il ricordo di don Oreste e che dovevi trasformare quel dialogo interiore in un libro aperto anche agli altri?
«Era da anni che avevo del materiale sparso: ricordi, desideri, nostalgie. Mi sono chiesto cosa farne, come organizzare questo materiale e ho pensato che non sarei stato in grado di fare un testo cronachistico, anche perché ce n’erano già altri di libri “su” don Oreste. Mi sono chiesto: cosa serve a me? A me serviva stare in dialogo con don Oreste. Io non ho inteso fare un libro perché don Oreste fosse conosciuto, perché è già conosciuto, e poi ci sono tanti audio o video. A me serviva qualcosa per stare insieme a lui e ne è venuto fuori quasi un diario personale. Non mi sono preoccupato di quanti avrebbero letto il libro. Questo mettermi in dialogo con lui è diventato una finzione letteraria, ma il mio intento passa attraverso una relazione: racconto di don Oreste, ma visto attraverso il filtro del rapporto che io ho avuto con lui. Perdonami questo paragone: anche i Vangeli non sono racconti oggettivi, ma racconti di qualcuno che ha amato Gesù, qualcuno che pendeva dalle sue labbra. Questo libro è un attestato, un atto dovuto, non potevo tacere: dovevo rendere chi era don Oreste per me. Quando si è visto, non si può far finta di non aver visto! Lui lo diceva in ordine alla giustizia e ingiustizia nei confronti dei poveri. Io non posso lasciare che il tempo vissuto con lui rimanga dimenticato o messo da parte. Voglio confessare, a me stesso e davanti a tutti gli altri, l’importanza che don Oreste ha avuto per me: io so chi è stato don Oreste per me e il tempo non cambia questo. Nel mondo degli uomini il passato viene derubricato dal presente. Non è vero che il passato non esiste più. Il passato è ancora, è adesso, le cose non passano. Don Oreste, a proposito della morte, diceva: “Nel momento in cui chiuderò gli occhi a questa terra, la gente che sarà vicino dirà: è morto. In realtà è una bugia. Sono morto per chi mi vede, ma in realtà la morte non esiste perché appena chiudo gli occhi a questa terra mi apro all'infinito di Dio”. A motivo di questa sua certezza che la morte non esiste, mi sono messo in dialogo con lui.
Ma se il libro alla fine è stato stampato, lo devo a mia figlia Francesca, che a settembre 2024 mi ha intimato di completare l’opera, dicendomi: “L’anno prossimo c’è il centenario, tu devi finire il libro!”. E così ho fatto, grazie anche al prezioso aiuto di mia figlia Miriam.»
Valerio Febei legge il suo libro

 
Se pensi ai tanti incontri, ai viaggi in auto con lui, alle discussioni accese: qual è la scena che ti viene spontaneo raccontare per prima quando ti chiedono “che tipo era, davvero, don Oreste?
«Questa domanda me la fecero anche subito dopo la morte di don Oreste: ricordo che lui era ancora in chiesa, nella bara, e tante persone andavano per l’ultimo saluto. Su Radio Maria ci fu la recita del rosario e mi fu chiesto di aprire una decina con una riflessione su don Oreste. Anche allora dissi che quello che mi è rimasto impresso maggiormente è la sua infaticabilità: dormiva in piedi ma andava avanti, si addormentava mentre parlava con noi e poi diceva: “dimmi solo l’ultima cosa che hai detto”. Non ci sarà mai un uomo che fatichi così tanto e che si dia tanto da fare per i poveri. Poi mi ha impressionato anche la guerra che faceva contro l’ingiustizia. Quando succedeva un’ingiustizia lo vedevo come se si armasse, prendendo tutte le energie per lottare contro quell’ingiustizia. Lui diceva “Mi metto in Gesù”. Per lui davvero non si poteva tollerare l’ingiustizia. Cos’è più importante? L’amore o la giustizia? Lui diceva: “La giustizia, perché senza giustizia non c’è pace!”. Mi impressionava il suo coraggio, che però è questione di amore, non di coraggio, che tirava fuori per combattere contro le ingiustizie, non temeva nulla. Quando ad esempio denunciò il racket delle ragazze. Mi ricordo che andò a testimoniare contro alcuni nigeriani sfruttatori di tante ragazze e, alla fine del processo, dopo che fu emessa la sentenza di condanna, chiese di avvicinarsi alla gabbia degli imputati. Diede loro la mano dicendo: “Adesso scontate un po’ di pena e poi venite da noi ad aiutarci per liberare le schiave!”.
Finché non conobbi don Oreste, non avevo capito che la nostra società vive su una piattaforma galleggiante, sopra un mare di poveri, che si nascondono alla nostra vita. Mi ha sempre colpito anche l’equanimità con cui trattava con i potenti e con i poveri. Mi emoziona sempre l’episodio che tante volte don Oreste ha raccontato, di quando suo padre aiutò quel proprietario terriero a disincagliare l’auto dal fango, di come alla fine dicesse: “E poi mi ha dato la mano”. Da quell’esperienza don Oreste capì che suo padre si sentiva riconosciuto perché quel tale in giacca e cravatta gli aveva dato la mano. Don Oreste da allora si intestardì a vivere la sua vita per stare al fianco dei poveri, di coloro che quasi chiedono scusa di esistere. Secondo me è nata lì la sua vocazione a stare con i poveri.»
 
Per come lo hai conosciuto, come avrebbe reagito don Oreste davanti alle sfide dei giovani di oggi – social media, disuguaglianze digitali, solitudini iperconnesse?
«Don Oreste seguiva molto la pubblicistica giovanile, comprava i settimanali giovanili e seguiva la musica, parlava di “grunge” e noi non sapevamo cosa fosse. Rispetto a queste problematiche giovanili, lui avrebbe guardato alla persona, avrebbe visto l’incapsulamento e avrebbe proposto di aprirsi agli altri e a Dio, di fare volontariato, di mettersi al servizio dei più emarginati. Perché dare la vita per gli altri è già essere liberi. Durante la sua vita ha proposto a tanti ragazzi usciti dalle comunità terapeutiche di andare nelle missioni all’estero per impegnarsi per gli altri. È questo che ti libera: dando la tua vita, tutto l’incapsulamento sparisce, si sbriciola. Lui era a favore della vita, non si fermava alle mode del momento, ma la sua posizione era quella di proporre un impegno a favore degli altri, soprattutto dei più emarginati. Lui faceva sempre una proposta valoriale, non di valori campati per aria, non con le prediche, ma faceva proposte di vita. Cioè faceva della pedagogia una proposta di vita che sconfiggevano alla radice il non senso, l’impasticcamento o l’incapsulamento che possono provocare i social.»