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2 Marzo 2021
Ultima modifica: 5 Marzo 2021 ore 10:42

L'Iraq martoriato chiama Francesco

Le comunità cristiane superstiti si rivolgono al Pontefice: il reportage.
L'Iraq martoriato chiama Francesco
Foto di ANSA
La paura, le chiese bruciate e poi la fuga. Annalisa Milani Giorgio Gardiman si sono da sempre occupati di progetti di solidarietà. Dopo il volontariato di Giorgio nelle carceri in Italia, le esperienze missionarie in Brasile, l'impegno di Annalisa in tutto il mondo come Osservatrice elettorale delle Nazioni Unite, la coppia ha compiuto numerosi viaggi in Iraq fra i cristiani perseguitati. Gli italiani a Baghdad. Tratto dal Sempre Magazine.
Papa Francesco è in visita dal 5 all'8 marzo 2021, in Iraq. A Qaraqosh, a Mosul, nella Piana di Ninive e negli altri luoghi dei cristiani siriaco iracheni, dopo anni di distruzioni e violenza.

Ad attenderlo, come raccontano sul sito dell'Associazione di Don Benzi, i volontari della Comunità Papa Giovanni XXIII (ndr).

Il sogno di vedere il Papa qui, mio e di mio marito Giorgio, sempre ripetuto e mai perduto anche durante il periodo più tragico dell’esodo, finalmente si realizza.
Io e Giorgio arrivammo per la prima volta nella Piana di Ninive alla fine dell’anno 2010. La piana di Ninive si trova nell'est del Paese e a nord-est della città di Mosul, nel governatorato iracheno di Ninive. L’antica città di Ninive sorgeva dove oggi si trova la periferia orientale di Mosul, sulle rive del fiume Tigri. Avevamo avuto il piacere di incontrare in Italia padre Jallal, rogazionista iracheno. Con estrema drammaticità ci aveva parlato della situazione della piana di Ninive, già tenuta in scacco da estremisti islamici radicali che continuavano a compiere attentati contro cristiani. Noi arrivammo a Ninive passando per Erbil in Kurdistan. Da pochi mesi l'esercito Usa, impegnato dopo la morte di Saddam Hussein nel tentativo di controllare il territorio, aveva abbandonato il terreno, lasciandovi tracce pesanti.

Chiesa distrutta a Mosul
Chiesa distrutta a Mosul
Foto di Giorgio Gardiman
Chiesa della Madonna Immacolata a Qaraqosh
Chiesa della Madonna Immacolata a Qaraqosh, qui Papa Francesco reciterà l'Angelus a marzo 2021.
Foto di Giorgio Gardiman
Militari a guardia delle chiese di Qaraqosh
Militari a guardia delle chiese di Qaraqosh si scaldano nella notte.
Foto di Giorgio Gardiman


Mi impressionò attorno ad Erbil e a Qaraqosh la vista di molteplici postazioni americane abbandonate, fatte con sacchi di sabbia. Rimanemmo nell’area più di due settimane scoprendo la complessità e la bellezza di quel posto, incrocio di lingue: arabo, siriaco, aramaico, kurdo. L'intera zona è stata un incrocio, sin dal primissimo espandersi del cristianesimo, di religioni: cristiani siriaci-caldei, cristiani ortodossi, mussulmani, persone di religione yazida. Scoprimmo che la violenza contro le comunità cristiane da parte di gruppi radicali era già sul terreno. La gente aveva paura, gli abitanti di Qaraqosh presidiavano la città, giorno e notte, con milizie volontarie armate.

In Iraq come i primi cristiani

Lì incontrammo per la prima volta coloro che negli anni diventeranno la nostra bussola: Yasser, Raid, Wisam, tre monaci iracheni che avevano costituito una piccola comunità cristiana nel mezzo del quartiere mussulmano a Qaraqosh. Negli anni seguenti fummo, per piccoli periodi, parte di questa  piccola comunità di monaci ed avemmo modo di misurare, oltre alla grande ospitalità, anche il deteriorarsi della situazione, giorno per giorno, in termini di sicurezza. Gli attacchi terroristici si facevano sempre più frequenti; non si andava più a Mosul a 20 km di distanza, e molte persone avevano iniziato ad emigrare. Per ogni spesa ci si portava ad Ankawa, parte cristiana di Erbil, a 80 km.

Cerimonia della prima comunione a Qaraqosh
Cerimonia della prima comunione a Qaraqosh, a due anni dalla liberazione.
Foto di Giorgio Gardiman


All’inizio di gennaio 2014 ricevevamo dalla piana di Ninive telefonate sempre più tragiche: «Gruppi dell’Isis si stanno preparando per attaccarci»! Nella notte tra il 6 e il 7 agosto 2014  accadde il peggio. Cercammo di chiamare tutti gli amici, ma nessuno ci rispondeva più. Vi furono tre giorni disperati. Finalmente alle 2 di notte del quarto giorno la voce di Wisam si fece sentire. Assieme a 100 mila persone, che non avevano avuto nemmeno il tempo di raccogliere i documenti essenziali, i monaci avevano percorso a piedi gli 80 km che li separavano da Erbil. Lì uomini, donne, bambini, anziani, avevano trovato un primo rifugio sulle strade, nei giardini pubblici. Iniziava il lungo e doloroso percorso da profughi. Per due anni fummo con gli abitanti, per brevi periodi, nei campi profughi, nei containers, ad ascoltare storie senza speranza, violenze subite da persone che avevano perso tutto ma non la fede.

Le strutture delle chiese locali divennero luoghi di primo soccorso: le persone sistemavano alloggi, dirigevano campi, distribuivano cibo. Nessuno sapeva che cosa aspettarsi e se ci sarebbe stato un futuro. Continuammo a percorrere campi profughi fino a novembre 2016, quando arrivò la notizia da Qaraqosh che i vari eserciti di liberazione dall’Isis erano arrivati e che la resistenza si era attestata attorno a Mosul. Arrivammo ad Erbil con l’amico monaco Wisam. Nonostante la tanta paura, e pensieri, ci convinse a percorrere gli 80 Km che dividevano Erbil da Qaraqosh. Non sapevamo se saremmo stati lasciati passare dalle truppe che pattugliavano la strada, ma la capacità di Wisam di coinvolgerci, e di credere nella coroncina del Rosario che aveva nel cruscotto dell’auto, ci bastò.

Fra i cristiani perseguitati, dopo la lunga notte

Il percorso fu ad ostacoli, eravamo tra i primi che si portavano a Qaraqosh; man mano che ci avvicinavamo alla città il silenzio diventava più profondo. Le case, tutte le costruzioni erano o bruciate o sbriciolate dalle bombe. Entrammo a Qaraqosh piangendo. La città fantasma mostrava solo relitti di case mitragliate, bruciate; tutto era stato devastato. I campanili mitragliati si piegavano miseramente su se stessi, le chiese mostravano antri oscuri dati alle fiamme. Wisam si portò verso il loro piccolo monastero; fu un momento impressionante, tutto era stato bruciato, dentro e fuori.

Il monaco Wisam
Il monaco Wisam ritorna in una stanza del suo monastero risparmiata dalle fiamme.
Foto di Giorgio Gardiman


Wisam, come tutti coloro che rientrano, si buttò tra i relitti per cercare ricordi: pagine bruciate di libri sacri, stoviglie sparse ovunque, in un balcone squarciato uno spago con ancora gli appendini, computers calpestati, immagini sacre graffiate o annerite, foto mezze bruciate. Per ore la commozione prese la gola di tutti e per ore non ci fu una parola tra noi. Passammo la notte dentro un riparo di fortuna, con il tremore della terra che sobbalzava per le bombe che venivano sganciate su Mosul a 20 km di distanza. All’alba nella città fantasma incontrammo un altro matto che con la macchina fotografica andava fotografando tutto: era padre George Iahola, che poi diventerà il grande artefice della ricostruzione. A due anni di distanza verrà quasi completata, riportando a casa quasi metà della popolazione: circa 50 mila persone ad oggi.

Giovani iracheni cristiani di Qaraqosh
Giovani iracheni cristiani di Qaraqosh ritornati nel 2018 dopo la liberazione.
Foto di Giorgio Gardiman


Nell’estate 2018 ritornammo in quella che ormai sentiamo un po' la nostra seconda casa; il mio obbiettivo era vedere finalmente una Mosul liberata dalle milizie dell’Isis. Con la scorta armata del vescovo di Qaraqosh, assieme a padre Jallal e Wisam, percorremmo finalmente i 20 km che ci avevano sempre separato da questa antichissima e preziosissima città, rinomata al tempo dai sumeri e per tutto il periodo della civiltà mesopotamica.

Papa Francesco e una Chiesa tutta da ricostruire

Lo shock nell’incontrare una città che era stata rasa al suolo dalla violenza fu enorme, ed ancora oggi le immagini si sono stampate nei miei occhi. Forse chi vide la città tedesca di Dresda dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale può avere un’idea; o Stalingrado dopo 4 anni di assedio.

Fra i volontari italiani di stanza a Baghdad

La Comunità Papa Giovanni XXIII è presente in Iraq, a Baghdad, da febbraio 2015. Accompagna un gruppo di persone disabili proponendo loro un'esperienza di vita in famiglia, in alternativa all'inserimento in strutture. Collabora con i movimenti locali impegnati per la promozione della pace e per la tutela dei diritti umani. Leggilo gratis su Sempre Magazine. (ndr).

Giovani del Social Forum a Piazza Tahir
Volontari della Comunità Papa Giovanni XXIII insieme ai giovani del Social Forum a Piazza Tahir, ottobre 2019.
Foto di Giorgio Gardiman
Disabili fanno giardinaggio
Nella Casa famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII in Iraq le persone con disabilità sono impegnate nei lavori di tutti i giorni
Volontari e bambini fanno le capriole sul cemento
Presenza dei volontari italiani a Baghdad


In tutta questo lungo pellegrinaggio un solo grido ho sentito sempre risuonare: «Papa Francesco vieni ad incontrarci e a darci speranza!». Ora per i cristiani siriaco-caldei, il grido sta diventando realtà.