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10 Aprile 2023
Ultima modifica: 11 Aprile 2023 ore 12:11

La Pacem in terris compie 60 anni

Fu pubblicata da papa Giovanni XXIII all'indomani della "crisi di Cuba" che aveva portato il mondo sull'orlo di una nuova guerra mondiale.
La Pacem in terris compie 60 anni
Per Giovanni XXIII la pace non può essere ottenuta con l'equilibrio di forze militari ma attraverso l'uso della ragione che porta a rifondare il rapporto tra Stati sul rispetto dei diritti umani. Don Benzi commentava: il papa propone la resistenza nonviolenta.

Al punto 60 dell’enciclica Pacem in terris, Giovanni XXIII riporta una frase del suo predecessore Pio XII: «Non si deve permettere che la sciagura di una guerra mondiale con le sue rovine economiche e sociali e le sue aberrazioni e perturbamenti morali si rovesci per la terza volta sull’umanità». È una frase che letta oggi, dopo che un altro pontefice, Francesco, da anni denuncia una terza guerra mondiale a pezzi, induce ad amare riflessioni: gli uomini sembrano dare più retta ai signori della guerra che ai profeti della pace. 

L'ultima enciclica di Giovanni XXIII, tra ottimismo e preoccupazione

L’11 aprile si celebrano i sessant’anni dell’enciclica Pacem in terris, l’ultima di Giovanni XXIII, pubblicata pochi mesi prima della morte, quasi un testamento spirituale. Si tratta di una enciclica che ebbe, all’uscita, un’eco molto vasta, che superò i confini del mondo cristiano. Arrivava diciotto anni dopo la conclusione del secondo conflitto mondiale, ma la nuova stagione di pace era già stata gravemente turbata da eventi come la costruzione del muro di Berlino nel 1961 e la crisi di Cuba del 1962 quando l’installazione di missili sovietici aveva fatto temere un conflitto nucleare.
L’enciclica di Giovanni XXIII risente nello stesso tempo di un clima di realistico ottimismo per i progressi in campo sociale, scientifico, tecnologico, economico ottenuti negli ultimi anni, e di un clima di forte preoccupazione per la corsa agli armamenti che la “guerra fredda” fra i due blocchi (Occidente capitalistico e Oriente comunista) alimentava.
È la conferma che la dottrina sociale della Chiesa, anche quando fissa principi universali e validi per sempre, nasce e si sviluppa in un confronto vitale fra l’esperienza della comunità cristiana e il mondo circostante; la dottrina sociale è, insomma, una risposta storica alle domande, ai problemi, alle situazioni che gli uomini vivono in un determinato periodo.

Riscoprire l'ordine voluto da Dio

Fin dal principio dell’enciclica, il papa avverte che se la pace sulla terra è l’«anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi», essa però «può venire instaurata e consolidata solo nel pieno rispetto dell’ordine stabilito da Dio». Insomma, la pace non è frutto degli sforzi degli uomini, ma si afferma solo se gli uomini rispettano l’ordine voluto da Dio. La parola "ordine" a quel tempo era una parola ostica, perché sembrava appannaggio di una parte politica. Ma cosa intendeva il papa usando questa parola?
Ecco la risposta: «Con l’ordine mirabile dell’universo continua a fare stridente contrasto il disordine che regna tra gli esseri umani e tra i popoli; quasicché i loro rapporti non possono essere regolati che per mezzo della forza. Sennonché il Creatore ha scolpito l’ordine anche nell’essere degli uomini: ordine che la coscienza rivela e ingiunge perentoriamente di seguire: ogni essere umano è persona».
Il grande pilastro su cui si può reggere la pace è dunque il rispetto della persona umana, perché «Nell’epoca moderna l’attuazione del bene comune trova la sua indicazione di fondo nei diritti e nei doveri della persona. Per cui i compiti precipui dei poteri pubblici consistono, soprattutto, nel riconoscere, rispettare, comporre, tutelare e promuovere quei diritti; e nel contribuire, di conseguenza, a rendere più facile l’adempimento dei rispettivi doveri».

Puntare sui diritti della persona

L’enciclica passa in rassegna i diritti della persona: diritto all’esistenza e a un tenore di vita dignitoso, diritto alla ricerca del vero, alla cultura, all’istruzione, diritto alla libertà religiosa, diritto alla libertà di scelta del proprio stato (matrimonio, sacerdozio, vita religiosa), diritto di libera iniziativa in campo economico e diritto al lavoro, diritto ad una retribuzione del lavoro determinata secondo i criteri di giustizia, diritto di riunione e di associazione, diritto di emigrazione e di immigrazione, il diritto di prender parte attiva alla vita pubblica e addurre un apporto personale all’attuazione del bene comune.
Ma a questi diritti, precisa l’enciclica, corrispondono altrettanti doveri: diritti e doveri «hanno entrambi nella legge naturale, che li conferisce o che li impone, la loro radice, il loro alimento, la loro forza indistruttibile».
Quindi le comunità politiche nazionali, i rapporti fra gli stati, l’ordine della comunità mondiale globale vanno costruite sulla base del rispetto di questi diritti e nell’osservanza dei corrispondenti doveri. È la parte centrale dell’enciclica dove vengono ripresi temi tradizionali della dottrina sociale della Chiesa, fra cui il principio di sussidiarietà.

Dalla corsa agli armamenti al disarmo

Entrando nello specifico tema della pace, l’enciclica prende posizione contro la tesi secondo cui la pace è possibile solo se si raggiunge l’equilibrio delle forze. «In conseguenza gli esseri umani vivono sotto l’incubo di un uragano che potrebbe scatenarsi ad ogni istante con una travolgenza inimmaginabile». Pertanto il papa afferma che «giustizia, saggezza ed umanità domandano che venga arrestata la corsa agli armamenti, si riducano simultaneamente e reciprocamente gli armamenti già esistenti; si mettano al bando le armi nucleari; e si pervenga finalmente al disarmo integrato da controlli efficaci».
La pace in terra non è solo rispetto dell’ordine voluto da Dio. «È un obiettivo reclamato dalla ragione. È evidente, o almeno dovrebbe esserlo per tutti, che i rapporti fra le comunità politiche, come quelli fra i singoli esseri umani, vanno regolati non facendo ricorso alla forza delle armi, ma nella luce della ragione; e cioè nella verità, nella giustizia, nella solidarietà operante».

Il pensiero di Don Benzi sulla Pacem in terris

L’enciclica Pacem in terris era spesso citata da don Oreste Benzi, che aveva voluto intitolare la sua Comunità a papa Giovanni XXIII. In un articolo del 1993, a trent’anni dalla pubblicazione dello storico documento, scriveva:
«Il Papa attacca il pacifico consenso allora pressoché unanime sul concetto della guerra giusta. "È assurdo che nell'era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia". E invoca il disarmo condannando la politica di tutti i tempi che "per creare armamenti giganteschi (permette) che venga assorbita una percentuale altissima di energie spirituali e di risorse economiche".
Il Papa per risolvere i drammatici problemi della coesistenza delle nazioni propone la resistenza attiva, l'opposizione totale a tutte le forme di guerra, in modo non violento. Potremmo riassumere il suo pensiero: è ora di organizzare la pace; basta con l'organizzazione della guerra».
E in un testo del 2001 aggiungeva: «Papa Giovanni XXIII nel 1963 ha scritto una lettera universale indirizzata a tutti i cristiani e a tutti gli uomini di buona volontà. Questa lettera si chiama Pacem in terris, cioè "come costruire la pace su tutta la terra". Il Papa dice in quella lettera che era arrivata l'ora di costituire un unico governo mondiale, che curasse gli interessi di tutti gli uomini in maniera giusta. Papa Giovanni "vedeva" doversi realizzare un governo unico nel mondo perché era già in atto un movimento nuovo di tipo universalistico. Purtroppo, il cammino verso la globalizzazione è stato guidato dal mercato e da altri elementi in funzione del mercato stesso».