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10 Novembre 2023

La casa famiglia ai piedi dell'Etna

L'edificio che una volta era un carcere, ora è un luogo di accoglienza e amore
La casa famiglia ai piedi dell'Etna
Foto di Sara Pennisi
A Giarre, in Sicilia, c'è la casa famiglia "Madonna della Provvidenza". I 3 responsabili, una coppia di sposi affiancata da una single, raccontano le sfide e la bellezza della condivisione diretta.
Una volta quei muri appartenevano a un carcere e servivano per tenere reclusi i detenuti in attesa di giudizio per reati lievi. Oggi le stesse pareti custodiscono la vita di persone fragili accolte dalla casa famiglia “Madonna della Provvidenza” a Giarre, una cittadina ai piedi dell’Etna.
Il 2023, anno in cui ricorre il 50° anniversario delle case famiglia inventate da don Benzi, volge ormai al termine, ma la casa famiglia “Madonna della Provvidenza” si prepara a celebrare il suo anniversario: il prossimo 1° gennaio infatti festeggerà i 25 anni di attività, di vita, di condivisione.
Questa casa famiglia ha anche un’altra particolarità: viene portata avanti da una coppia di sposi affiancati da una single.
Raffaella Rapisarda, laureata in economia e commercio e per anni revisore dei conti per la Comunità Papa Giovanni XXIII, è sposata con Mario Muratori, originario di Forlì. Mario è approdato in Sicilia su preciso invito di don Oreste Benzi: «Avevo finito il percorso terapeutico a Fornò e lui voleva farmi fare un’esperienza in Zambia» racconta Mario. «A causa di alcuni precedenti penali non potevo ottenere il passaporto, così un giorno gli ho detto per scherzo: “Don, se vuoi mandarmi lontano da qui, mandami in Sicilia!” e lui mi ha preso in parola! Sono venuto per fare un mese di esperienza e sono ancora qui!». Raffaella e Mario, genitori di quattro figli, gestiscono la casa famiglia insieme a Sara Pennisi, anche lei siciliana, che da 20 anni li affianca nella vita di condivisione. 

La casa famiglia: un richiamo irresistibile

Tra le tante cose che accomunano Raffaella, Mario e Sara c’è sicuramente l’amore per la casa famiglia: «Ho conosciuto questa realtà tramite Marco Lovato e Laura Lubatti, che per primi hanno aperto una struttura di accoglienza qui in Sicilia, e mi sono innamorata della casa famiglia» racconta Sara. «Mi piaceva la loro apertura ai giovani e al territorio, mi piaceva il loro mettersi in gioco con i bambini e i ragazzini un po’ particolari. Tutto questo mi ha fatto venire voglia di farlo pure io. È stata una chiamata del cuore, che avevo già prima di incontrare loro. Poi ho conosciuto don Oreste e col tempo ho capito che era la mia strada. Tutt’ora non saprei fare altro!». Anche per Raffaella è stato un colpo di fulmine: «Frequentavo l’ultimo anno di università e ho conosciuto don Benzi in un incontro pubblico. Dopo aver sentito parlare della casa famiglia volevo lasciare gli studi, ma don Oreste mi disse che dovevo continuare, però allo stesso tempo mi diede in affido un bambino. Non è stato semplice, perché io vivevo ancora con i miei genitori, che non ne volevano sapere. Siccome però sono figlia unica, per paura che me ne andassi di casa, hanno acconsentito». Anche per Mario è stata una chiamata forte: «Ero molto attratto dai bambini e dai disabili perché da loro non mi sentivo mai giudicato. La casa famiglia è riuscita a togliermi dalla solitudine esistenziale che mi aveva portato alla dipendenza; dare una famiglia e un’appartenenza a chi non è considerato da nessuno mi fa stare bene».

«Per me casa famiglia è...»

Nella casa famiglia “Madonna della Provvidenza” attualmente vivono 13 persone, ma in questi 25 anni sono passati tanti bambini in affido, mamme con figli, migranti, detenuti in pena alternativa o appena usciti dal carcere, disabili, anziani. Non è semplice definire con poche parole cosa sia la casa famiglia, ma ci proviamo con le parole di chi la vive nella quotidianità.
«Per me casa famiglia significa appartenenza, accoglienza e apertura» dice Raffaella. «Se dovessi usare una metafora per spiegare chi siamo, direi che casa nostra è una piazza, affollata e confusionaria. Casa nostra è attaccata a un centro Caritas, nel cuore di Giarre: il citofono suona 50 volte al giorno: chi deve andare alla Caritas, chi cerca informazioni, chi chiede da mangiare o dei soldi. Molti vengono per ricevere un aiuto, ma tanti passano di qui per lasciare qualcosa: vestiti, cibo e tanto altro: arriva tantissima “provvidenza”».
«Io penso che la casa famiglia dovrebbe essere una scatola di vetro – aggiunge Mario-. La gente è spaventata dall’idea della casa famiglia, quindi è importante essere più trasparenti possibile e credere nelle persone, come faceva don Oreste che vedeva il buono in tutti, al di là delle ferite che uno ha».  

Per me casa famiglia significa appartenenza, accoglienza e apertura

Un miracolo chiamato Ginevra

Il cammino che Raffaella, Mario e Sara hanno percorso fino ad oggi è stato ricco di ostacoli e difficoltà, ma anche di miracoli. Uno di questi ha il nome di Ginevra. «Oggi ha 8 anni e l’abbiamo presa con noi che aveva un mese e mezzo - racconta Raffaella-. Era stata abbandonata in ospedale dopo la nascita perché ha una malformazione cerebrale multipla. I medici ci avevano detto che non avrebbe mai visto, che non sarebbe stata in grado di udire e non avrebbe mai camminato. Evidentemente lei non è d’accordo con loro, perché invece è in grado di fare tantissime cose! La neuropsichiatra continua a richiedere delle risonanze magnetiche, perché non riesce a spiegarsi come, con la sua malformazione cerebrale, riesca a fare tutto ciò che fa. È una bambina fantastica, non parla, ma si esprime con la LIS, che stiamo tutti imparando». 
«Ha un’empatia incredibile – aggiunge Mario-, è stata una medicina per i nostri figli adolescenti, che sono innamoratissimi di lei».

I giovani e le case famiglia: paura o fascino?

Il 50° anniversario delle case famiglia è un tempo di bilanci e rilanci: «Negli anni ’90 tanti si sono innamorati di questa realtà. Perché ora non sono molti quelli che scelgono la casa famiglia? Forse perché ci sono altre realtà che danno risposte a livello educativo e che non ti compromettono la vita?» si interroga Sara. «I giovani secondo me sono affascinati dalla casa famiglia, ma ci guardano come extraterrestri, come se fossimo super eroi. Invece non è vero: anche loro potrebbero fare la stessa cosa. Forse non sono impauriti dalla casa famiglia, ma dal futuro, che vedono tanto incerto, tra crisi economica ed emergenza climatica».
Secondo Mario i giovani hanno paura di scegliere qualcosa di ignoto: «Quando ero giovane e ho scelto la casa famiglia, è stato un salto nel vuoto, ma l’ho fatto con fiducia, con fede, forse perché c’era don Oreste e la Comunità dietro di noi. I giovani di oggi non hanno questa fiducia, magari vanno dietro più alla sicurezza economica». 
«Verso le nuove generazioni abbiamo una responsabilità enorme – dice Raffaella-. Dovremmo riuscire a comunicare loro che lanciarsi in questa avventura è bellissimo, forse non facciamo vedere abbastanza che siamo felici, forse facciamo vedere più le fatiche, che indubbiamente ci sono. Ma andiamo avanti con la fiducia che il Signore sa scrivere dritto anche sulle righe storte, e le prime righe storte siamo noi! Le situazioni che ci hanno fatto fare fatica, poi anche hanno portato frutto e per questo il nostro desiderio, guardando al futuro, è di continuare ad essere spensierati, aperti, cercando di non dire mai di no».