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7 Maggio 2021

La vittoria di Senad

Divenuto maggiorenne, gli viene negata la cittadinanza perché non è in grado di giurare sulla Costituzione. Dopo 13 anni di battaglia legale, Senad diventa cittadino italiano.
La vittoria di Senad
La vicenda di Senad tra sentenze e ricorsi ha aperto una breccia nella burocrazia che soffoca i diritti dei più fragili.
È stata una vittoria per Senad. È stata una vittoria per tutti coloro che d’ora in avanti si troveranno nelle sue condizioni. La disabilità non è un ostacolo per ottenere la cittadinanza italiana. E nemmeno la mancanza di un reddito. Per centrare questo obiettivo è stata necessaria una battaglia legale durate tredici anni.  «Abbiamo sempre avuto la coscienza, io e mia moglie Laura – dice Marco Lovato, tutore legale di Senad – che quella che stavamo combattendo era una battaglia per i diritti di tutti. Non credo che una famiglia di immigrati di seconda generazione avrebbe avuto la forza e i mezzi di battersi per tredici anni per il riconoscimento della cittadinanza. Grazie all’appoggio della Comunità Papa Giovanni XXIII, che ha messo a disposizione un avvocato, abbiamo aperto una strada».  

Senad, dall'istituto alla famiglia

La storia comincia nel 1992 quando Marco e Laura, lui veneto, lei piemontese, si sposano. Avevano chiesto a don Oreste Benzi di essere mandati in missione, e il sacerdote li invia in Sicilia, a Santa Venerina, diocesi di Acireale, ad aprire una casa famiglia. Il giorno prima del matrimonio arriva alla Comunità la richiesta di accoglienza per Senad. È un bimbo di appena tre anni, ospitato dall’Istituto degli Innocenti di Firenze. Ha una disgraziatissima storia alle spalle. È gravemente handicappato: soffre di microcefalia ed è epilettico. È originario dell’ex Jugoslavia, che proprio in quegli anni si disgrega e si frantuma in quattro Stati. Diventa il primo figlio di Marco e Laura. «Da giovani sposi siamo venuti a vivere in Sicilia e ci siamo concentrati su di lui, rispondendo al suo bisogno di amore, di stabilità, di relazioni», racconta Marco. 

Senad con il decreto sicurezza, senza protezione umanitaria

Circondato dall’affetto di una famiglia (cinque figli naturali più un numero variabile di accolti, come lui) Senad cresce in Italia, frequenta la scuola, impara ad apprezzare pizza e spaghetti, pienamente inserito nel contesto locale, tifa anche per la nazionale azzurra.

Senad
Senad impegnato in attività di giardinaggio


Ogni anno Marco e Laura devono muoversi per fargli rinnovare il permesso di soggiorno, perché senza quel foglio di carta Senad non ha diritto alle cure di cui ha estremamente bisogno. Al massimo può rivolgersi al pronto soccorso per le urgenze. La pratica del rinnovo è sempre una via crucis. «Abbiamo incontrato funzionari sensibili – racconta Marco – ma anche persone che si limitavano ad applicare la legge, senza nessuna altra preoccupazione. Un guaio è stato quando sono entrati in vigore i decreti sicurezza e Senad è rimasto privo della protezione umanitaria». 

Perché Senad non può diventare un cittadino italiano?

Nel 2007 Senad compie diciotto anni, diventa maggiorenne. Può finalmente chiedere la cittadinanza italiana e così porre fine al problema annuale del rinnovo del permesso di soggiorno. Se il ragazzo diventa cittadino italiano, avrà per sempre diritto alle cure, e a tutto il resto. Così pensa Marco ma non ha ancora fatto i conti con la burocrazia italiana che spesso ragiona in un altro modo. Marco, quale tutore, presenta nell’agosto 2008 la richiesta a nome e per conto di Senad. La pratica giace inerte per cinque anni e solo nell’aprile 2013 il Ministero dell’Interno si fa vivo, respingendola. Motivo? Senad, a causa dell’handicap, non è in grado di formulare una consapevole manifestazione di volontà. Non può pronunciare il giuramento sulla Costituzione, allo Stato non importa se lo farà il tutore al posto suo. Per Marco e per la sua famiglia è un colpo grosso. In quei giorni, Marco scrive una accorata lettera al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: «Come può uno Stato definirsi civile e non dichiarare proprio cittadino un ragazzo portatore di handicap, abbandonato tanto da dichiararne lo stato di adottabilità nel 1992?».

La battaglia legale

Gli appelli non bastano, bisogno usare la carta bollata. La Comunità Papa Giovanni XXIII mette a disposizione un legale, l’avvocato Daniele Romiti, di Rimini, che presenta un ricorso. La sentenza del Tribunale di Roma arriva nel febbraio 2018 e stabilisce che il tutore può agire e dichiarare per conto di Senad. Peraltro, mentre era pendente il ricorso, era intervenuta anche la Corte Costituzionale con una propria sentenza a spianare la strada. 
A quel punto il Ministero ha dovuto riesaminare l’istanza presentata a suo tempo ma la respinge ancora una volta con una nuova motivazione: Senad non ha diritto di diventare cittadino italiano perché non dispone di un reddito sufficiente a vivere autonomamente. 
Al Ministero sembra non interessare che Senad sia accolto da una famiglia e da una Comunità che si occupa di lui e risponde pienamente ad ogni sua esigenza. No, Senad è un costo per la società, da lui non viene alcun contributo, quindi non può diventare cittadino. Se il primo diniego era stato un brutto colpo, il secondo è ancora peggiore. «Un ragionamento del genere è proprio il contrario di ciò che abbiamo sempre vissuto e creduto. Don Benzi – riflette Marco – ci ha sempre insegnato che se come popolo teniamo il passo dei più deboli sono i più deboli che devono indicarci i passi da fare, non può essere l’inverso. Non è giusto affermare che Senad deve stare indietro perché noi abbiamo altre priorità.  Lui ha il diritto di essere protetto, difeso, curato; se per ottenere questo obiettivo, serve che sia riconosciuto cittadino italiano, lo deve essere».
All’avvocato Romiti non resta che presentare un ricorso al Tar del Lazio. «Abbiamo argomentato – spiega – che se la richiesta di un reddito può essere giustificata per uno straniero normodotato, tale requisito diventa un’ingiustizia per un portatore di handicap». 

Senad in casa famiglia
Senad con la sua numerosa famiglia


Senad verso il riconoscimento

Un ragionamento che la sentenza del Tar, uscita nel luglio 2020, ha pienamente accolto.  Nelle motivazioni si fa riferimento all’articolo 2 (uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge) e all’articolo 3 della Costituzione (È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana).
I giudici del Tar richiamano la sentenza 258 del 2017 emessa dalla Consulta secondo cui «Le condizioni invalidanti, come dispone l’art. 1 della legge 104, sono ostacoli che la Repubblica ha il compito di rimuovere per consentire la «massima autonomia possibile» del disabile e il pieno esercizio dei diritti fondamentali».
Il Tar del Lazio non manca di sottolineare che il Ministero, basandosi unicamente sull’elemento del reddito, non ha esercitato in maniera corretta il potere discrezionale che gli è conferito a proposito di cittadinanza. Ricorda che una valutazione completa «implica accurati apprezzamenti da parte dell’amministrazione sulla personalità e sulla condotta di vita dell'interessato e si esplica in un potere valutativo circa l'avvenuta integrazione dello straniero nella comunità nazionale sotto i molteplici profili della sua condizione lavorativa, economica, familiare e di irreprensibilità della condotta».
Dal dicembre 2020 Senad, il figlio accolto da Marco e Laura,  è cittadino italiano. E in futuro altri disabili avranno la strada aperta.