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6 Ottobre 2023

L'adozione aperta e l'intuizione di don Benzi

La sentenza della Corte Costituzionale: i minori in adozione possono restare in contatto con le famiglie di origine
L'adozione aperta e l'intuizione di don Benzi
Foto di natik_1123 da Pixabay
Don Oreste Benzi aveva lanciato questa intuizione già nel 1995. Ora, grazie alla consapevolezza della necessità della continuità affettiva, anche la prassi dei magistrati prevede questa possibilità
Non ha suscitato molto clamore mediatico la notizia della sentenza della Corte Costituzionale, la n. 183 del 2023, che ha previsto che le adozioni potranno avere la caratteristica di essere “aperte”.
Forse perché è una sentenza molto equilibrata e che raccoglie un pensiero che in questi anni si era fatto avanti tra alcuni Giuristi e magistrati dei tribunali per i minorenni. E cioè che l’interruzione dei legami tra la famiglia di origine e la famiglia adottiva, mentre è da intendersi sempre valida per quelli giuridici, non così è necessariamente per quelli affettivi. Sarà il “miglior interesse“ del minore a determinare se eventualmente potrà mantenere possibili legami, magari con un nonno/a o altro familiare, anche dopo l’adozione.
Non quindi una modifica alla legge sull’adozione che rimane inalterata, ma una opzione in più da valutare.

Don Oreste Benzi lo auspicava già nel 1995

Ma se per l’opinione pubblica questa sentenza non è stata una “notizia”, non così per me, perché questa sentenza mi ha riportato indietro il tempo a quel 15 settembre 1995.
Era infatti stato organizzato dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, il IX Convegno Nazionale delle famiglie affidatarie, adottive e vere Case Famiglia che si svolgeva a Torre Pedrera – Rimini e che io presiedevo.
Al termine del suo intervento iniziale, don Oreste Benzi, dopo aver tratteggiato le caratteristiche dell’attaccamento dei bambini nell’affido, nelle adozioni e negli istituti, lanciò, tra le altre, la proposta di «rinnovare la legge sull’adozione tutta a favore del minore», segnalando come «gli esperimenti dell’adozione aperta e semiaperta in Germania sono molto significativi».
Non ho la certezza che quella fosse stata la prima volta che don Oreste lanciava la possibilità di pensare ad adozioni aperte, ma sicuramente fu l’occasione che diede il via, in Italia, alla discussione su questa ed altre forme nuove di adozione, ma che gli riservò anche alcuni accesi attacchi alla sua persona.
Don Oreste non era un giurista, lo sapeva bene, e a lui non interessava cercare la formula giuridica giusta. Quello che gli premeva era offrire al dibattito una intuizione, una proposta nuova che gli nasceva dalla sua conoscenza.
Lui era un “appassionato” dell’animo umano, desidera entrare nel mistero dell’uomo, nel suo intimo, nella sua struttura essenziale. Quando soprattutto parlava dei bisogni dei bambini, invitava sempre ad avere una visione integrale che comprendesse anche i bisogni di assoluto che anche i bambini piccoli manifestavano.

I bisogni dei bambini

In quello stesso anno, pochi mesi prima aveva dato alla stampa uno dei suoi primi libri: Il meraviglioso dialogo della vita, in cui analizzava le fasi di sviluppo dei bambini dalla nascita fino all’adolescenza, mettendo insieme gli studi di famosi pedagogisti, psicanalisti, con la sua esperienza fatta di moltissimi incontri e dialoghi con i bambini e i ragazzi che incontrava nel suo ruolo di sacerdote, ma anche nei sobborghi di tutto il mondo dove andava ad incontrare i bambini nelle Case Famiglia, negli chanty compounds, nelle carceri minorili.
Lui non era contro le adozioni o - peggio ancora - non aveva intenzione di minare la genitorialità adottiva. Il suo sguardo partiva da una attenzione a quelli che erano i bisogni profondi dei bambini che lo portavano anche a fare proposte come quelle dell’adozione aperta, che andavano controcorrente, o come quando a chi gli chiedeva come essere un buon padre di famiglia, lui rispondeva che occorreva essere un buon marito e per essere una buona madre, occorreva essere una buona moglie. Una risposta ancora oggi sconvolgente e dirompente.
Era il mettersi dalla parte del più fragile sempre. E la sua conoscenza delle sofferenze dei bambini che venivano collocati fuori famiglia, così come lo aveva portato a fare una lunghissima azione per il superamento degli istituti e per favorire le famiglie affinchè si aprissero all’accoglienza e all’affido, lo portava in quel periodo anche a proporre di rivedere l’adozione sempre più a favore dei minori.

Leggi che hanno fatto la storia

Da quel lancio del 1995, l’idea di porre sempre più attenzione ai legami affettivi che ogni bambino instaura nel suo processo di crescita si è fatta strada e storia. Penso ad esempio alla Legge 149 del 2001 che ha reso obbligatorio informare il bambino adottato della sua condizione, per arrivare alla Legge 173/2015 che ha riconosciuto il principio della continuità affettiva nei vari passaggi di un minore che è in affido.
Ora questa sentenza della Consulta che nel ricordare che «se già fino ad oggi la legge 184 preserva l’interesse del minore alla continuità della relazione socio-affettiva con fratelli e sorelle, tant’è che a tal fine promuove il loro affidamento congiunto e la loro adozione congiunta, quel medesimo interesse non è certo destinato a scomparire qualora i minori si trovino a dover essere adottati da famiglie differenti»,  aggiunge la necessità di «orientare il decisore verso l’individuazione di un interesse preminente dell’adottato a vedere preservate relazioni affettive, la cui rottura potrebbe cagionare traumi ulteriori al soggetto da proteggere».
Ci vorrebbe un copyright per quelle che sono state le intuizioni di don Oreste, come quella delle “vere” Case Famiglia che quest’anno hanno festeggiato i 50 anni dalla fondazione della prima.
Per ora basta questa sentenza che ha il merito di riportare attenzione alla centralità dei diritti dei bambini e dei ragazzi.