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14 Luglio 2023

L'avventura dell'accoglienza in famiglia

Testimonianza di una famiglia aperta all'affidamento
L'avventura dell'accoglienza in famiglia
Le figlie adolescenti, l'insistenza della moglie, la capacità di buttarsi, di superare le fatiche e di tirare fuori il buono.
«Siamo Elena e Giorgio - racconta Elena -, siamo sposati da 29 anni ed abbiamo 4 figlie dai 24 ai 17 anni.
Fino a qualche anno fa stare a casa nostra era un po' come stare in Terra Santa... per chi c'è stato, un luogo meraviglioso, ma si respira sempre aria di conflitto. L'adolescenza delle nostre figlie è stato un momento che abbiamo vissuto con fatica: da una parte i loro cambiamenti repentini e dall'altra noi che ci arrabattavamo come potevamo, cercando di fare meno danni possibili, ma ne facevamo ogni giorno, purtroppo e, pur nella gioia profonda dell'essere genitori, qualche volta lo scoraggiamento ci ha prenso non sentendoci quasi mai all'altezza del compito di tirar grande un "cucciolo d'uomo".
Tutto è partito proprio in quel periodo così duro, ora stiamo meglio, le ragazze sono cresciute e un pochino anche noi.
Io, e non mio marito, faccio parte della comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi, dove come chiamata si condivide la vita con quella degli ultimi.

L'idea di essere una famiglia aperta

Conosco tante belle casefamiglia e famiglie aperte, ma, per quanto riguarda noi, siamo proprio dei principianti dell'affidamento. Infatti abbiamo avuto solo piccole accoglienze, tutte brevi e di neonati, solo la 1° aveva passato da poco l'anno. 
Sono stati bambini (4 femmine e un maschietto, per la gioia di mio marito!): che in momenti diversi hanno vissuto a casa nostra fino a un massimo di 5 mesi, tempo che il tribunale trovasse loro delle splendide famiglie adottive».

L'insistenza della moglie

«Io non ho mai e poi mai pensato di fare accoglienza - continua Giorgio -; al massimo, con 5 donne in casa, avrei chiesto io di essere accolto... 
a un certo punto, sono stato mosso da un desiderio, però il desiderio non era il mio, ma ovviamente quello di mia moglie. Potrei inventare una nuova parabola: la moglie insistente... cari mariti, fate attenzione a chi vi sposate!
In me c'era anche un senso di colpa: per il bene che le voglio, mi dispiaceva essere proprio io l'ostacolo ad una chiamata che sentiva così forte.
Riassumendo, sono stato mosso dal desiderio di mia moglie e dal senso di colpa.
Il difficile è sempre fare il primo passo... avevo paura della novità.

La fatica dell'accoglienza e del distacco

Non vi dico in sala d'attesa in ospedale quando siamo andati a prendere la 2° bimba: tutte le ostetriche erano catalizzate dal mio sguardo sereno e felice (ero praticamente terrorizzato e mi continuavo a dire "perché?" Di nuovo pannolini, levatacce di notte, più tutto quello che avevamo già da fare, perché?) e, come se non bastasse, Elena che m'incalzava tirandomi gomitate al fianco e dicendomi: "Dai, non fare così... sorridi..."  
In tutte e 5 le situazioni, dal momento in cui siamo entrati in casa e li ho presi in braccio è partito tutto, me ne sono innamorato, da lì in poi me li sarei tenuti a vita. Speravo che la fatica fosse finita e invece ho dovuto sperimentare quella del secondo passo: il distacco, lasciarli andare è stato molto doloroso perché va via un pezzo di famiglia e rimane un grande vuoto. 
L'affidamento ci insegna a scardinare quella che è una brutta tentazione: il legame tra amore e possesso... la nostra figlia minore l'aveva capito mentre cercava di darsi coraggio dicendo a tutti, e soprattutto a se stessa: "È giusto che vada via, deve farsi una vita!"»
«Di queste piccole esperienze - ricorda Elena -, ho fisse nella memoria alcune immagini che si riferiscono proprio ad una persona che "evidentemente" non ha la chiamata all'accoglienza... mio marito all'arrivo dall'ufficio a quattro zampe che bacia dall'esterno il vetro della porta finestra e la piccola dall'interno che lo bacia a sua volta... oppure lui stesso che culla una neonata ad un'ora improponibile della notte riesumando tutti canti di chiesa che sa, ma cambiando le parole perché conosce le melodie, ma neanche mezzo testo.

L'aiuto delle figlie

Ci siamo accorti che tutte le paure generate dal fatto che "ormai per queste cose siamo vecchi" non avevano tenuto conto che rispetto a quando eravamo più giovani, oggi potevamo contare su 4 babysitter: le nostre figlie che sono state fantastiche. Hanno acquisito un sacco di competenze e hanno capito cosa vuol dire avere una famiglia. L'accoglienza ha tirato fuori il meglio di noi ed ha contribuito ad alzare  il quoziente autostima familiare, sempre alquanto rasoterra.
Tutte le paure che ci tenevano prigionieri in casa nostra sono state spazzate via dall'incontro con questi bimbi che ci hanno dato tantissimo amore, perché alla fine è l'esperienza umana che viviamo nelle relazioni che ci cattura, che ci coinvolge e che ci trasforma, non i calcoli al millimetro. L'esperienza umana Dio stesso, in Gesù, l'ha voluta provare.
In fondo tutti siamo capaci almeno di amare e di essere amati, tante cose non le sappiamo fare, ma di amare siamo capaci, perché ce l'abbiamo scritto nel cuore. Tutti perciò possiamo iniziare ad interrogarci sull'accoglienza, anche nelle nostre famiglie scalcagnate. Diciamo interrogarsi, perché da lì ad accogliere possono passare, come è successo a noi, 10 anni. Ma il Signore ha i Suoi tempi e, come dice un Salmo, noi siamo Suoi».
«La condivisione è stata un'occasione speciale per me - spiega Giorgio - perché arrivata non da scelte analizzate con calma e razionalità (2 miei punti di forza),  ma come una chiamata del Signore a buttarsi, fidarsi (2 verbi che a me non piacciono molto).
Ciò che ho vissuto è diventato per me una pietra miliare insieme alle cose più belle della mia vita, che sono le mie 4 figlie e mia moglie.
«Concludiamo - invita Elena - con una frase di don Oreste Benzi che diceva sempre: "Le cose belle prima si fanno e poi si pensano"».