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11 Gennaio 2023

Lo accogliamo, basta che si chiami Marco

Storie di straordinaria accoglienza
Lo accogliamo, basta che si chiami Marco
Foto di Foto di Elisa da Pixabay
Una prima accoglienza di un bimbo con handicap, e poi - vincendo la paura - anche una seconda. Una storia tratta dal libro "Portami a casa"

Io e mio marito siamo sposati da 35 anni e da subito (appena tornati dal viaggio di nozze) abbiamo cominciato a frequentare un gruppo di famiglie affidatarie, perché nella formazione fatta in parrocchia per la preparazione al matrimonio, una famiglia affidataria ha raccontato con talmente tanta gioia l’esperienza di affido che io e mio marito ci siamo incuriositi e abbiamo voluto saperne di più.

Le prime esperienze di affido

Dopo diverse esperienze di affido più o meno brevi, siamo venuti a conoscenza che la Comunità Papa Giovanni XXIII faceva un convegno sull’affido e abbiamo deciso di partecipare. Siamo stati accolti da due belle ragazze che ci hanno presentato il loro responsabile. Abbiamo raccontato le nostre esperienze e subito ci hanno proposto un affido.
Si trattava di un bimbo di 6 anni affetto da una sindrome feto-alcolica in forma abbastanza grave. Viveva in un istituto perché tolto alla famiglia dal Tribunale per i Minori, ma lui voleva una mamma e un papà.
Ci siamo sentiti subito coinvolti, ma non avendo mai avuto esperienza di bimbi con handicap, la cosa ci ha un po’ spaventati e abbiamo chiesto tempo per confrontarci con le nostre famiglie in caso avessimo avuto bisogno di aiuto. La risposta di quelle persone fu: «Non vi preoccupate, se non ce la fate ci siamo noi. I figli che accogliamo sono i figli della Comunità!»
Noi però non facevamo parte di questa Comunità, ma con quella frase, non ci siamo sentiti soli e cosi abbiamo accolto questo bimbo. 
Non è stato facilissimo, ma neanche impossibile!

Aveva bisogno di sentirsi figlio

Il nostro giovanotto ce la metteva tutta. Desiderava proprio una famiglia e, nonostante l’handicap, il desiderio di essere un figlio amato, era ed è ancora molto forte in lui. Ancora oggi, che ha 33 anni, non si fa problemi per il suo limite, ma ha delle grandi ferite causate dall’abbandono e dalla trascuratezza della sua famiglia d’origine. Ci chiede, nel suo essere ripetitivo a causa del suo limite, il perché la sua mamma non lo ha amato come lo amiamo noi.
Accogliere quel bimbo così fragile e tanto vivace, ci ha caricato molto e abbiamo scoperto in noi una paternità e una maternità che non sapevamo di avere, fatta di attenzioni particolari, di delicatezza, di voglia di affrontare anche il rischio di fare brutte figure insieme a lui che “ne faceva una più del diavolo”. 
Qualche mese dopo, infatti, abbiamo dato disponibilità per accogliere un altro figlio. 
Il nostro bimbo era figlio unico nella sua famiglia di origine e figlio unico nella nostra famiglia, perché noi non avevamo figli. La nostra paura era che per lui fosse presto avere un fratellino o una sorellina, quindi un giorno lo abbiamo chiamato e con tutta la calma possibile gli abbiamo chiesto se avesse avuto piacere di avere in casa un fratellino o una sorellina. Eravamo convinti che ci avrebbe detto di no, invece ci riguardò felice e con un grosso abbraccio tutti insieme ci disse: «Ok va’, purché si chiami Marco!»
Rimanemmo sorpresi, ma felici del suo sì.

È difficile superare la paura

Un mese dopo ci chiamò un’Assistente sociale per proporci l’accoglienza di un bimbo di sei mesi con una disabilità grave. Figuratevi la nostra gioia! Noi non avevamo figli e ne avremmo voluti. Ascoltammo la proposta con molto entusiasmo. Man mano che l’Assistente sociale parlava, però, il nostro entusiasmo svaniva e al suo posto subentrava la paura, lo sconforto e la voglia di chiudere al più presto quella telefonata. Ci eravamo spaventati da tutte quelle malattie, ma soprattutto dal pensiero della morte. Non eravamo pronti ad accogliere un bimbo che, a quanto sembrava, sarebbe morto di lì a poco. Dall’altro capo del telefono la signora continuò a parlare cercando di spiegare, il più chiaramente possibile, la situazione del bimbo che ci stava proponendo di accogliere: «Il bimbo è stato abbandonato alla nascita in ospedale, ma non è potuto andare subito in adozione come suo fratello gemello perché dopo dieci giorni dalla sua nascita ha avuto una emorragia celebrale che gli ha causato un idrocefalo, che purtroppo i medici dopo diverse operazioni non sono riusciti a contenere. L’epilessia, la cecità, l’emiparesi al lato destro del corpo, purtroppo non gli danno molte speranze di vita. Stiamo cercando un papà e una mamma per non farlo morire solo in ospedale, ma tra le braccia di una mamma!»
Immaginate come eravamo rimasti mentre ascoltavamo queste parole! L’unico pensiero che avevamo era come tirarci fuori da quella situazione in maniera elegante.
All’improvviso ci venne in mente il nostro primo figlio accolto e allora le dissi: «Mi dispiace, le debbo dire di no perché abbiamo da poco tempo accolto un bimbo di sei anni con dei problemi e già il cambiamento di casa, di famiglia non è stato facile per lui, poi arriva un fratellino e magari dopo pochi mesi muore, mi sembra proprio una cosa troppo dura da vivere».

Si chiama Marco

Il mio cuore aveva già deciso! Mi sentivo più leggera. Poi le dissi: «Mi dica come si chiama che pregheremo per lui»
«Si chiama Marco!» mi rispose.
Abbiamo accolto Marco. Oggi ha 25 anni e ha dovuto subire 20 interventi in 25 anni di vita. Ha recuperato la vista e l’uso quasi completo della gamba sinistra e un po’ meno quello della mano. Ha una grande voglia di vivere e una forza incredibile.
Abbiamo imparato a convivere e ad amare la loro disabilità e oggi sono diventati tutti e due i nostri figli. 
Loro sono stati i nostri grandi maestri. Ci hanno insegnato ad accettare e addirittura ad amare il limite.
Ci hanno insegnato che la persona ha una dignità al di là del suo stato di salute e che la vita ha un valore grande comunque essa sia!
Un nostro amico professore a scuola, parlando di noi con i suoi ragazzi, dopo che qualcuno gli ha chiesto se era giusto che figli come i nostri vivessero o se era meglio farli morire, fece un esempio che vi vogliamo raccontare. Prese una banconota da 100 euro e la fece vedere ai ragazzi. Chiese loro se quella banconota avesse valore e tutti annuirono. Poi la prese, l’accartocciò fino a sgualcirla e la mostrò nuovamente ai ragazzi e chiedendo se secondo loro aveva ancora lo stesso valore e tutti risposero positivamente. Poi disse: «Così è la vita, ha valore anche se sembra sgualcita!»
Tutti tacquero perché avevano capito!

Claudia e Gioacchino

Il libro

Questa testimonianza è tratta dal libro Portami a casa. Storie di straordinaria accoglienza, che può essere acquistato in libreria, oppure direttamente online presso lo Shop Apg23, oppure telefonando all'Editore allo 044225174