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30 Settembre 2022
Ultima modifica: 16 Gennaio 2023 ore 16:39

Luca Fortunato: «Tra gli ultimi ho trovato la felicità!»

Da adolescente ha fatto una scoperta che gli ha provocato un forte dolore, che però ha saputo trasformare. Svela la sua formula nel suo nuovo libro "La matematica dell'amore", in uscita a metà ottobre con l'Editore Sempre.
Luca Fortunato: «Tra gli ultimi ho trovato la felicità!»
Foto di Gianluca Cornacchia
Luca Fortunato dedica la sua vita agli scartati che osserva con un paio di occhiali speciali, quelli di Gesù. Nei sotterranei della terra ha scoperto una formula vitale che ha cambiato la sua vita e che cambierà anche la vostra.
C’è un personaggio che si aggira per le strade di Chieti in cerca di quelli che sono considerati gli “scarti” della società, gente a cui, per mille vicende personali, si inceppa qualcosa, gente che poi lui accoglie alla Capanna di Betlemme.

Chi è Luca Fortunato?

Luca Fortunato è un personaggio singolare che mi evoca due immagini: per la capigliatura e la barba Wolverine degli X-man, per il nome Lucky Luke, il protagonista del noto fumetto. Tutti i nostri eroi hanno un elemento in comune: sanno cosa significa essere vittime delle ingiustizie e lottano per combatterle mettendosi al fianco di chi le subisce.
Luca è al mondo grazie ad un preservativo bucato. Una rivelazione arrivata dalla madre in piena adolescenza, che gli ha causato non pochi problemi. Ma anziché spaccare tutto, il nostro ragazzo trasforma quell’energia in forza d’amore. Come? Lo rivela nel suo libro uscito a settembre 2022 con Sempre Editore: La matematica dell’amore.

Luca è nato nel 1981 a Barletta, non molto distante da Molfetta, sede del vescovo-poeta don Tonino Bello, che incontra nella sua parrocchia intorno ai 14 anni. Se ne innamora subito, legge i suoi libri, e matura in lui la passione per le persone povere, in miseria. Si butta a capofitto nel volontariato, per 17 anni di fila accompagna gli ammalati in pellegrinaggio a Lourdes con l’Unitalsi. Ma come un pellegrino continua a cercare il suo posto.

Nel 2004, mentre percorre il Cammino di Santiago de Compostela, capisce di voler andare un anno in missione. È così che conosce la Comunità Papa Giovanni XXIII, incontra don Oreste Benzi, e l’impegno tra quelli che chiama “i miei fratelli” diventa la sua vita. 

Luca, dove è maturata questa tua sensibilità per chi è in difficoltà?

«Dal fatto che i miei genitori si sono separati prima che io nascessi e mio padre voleva che mia madre mi abortisse. Mamma, anche se non era credente, decise di tenermi. In preadolescenza ho sentito tanto il disagio di non essere desiderato, e questo disagio, dopo un primo sentimento di rabbia, mi ha portato a provare empatia verso le persone che non sono volute, che sono scartate. Grazie alla mia famiglia, che mi ha indirizzato a fare volontariato, oltre ad aver scoperto questa empatia, ho imparato a trasformare la mia rabbia in energia positiva, serenità, positività, in numerose virtù da rispendere con gli amici, a scuola: un circolo virtuoso positivo.».

«I poveri ci tirano fuori meraviglie»

Non deve essere stato facile affrontare questo percorso.

«Sapere da mia mamma che sono nato per un preservativo rotto, mi ha segnato. Quando me lo ha raccontato ho pensato che non ero voluto da nessuno, mi ha fatto tanto soffrire. Quando ci pensavo, mi prendeva quasi il panico e delle volte piangevo nel segreto. Da allora ho deciso che se avessi incontrato qualcuno che provava lo stesso dolore, avrei fatto di tutto per non farglielo sentire. Questa scelta è stata fondamentale. La verità è che quando guardo chi soffre è come se avessi soccorso quel bambino che è in me.»

In che senso?

«Per me è fondamentale lo sguardo sull’altro, far capire all’altro che noi ci siamo sempre.  Quell’esserci per qualcuno fa la differenza, fa miracoli, come per me ha fatto il miracolo scoprire che Dio mi voleva. Capito questo, ho guardato con un sorriso i miei genitori, lì ho compatiti, mi hanno fatto anche un po’ tenerezza per i loro sbagli. Io sono a favore della vita sempre, perché so che quando Dio pensa ad una persona è perché sa che farà un sacco di bene, perciò non puoi interromperla.» 

Ho deciso che se avessi incontrato qualcuno che provava lo stesso dolore, avrei fatto di tutto per non farglielo sentire.
Luca Fortunato

Come è iniziata la tua storia con le persone senza fissa dimora?

«Ho incontrato don Tonino Bello che ha fatto nascere in me la passione per le persone povere. Poi a 18 anni mi ha affascinato San Francesco: il suo essere povero con i poveri. In quel periodo sognavo di essere il direttore di un albergo di lusso in cui ospitavo solo barboni. Era una follia, ma mi dava un senso di giustizia, di serenità. Ogni volta che provo qualcosa di bello, penso a quanto vorrei che anche i poveri facessero esperienza di bellezza.»

Gli amici capivano queste tue idee originali?

«All’inizio qualcuno non mi capiva ma vedevano in me un cambiamento. I poveri sono degli educatori, ci tirano fuori meraviglie. Più venivo educato da queste persone e più le comunicavo ai miei amici con il mio modo di stare con loro. Molti volevano confidarsi con me, ma ero un ragazzo come loro, non uno psicologo: non sapevo dare delle risposte ma ho imparato ad ascoltare, a fare silenzio nel silenzio di tante persone disabili che ho incontrato, la pazienza nella pazienza dei fratelli disabili. Qualcuno mi ha seguito. Ho cercato di unire, nel mio piccolo, mondi diversi.»

Come sei finito in Africa?

«Leggendo Korogocho, un libro bellissimo di Alex Zanotelli. Mi ha colpito come nei poveri ha incontrato Cristo. Se fosse per me, istituirei l’ottavo sacramento, quello del povero. In Mt 25 Gesù dice: “Lo avete fatto a me”, non dice: “È come lo aveste fatto a me”; usa il presente, non l’imperfetto. Volevo andare in missione in Africa per vivere Cristo nei miseri, ed ero pronto a lasciare il lavoro. Ho fatto una ricerca su internet e ho trovato il corso missioni della Comunità Papa Giovanni XXIII. A presentarlo c’era la faccia di don Oreste Benzi, che non conoscevo. Mi ha attirato con una frase pescata dalla spiritualità di San Vincenzo De Paoli: «Non si può dare per carità ciò che dovuto per giustizia.»

Se fosse per me, isituirei l'ottavo sacramento, quello del povero.
Luca Fortunato

Cosa ha significato per te?

«Quella frase mi ha sconvolto. Odiavo il pietismo cristiano, ipocrita. Odiavo l’elemosina travestita da carità, che non dà la dignità e mantiene le distanze. Don Oreste mi ha riavvicinato alla Chiesa, ai preti, ancora di più a Dio. Era come io volevo vivere, per la giustizia. Il 13 settembre 2005 è morto mio nonno. L’ho vestito e salutato. La mattina dopo sono partito per vivere un anno in Zambia.»

E una volta tornato in Italia?

«Ho lavorato a Barletta in un centro di riabilitazione per disabili come educatore professionale e coordinatore di comunità socio-sanitarie educative. Morto don Oreste, Giovanni Ramonda, il suo successore, mi ha proposto nel 2008 di gestire una casa di pronta accoglienza a Savigliano, provincia di Cuneo. Stavo ancora verificando se il cammino della Papa Giovanni faceva per me e inoltre non avevo esperienza con gli adulti. Il 30 giugno del 2008 a mezzanotte sono partito da Barletta per Savigliano. Il primo luglio ho iniziato a vivere h24 come responsabile in una casa che aveva anche la cappellina con il Santissimo, e questa è stata una bellissima novità.»

Dal 2014 sei a Chieti, responsabile di una Capanna di Betlemme, una struttura che i poveri li va a cercare per le strade. Chi sono le persone che accogliete?

«I senza fissa dimora: uomini, donne. Papà separati che devono lasciare la loro casa e si trovano a vivere in macchina o in strada, donne strappate al racket della prostituzione. Poi ci sono persone con problemi legati alla salute mentale, alcune anche con dipendenze patologiche, che vivono in strada: avrebbero bisogno di strutture adeguate riabilitative ma qui il servizio sanitario non riesce a garantirle. Un problema, quello della persona con problemi mentali, che si è acuito con il Covid. C’è una grave carenza e noi ci troviamo a dare risposte non adeguate, ma che in questo momento sono le uniche. In un contesto come questo, una realtà come quella della Papa Giovanni diventa veramente una realtà missionaria.»

Luca Fortunato con bambino
Foto di Gianluca Cornacchia

Racconta tutto nel suo libro: La matematica dell'amore

Veniamo al tuo libro: “La matematica dell’amore”… L’amore dunque è un calcolo?

«L’amore non è un calcolo, ma ho scoperto che attraverso un certo stile di vita, che è lo stile di vita di Gesù, matematicamente il nostro cuore si colma d’amore, la nostra vita ha senso».

A chi si rivolge?

«Soprattutto ai giovani perché vuole contrastare quel vuoto di senso della vita, quel vuoto dato dal non sentirsi amati, dal sentirsi rifiutati. Andrò a fare tanti incontri nelle scuole e lo regalerò a loro. Nel libro ci sono le indicazioni su cosa può prendere posto in quel vuoto, affinché non prenda posto nessun altro abuso. L’unica cosa che non fa male se ne abusi è amare il prossimo ispirandoci a Cristo. “Ama il prossimo tuo come te stesso” è imperfetto, perché se tu non ti ami, se ti odi, che fai? Seguendo l’esempio di Gesù ho la stella polare che mi dà la direzione.»

Filo conduttore di queste storie…

«Imparare a guardare tutti gli esseri umani nel modo in cui Gesù li guarda. Quando guardo qualcuno, anch’io posso provare antipatia. Allora, qual è il passaggio che dobbiamo fare? Metterci gli occhiali di Gesù. Indossati questi occhiali ho scoperto che tutte le persone scartate hanno qualcosa da darci che gli altri non riescono a dare. Questa intuizione di don Oreste è geniale. In questo modo nessuno è escluso, scartato. Tutti siamo riabilitati.»

Qual è il tuo rapporto con Cristo?

«Io rimango imperfetto, però mi accetto per quello che sono. Cristo per me rimane un modo di vivere. Mi piace molto il suo modo umano, come guarda gli altri, è un qualcosa a cui mi ispiro quotidianamente e che fa la differenza nella mia vita. Cerco di approfondire e meditare sempre qualcosa della sua vita. Coltivo un rapporto quotidiano con lui andando alla Messa, non per un fatto religioso ma semplicemente perché è una piccola perla che migliora la mia giornata, che mi fa guardare meglio le cose. Come dice papa Francesco, prima di buttarmi nel tritacarne della vita ho bisogno di stare dei minuti in questa relazione con Cristo.»

Qual é il passaggio che dobbamo fare? Metterci gli occhiali di Gesù.
Luca Fortunato

Qual è il tuo sogno oggi?

«Vorrei realizzare un ospedale. Oggi la sanità pubblica non è più garantita, se non per i ricchi che possono accedere a prestazioni a pagamento. Le liste d’attesa sono lunghissime per chi deve ricorrere alla sanità pubblica e a volte per patologie importanti aspettare significa morire. Ho diverse esperienze di persone che sono morte per questo motivo. E questa è una grandissima povertà. Sogno un ospedale totalmente retto dalla provvidenza di Dio, al quale però potranno accedere solo le persone escluse. Sarà intitolato a Cristo Redentore».

Regalaci una perla di saggezza di Luca

«In realtà è una frase di don Oreste, che per me è il secondo binario, dopo Cristo, che mi ispira tutti i giorni. È una sua perla, a cui oggi ancora mi affido, che voglio regalare ai giovani: “Trasgredite nell’amore!”. Quando vado in strada, quando ascolto, quello che fa la differenza è il mio trasgredire nell’amore, studiare cioè strategie nuove nell’aiutare quella persona, per amarla».