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5 Settembre 2025
Ultima modifica: 5 Settembre 2025 ore 07:17

Mara Rossi e la sfida della giustizia sociale alle Giornate di don Oreste

Medico missionario e rappresentante della Comunità Papa Giovanni XXIII all'ONU, Mara Rossi protagonista alle Giornate di don Oreste a Rimini, portando il messaggio di giustizia e gratuità che ha ispirato Don Oreste Benzi.
Mara Rossi e la sfida della giustizia sociale alle Giornate di don Oreste
Foto di Alessio Zamboni
Mara Rossi presente alle Giornate di don Oreste a Rimini dove parteciperà a una conferenza sulla società del gratuito e l'azione politica, oggi sarà alla presentazione del libro "Genesi di una rivoluzione" di Riccardo Ghinelli, che racconta la nascita della Comunità Papa Giovanni XXIII.
Quando si incontra Maria Mercedes Rossi, non è possibile rimanere indifferenti. Mara, come la chiamano, non è una donna da salotto, né un volto anonimo nascosto tra le pieghe delle organizzazioni internazionali. È una donna che ha scelto di attraversare la vita con chiarezza e senza mezze misure. Medico specializzato in Malattie Infettive a Bologna con Diploma Internazionale in Medicina Tropicale e Igiene a Londra e Master in Salute Pubblica in Anversa, Belgio. Ha fatto scelte che l’hanno portata dalle colline di Coriano, dove è nata 69 anni fa, alle baraccopoli dello Zambia, una missionaria che ha visto negli occhi delle vittime dell’AIDS la verità di un mondo troppo spesso cieco.
Oggi, quella stessa donna siede nei corridoi della diplomazia alle Nazioni Unite di Ginevra come rappresentante del mondo della Comunità Papa Giovanni XXIII, portando la voce dei poveri là dove si decidono le sorti del mondo.

Venerdì 5 settembre, ore 15 presso la Sala Convegni Palazzo del Turismo, alle Giornate di don Oreste a Rimini, Mara sarà tra i protagonisti della presentazione di Genesi di una rivoluzione. Don Benzi e la sua gente, il libro di Riccardo Ghinelli che racconta una Comunità e un uomo, don Benzi, che hanno cambiato il volto della "carità". Ma Mara sarà anche lì, alla mattina di sabato 6 settembre, per parlare di politica, di società del gratuito, di cosa significa davvero essere il volto degli ultimi in un mondo che troppo spesso sceglie di voltarsi dall’altra parte.

Chi è la dottoressa Mara Rossi?


È originaria di Coriano, sulle colline riminesi. Classe ‘56, incontra la Comunità Papa Giovanni XXIII ad appena 17 anni, si consacra nel 1982 e parte per lo Zambia nel 1988 dove farà il medico missionario per 20 anni, offrendo il suo aiuto soprattutto ai malati di Aids delle baraccopoli.
Fino a quando, nel 2009 compie un volo in direzione sud-nord che la porta in poche ore a vivere un cambiamento di prospettiva incredibile: dalle capanne dei compound dove curava i malati di aids è passata agli uffici e alle sale conferenze della sede ONU di Ginevra, per rappresentare la Comunità Papa Giovanni XXIII che nel 2006, si era accreditata presso l’ECOSOC, il Consiglio economico e sociale. Abita a Prevessin-Moens, un paesino sul confine Franco-svizzero che dista solo 15 minuti da Ginevra.
Tanti i riconoscimenti ottenuti in questi anni. Donna dell’anno a Ndola, attualmente è coordinatrice di tutte le ONG cattoliche presenti a Ginevra

Una giovane Mara Rossi agli albori della Comunità negli anni '80. Un pomeriggio insieme ad altri componenti nella sede della Comunità Papa Giovanni XXIII in via Flaminia a Rimini. la foto è tratta dal libro: Genesi di una rivoluzione. Don Benzi e la sua gente di Riccardo Ghinelli.
Foto di Riccardo Ghinelli

 

Hai incontrato la Comunità ancora giovanissima. Cosa cercavi?

«Avevo 17 anni, ero molto timida, ero la figlia del dottore del paese, e questo un po’ mi condizionava. Frequentavo il liceo classico, un po’ la parrocchia, ma cercavo qualcosa di più, una vita di fede più radicale. Ricordo che nel mio diario ho scritto: “Per un discepolo di Cristo non fare il male è bene, non fare il bene è male”.»
 

Come è avvenuto l’incontro?

«Nel 1973 si è aperta la prima casa famiglia della Comunità a Coriano, il mio paese. Era una cosa nuova, difficile da accettare, in paese la definivano la casa dei matti. Mio padre come medico ogni tanto era chiamato a intervenire, alcuni accolti erano suoi pazienti. Volevo andare a vedere e l’ho proposto alle mie amiche, ma loro non si decidevano. Allora un giorno ho preso il motorino e sono andata. Appena arrivata ho visto Marino, Sergio e Guido, tra i primi accolti, che mi guardavano dal balcone con un sorriso a 360 gradi. In loro ho percepito che Dio mi amava e mi stava aspettando.»
 

Poi?

«Ho continuato a stare con i miei e a studiare ma nel frattempo frequentavo la casa famiglia. Lo stesso anno ho partecipato a un campo di condivisione a Canazei con i ragazzi disabili. Di fatto ero entrata nella vita di comunità che allora era agli inizi. Il mio primo incarico è stato come responsabile di Commissione Giustizia, il gruppo che cercava di individuare e rimuovere le cause dell’emarginazione.»

Mara Rossi visita bambino in Zambia
La dottoressa Mara Rossi intenta a visitare un bambino nell'ambulatorio della missione della Comunità Papa Giovanni XIII in Zambia, dove è stata missionaria per 20 anni.

 

Perché hai deciso di studiare Medicina?

«Ero nella cappellina della casa Madonna delle Vette a Canazei, voluta negli anni ’50 da don Oreste per far fare agli adolescenti un incontro simpatico con Cristo. Cercavo luce sul mio futuro. Da un lato volevo andare subito a vivere a tempo pieno nella casa famiglia, dall’altro sentivo anche la chiamata a fare il medico. Ho aperto a caso la Bibbia e lo sguardo mi è andato su una frase: “Curate i malati, mondate i lebbrosi”. Ne ho parlato con don Nevio Faitanini, uno dei sacerdoti che collaborava con don Oreste, mio direttore spirituale. Lui vide in questo una chiamata di Dio. Così mi iscrissi a Medicina».

 
E la chiamata alla vita consacrata?

«È avvenuta in modo analogo. Sempre aprendo la Bibbia a caso, nella stessa cappellina, ho trovato la frase: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutte le forze”. Mi chiedevo, ma cosa mi vuol dire il Signore, che devo diventare suora? Invece era un primo segno di quello che poi è avvenuto, quando il carisma è stato riconosciuto dalla Chiesa ed è stata data la possibilità di dare i voti come laici all’interno della Comunità. Una scelta confermata da don Oreste che mi ha anche proposto di andare a vivere nella casa famiglia di Coriano, assieme a Ida, la responsabile, che nel frattempo era rimasta sola.»

Mara Rossi e Sandra Sabattini

In quelli anni hai conosciuto anche personalmente la beata Sandra Sabattini, anche lei studentessa di Medicina. Cosa ricordi di lei?

«Ero amica di lei e Guido, il fidanzato. Io avevo qualche anno in più di Sandra, lei guardava a me come una che aveva fatto una scelta radicale. Io vedevo in lei una ragazza innamorata di Dio. Come me studiava Medicina e avrebbe voluto poi andare in missione, ne parlavamo spesso. Aveva un sorriso luminoso e uno sguardo particolare, come se fosse presente ma anche altrove. Era anche dotata di una grande ironia. Poi non potrò mai dimenticare il momento in cui l’ho soccorsa quando è stata travolta dall’auto.»
 

Dicevi che sei stata la prima responsabile di Commissione Giustizia della Comunità. Da dove ti viene questa sensibilità? 

«Mio padre era impegnato in politica, forse ho preso da lui. Però la vera la spinta è venuta dall’incontro con i poveri. Ricordo ancora quando il vescovo Locatelli, in vista del riconoscimento della nuova associazione, ci chiese di scrivere lo “Schema di vita” che ci caratterizzava. Oltre alla scelta di condividere la vita degli ultimi c’è anche quella di rimuovere le cause dell’emarginazione ed essere voce di chi non ha voce per costruire un mondo più giusto.»
 

Poi sei diventata responsabile di zona a Rimini

«Appena laureata dovevo partire per la missione in Zambia, ma sono stata indicata come responsabile di zona a Rimini. Ho chiesto a don Oreste cosa dovevo fare. Lui mi ha confermato di accettare, posticipando di 3 anni la partenza per lo Zambia chiedendomi l’obbedienza! Così ho svolto questo ruolo dal 1983 al 1987.»

Mara Rossi
La dottoressa Mara Rossi durante un intervento presso la sede delle Nazioni Unite a Ginevra

 

Finito il mandato sei partita finalmente per l’Africa

«Prima sono stata un periodo a Londra a perfezionare l’inglese e specializzarmi in malattie infettive, poi sono partita per lo Zambia dove sono stata 20 anni, curando malati di aids, persone con disabilità e ragazzi di strada.»
 

Anche in Zambia sei stata responsabile di zona

«Sì, per quattro mandati, tra il 1997 e il 2009.»
 

Dalle capanne dello Zambia, ai palazzi dell’ONU. Perché?

«Nel 2006 siamo stati accreditati come associazione all’Ecosoc di Ginevra. C’era una equipe che si occupava di preparare gli interventi. Nel 2007 io e Gloria Gozza, tuttora missionaria in Zambia, siamo state a New York per partecipare ad un’assemblea dell’ONU sul tema dei diritti delle donne. Dopo questa esperienza abbiamo proposto alla Comunità di aprire una presenza stabile presso l’ONU, per poter incidere in maniera più significativa. Così la Comunità ha mandato me. È stato difficile come passaggio, perché pensavo di vivere per sempre in missione, ma era una chiamata di Dio e ho accettato.»

L'esperienza all'ONU

Eri sola?

«I primi tre anni sì, poi si è creato un bel gruppo. Alcuni in presenza, altri a distanza.»
 

Sono passati molti anni da questa nuova presenza all’ONU. Facendo un bilancio, ne valeva la pena?

«È stato un passo grosso per la Comunità. Prima, pur essendo presenti in altri Stati, non avevamo di fatto una dimensione internazionale per quanto riguarda l’azione per essere voce di chi non ha voce e rimuovere le cause dell’emarginazione. Ora qui siamo riconosciuti e stimati, sentono che siamo veramente dalla parte dei poveri. Diamo continuamente contributi. Non siamo dei teorici, le proposte arrivano direttamente da chi è in prima linea nei vari Paesi del mondo in cui siamo presenti. Abbiamo inciso sulle risoluzioni, sui rapporti, introducendo anche nuovi concetti come la solidarietà preventiva e reattiva. Un concetto molto caro a don Oreste.»
 

Un lavoro paziente, il vostro, non ti costa questa attesa?

«Qui si sperimenta davvero la cultura del chicco di grano che vien messo nel terreno e porterà frutto in futuro. Da medico i risultati li vedevo subito, qui magari li vedranno altri. Una bella palestra per rimanere agganciati a Gesù.»
 

Come riesci ad incontrarlo ora che non vivi tra i poveri ma tra gli uffici?

«Anzitutto con la vita di preghiera. Cerco di rimanere nella cella interiore e da lì mi sento unita comunque con i poveri attraverso i fratelli e le sorelle di Comunità che stanno con loro. Poi cerco di coltivare le relazioni umane, che qui sono con persone di diverse culture e orientamenti.»
 

Facendo un bilancio, cosa è stata per te la Comunità Papa Giovanni XXIII?

«Mi ha dato tutto. Ogni volta che sento un fratello o una sorella che raccontano come condividono la vita con i poveri io mi commuovo. È la scoperta continua di come il Signore opera pur con i nostri limiti. Io sono entrata in comunità ancora adolescente, sono passata dalle bambole ai campi di condivisione. È la mia vita.»
 

Qual è secondo te il significato e l'impatto del recente incontro in Cina tra Russia e paesi asiatici per discutere di un nuovo ordine mondiale, e quali implicazioni ha questa alleanza per il ruolo dell'Occidente sullo scenario globale?

«C'è bisogno davvero di un nuovo ordine mondiale e non mi sorprende che la Cina, India e Russia che fanno parte dei BRICS,  le cosiddette economie emergenti, abbiano fatto una tale conferenza. Credo che fra qualche decennio la scena politica ed economica mondiale cambierà sicuramente, ma si vedrà...»

Alla luce dei cambiamenti geopolitici mondiali quali sono le sfide che oggi la Comunità è chiamata ad affrontare?

«La Comunità deve rimanere fedele alla sua vocazione e alla profezia di don Oreste sulla Società del gratuito e spingere l'acceleratore su questo con la forza della testimonianza e l'azione politica di rimozione delle cause dell'ingiustizia, difendendo il principio della dignità umana che purtroppo si sta perdendo. Le sfide sono tante, le guerre, i cambiamenti climatici, l'intelligenza artificiale, la crisi della cooperazione internazionale e del multilateralismo, per citarne alcune.»