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3 Febbraio 2019

Mattarella: «Nella società non ci possono essere scarti»

A Rimini per il 50&deg; anniversario della nascita della Comunit&agrave; Papa Giovanni XXIII, il Presidente della Repubblica ha avuto parole di elogio ma anche di richiamo ad &laquo;abbattere le barriere che discriminano, creano pregiudizi ed esclusione&raquo;.<br />
Mattarella: «Nella società non ci possono essere scarti»
Foto di Riccardo Ghinelli
Vangelo e Costituzione si sono incontrati a Rimini il 7 dicembre 2018 e hanno scoperto di essere in sintonia. Complici gli ultimi, i poveri, capaci di unire con la debolezza anziché con la forza.
L’occasione è data dal 50° anniversario dalla nascita della Comunità Papa Giovanni XXIII. L’appuntamento è al Palacongressi di Rimini, città in cui tutto ebbe inizio. 7000 persone presenti, la metà delle quali costituita da giovani arrivati dalle scuole superiori del territorio, per vedere la “prima” del film sulle case famiglia e incontrare un ospite d’eccezione, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella: «Il primo Presidente che viene a farci visita» sottolinea visibilmente emozionato Giovanni Paolo Ramonda, colui che dopo la morte improvvisa del fondatore don Oreste Benzi, undici anni fa, ha avuto il difficile compito di raccoglierne l’eredità e condurre la sua opera verso una nuova fase di sviluppo.
I due interventi –  del capo dello Stato e del capo della Comunità – si richiamano, si intrecciano, fino a sconfinare nel campo altrui. Così Ramonda utilizza la Costituzione per enunciare uno dei capisaldi su cui poggia l’approccio della sua comunità al mondo dell’emarginazione: non basta rispondere ai bisogni degli ultimi ma occorre rimuovere le cause che creano l’emarginazione. Proprio ciò che afferma l’articolo 3 voluto dai padri costituenti.

Mattarella e i fondamenti della Repubblica 

Mattarella incontra Apg23
Mattarella incontra la Comunità di don Benzi il 7 dicembre 2018
Foto di Beatrice Mancini

Mattarella apprezza e rilancia temi cari a don Benzi, che lui ha personalmente conosciuto. Parla di speranza: «Diviene realtà se, come diceva don Benzi, metto la vita insieme con la vita». Di condivisione: «Accogliere i più poveri, condividere con loro un percorso di crescita sociale, non sono solo atti caritatevoli ma che arricchiscono anzitutto chi se ne rende artefice». Di comunità: «La solitudine può sembrare un rifugio, ma fa crescere la paura, logora i legami civili. L’individuo da solo è debole, insicuro. L’ambiente nel quale la persona riesca a realizzarsi è la comunità».

Cita ancora don Benzi: «Le persone fragili non possono essere solo oggetto di assistenza ma sono costruttrici di umanità», parole a cui si ispira per l’affondo che gli fa guadagnare i titoli dei quotidiani: «Nella società non ci sono, non ci possono essere “scarti” ma soltanto cittadini, di identico rango e di uguale importanza sociale. Una diversa visione mette in discussione i fondamenti stessi della Repubblica».
Sembra un concetto ovvio, ma il fatto che il Presidente lo sottolinei con forza e che questo faccia notizia, significa che tra l’uguaglianza enunciata 70 anni fa e quella praticata oggi c’è uno scarto da colmare. 

Nella stanza di don Oreste Benzi 

Mattarella nella casa di don Oreste
Mattarella in visita alla casa di don Benzi
Foto di Paolo Giandotti_Quirinale

La giornata riminese del Presidente in realtà era iniziata prima, con la visita alla casa dove don Benzi ha vissuto da parroco per 32 anni, in una parrocchia di periferia che aveva voluto chiamare La Resurrezione. Al piano superiore, nell’ingresso, c’è ancora il grande tavolo cosparso di libri dove era solito studiare e scrivere, spesso di notte. Poi la poltrona di Mamma Rosa, dove a volte si assopiva quando non aveva il tempo di andare a dormire. Quindi la cameretta: un letto, un comodino, un piccolo lavandino. «Sembra una cella monastica» commenta il Presidente. «O la cameretta di un emigrante» aggiunge il vescovo Lambiasi. Chiunque arrivi qui è colpito dall’estrema essenzialità dell’ambiente in cui viveva questo sacerdote nonostante fosse a capo di una organizzazione diffusa in tutto il mondo.

Poi una tappa a conoscere la vicina casa famiglia “Nonno Oreste”, in rappresentanza delle centinaia che la Comunità ha avviato in Italia e nel mondo. Manu, adulta con il cuore semplice da bambina, ha preparato un disegno per il Presidente e glielo regala. La mamma di casa presenta i vari “figli”, provenienti da storie diverse, difficili, ora divenute parte di questa famiglia. Originale, ma vera famiglia. Lo straordinario che diventa ordinario. Anche se la scelta della condivisione non è facile, ma è proprio questo che la rende interessante.

Il film che racconta la casa famiglia 

Film Solo Cose Belle_attori sul palco
Film Solo Cose Belle: attori sul palco durante il meeting Apg23 del 7 dicembre 2018
Foto di Riccardo Ghinelli

Per questo Kristian Gianfreda ha deciso di farne un film. Lui è uno di quei giovani in cui don Benzi ha intravisto qualità che neppure sapevano di avere. «Facevo il volontario tra i senza fissa dimora alla Capanna di Betlemme di Rimini – racconta –. Avevo una passione per il cinema ma niente di più. Don Oreste mi ha chiesto di avviare un servizio audiovisivi per la Comunità. Mi presentava a tutti esaltando le mie doti, che io in realtà non avevo ancora scoperto». Dal 2000 ad oggi ha realizzato documentari e format televisivi.
Ma il film è stata una scommessa: «Non era facile trattare un tema come la casa famiglia, struttura simbolo della Comunità. Per parlare a tutti abbiamo dovuto liberarlo da ogni intento didascalico. In questo è stato fondamentale l’apporto di persone esterne con grande esperienza, come Andrea Valagussa, sceneggiatore di importanti serie TV».

Il film si chiama Solo cose belle. Tra i protagonisti anche Francesco e Marco, che in casa famiglia ci vivono davvero. Tra breve lo si potrà vedere al cinema – si sta individuando il distributore – ma intanto la “prima” era fissata per l’evento del 7 dicembre e l’esito non era scontato: «In sala c’erano 7000 persone molto diverse, membri della comunità che conoscono bene le vere case famiglia, tantissimi giovani che si approcciavano per la prima volta a questo mondo. Ero preoccupato, invece ho raccolto solo commenti positivi. Ringrazio quanti hanno creduto in questo progetto e lo hanno sostenuto».

La storia convince, si ride, ci si commuove, c’è anche la suspence per un misterioso furto. I giovani in sala si coinvolgono, applaudono al primo bacio tra Benedetta e Kevin. Poi però le cose si complicano, nelle relazioni affettive e anche in quelle sociali. Non è facile per un paese ancorato alle proprie tradizioni accettare la presenza di persone così strane.
Seguendo l’evolversi della storia, chi ha vissuto in una casa famiglia si sente interpretato. Chi non conosce queste esperienze scopre un’immagine diversa da quella solitamente raccontata.
E don Benzi? Lui, che le case famiglia le ha inventate, nel film non c’è, ma la sua presenza si avverte. Proprio come nella realtà che vive oggi chi incontra la Comunità Papa Giovanni XXIII. A 11 anni dalla morte del fondatore, sta emergendo una nuova generazione che sceglie di seguirne le orme senza averlo conosciuto.
«Grazie per quanto avete fatto in questi cinquant’anni – ha concluso il Presidente Mattarella –. Un grande augurio per il vostro impegno che continua».