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29 Gennaio 2022
Ultima modifica: 29 Gennaio 2022 ore 09:34

Matteo Bussola. Tenero come un maschio, forte come una femmina

Bussola, nel suo primo libro per bambini e bambine "Viola e il Blu. La libertà di essere il colore che vuoi" indaga con gentilezza e garbo sugli stereotipi di genere e rivela come capirci tutti meglio.
Matteo Bussola. Tenero come un maschio, forte come una femmina
Chi l'ha detto che se un bambino piange si comporta da femminuccia? O se una bambina si arrampica sugli alberi e si veste di blu sembra un maschietto?
Matteo Bussola di lavoro fa il padre, di professione disegna fumetti – un sogno che ha realizzato dopo aver lasciato a 35 anni la professione di architetto – e per passione scrive. 
In cima alla lista c’è l’essere padre, che ha imparato sul campo avendo come insegnanti le sue tre figlie, esperienza che lui stesso racconta averlo reso un uomo migliore, un professionista più coraggioso e un compagno più attento. 
In questo quadro quotidiano nascono i romanzi di Matteo Bussola. Con Notti in bianco, baci a colazione scritto nel 2016, da cui è stato tratto un film da poco uscito nelle sale cinematografiche, esordisce come scrittore. È il racconto di un padre che con naturalezza e un pizzico di leggerezza partecipa alla crescita delle proprie figlie, catturando la profonda straordinarietà racchiusa nelle piccole cose della vita. 
Ora Matteo Bussola si cimenta in una nuova storia da lui stesso illustrata, Viola e il Blu. La libertà di essere i colori che vuoi, uscito per Salani Editore a marzo 2021. Viola è la protagonista e ha 8 anni e non capisce perché se una bambina ama giocare a calcio, o sfreccia con il suo monopattino e le piace vestirsi di blu, proprio come a lei, le viene detto che sono cose “da maschi”. 
Attraverso gli occhi di Viola, Bussola indaga con gentilezza e garbo sugli stereotipi di genere, scoprendo che siamo abituati a ragionare per opposti. «Caldo e freddo. Giusto e sbagliato. Chiaro e scuro. Maschio e femmina. Rosa e blu. Facciamo molta fatica a vedere ciò che sta in mezzo. Invece la vita è molto più ricca di così.» 
Un inno alla diversità e alle unicità racchiuse in ognuno di noi. Una storia dedicata a tutti quelli che vogliono dipingere la propria vita con i colori che preferiscono. 


Viola e il blu libro di Matteo Bussola


Un tema considerato divisivo, ma che in Viola e in Blu tu affronti in maniera delicata. Quasi poetica.
«Non credevo fosse un tema divisivo, lo pensavo assolutamente condiviso.»

Però nel libro tu parli di stereotipi. È ancora così netta la separazione tra le cose “da maschi” e quelle “da femmina”?
«Erano anni che avevo l’esigenza di scrivere un libro su questi temi, proprio perché, in quanto padre di tre bambine, tre ragazze che oggi hanno 14, 11 e 8 anni, ho assistito a tutte le declinazioni possibili sul tema degli stereotipi di genere.  Mi riferisco ai giochi in teoria solo da maschi o solo da femmine o alla questione dei colori: il blu è da maschio e il rosa è da femmine. O ai compiti dei papà e compiti delle mamme. Nutro l’ambizione, attraverso le parole del libro, di provare a mettere in crisi alcuni modelli, nella speranza di cambiare almeno un pezzettino, per quanto piccolo, di mondo.» 

Perché parlare ai bambini e alle bambine?
«Ho pensato che discutendo di questi temi fosse meglio porgerli a quelli che saranno gli adulti di domani, piuttosto che parlarne agli adulti di oggi. Ecco perché ho sentito la necessità di scrivere, per la prima volta, un libro che si rivolgesse in prima battuta a bambini e bambine.»

Un libro che però è piaciuto molto anche agli adulti…
«Come poi accade sempre in maniera del tutto imponderabile è stato molto apprezzato anche dai genitori e da adulti, perché in realtà è per tutte le età. Molte delle cose che sono trattate nel libro, i bambini, prima che vengano rovinati da noi adulti, le sanno già. Per loro non sono delle cose strane come per gli adulti. Questa distinzione manichea fra i ruoli è una cosa che ci portiamo dentro noi adulti, culturalmente veniamo da quella formazione.» 

Matteo Bussola disegna con la figlia in braccio

«In nome di ipotetici stereotipi priviamo le persone di una possilità di espressione»

A proposito di stereotipi di ruolo, anche tu sei stato ingabbiato nel ruolo di “mammo” solo per aver fatto il papà. 
«Per avere scritto Notti in bianco, baci e colazione, in cui descrivevo la vita di un uomo che condivide al 50% con la propria compagna la gestione domestica e la gestione delle bambine, nelle prime interviste che mi facevano io venivo definito un “mammo”. Come società diamo per scontato che tutti i lavori di cura o tutti quei lavori che prevedono appunto una quotidiana sensibilità all’accoglienza, siano appannaggio quasi esclusivo delle donne o delle mamme, e nel momento in cui tu, uomo e padre, provi ad addentrarti in questo territorio, pare che l’unico modo che ancora oggi siamo in grado di mettere in campo per permettere a quest'uomo di farlo, sia quello di far diventare una donna anche lui, cioè un “mammo”. Mentre io, quando cucinavo per le mie figlie o andavo a prenderle a scuola o le assistevo nei compiti o le accompagnavo ad una partita di pallavolo nel pomeriggio, mi sentivo completamente nel mio ruolo di padre. E non capivo la necessità di attribuire queste etichette.»
 
Il libro inizia con Viola che ama il blu, per cui a scuola ci va con un cappottino celeste, lo zaino azzurro e il monopattino blu. Ma non tutti sono d’accordo con lei, specialmente gli adulti. Come mai?
«Mi piaceva cominciare il libro con un'immagine che fosse molto chiara e comprensibile a tutti, partendo dallo stereotipo per antonomasia, che poi apparentemente è quello più innocente: la distinzione a cui siamo abituati del blu, il colore dei maschi, e rosa come colore delle femmine. Viola contraddice questo stereotipo: lei ama moltissimo il blu, per questo viene fatta sentire “sbagliata”, nel senso che le fanno presente in molti che, in quanto femmina, dovrebbe amare il rosa. Attraverso un dialogo con suo padre, che fa il pittore e di colori se ne intende, scopre una cosa incredibile: che un tempo questa distinzione fra il rosa e il blu era esattamente il contrario.» 

In che senso?
«Il rosa era soprattutto il colore dei maschi e il blu era soprattutto il colore delle femmine. Fra i vari esempi che il papà di Viola porta, ne sottolinea due di altro livello: in tutti i quadri della pittura occidentale Maria, la Madonna, donna e madre per eccellenza, è sempre rappresentata con il velo blu. Mentre nella Cappella Sistina, la veste che avvolge Dio rappresentato da Michelangelo è rosa, considerato colore dei maschi. Questo per far capire che certe incrollabili certezze che abbiamo oggi e che pensiamo immutabili, in realtà sono transitorie, perché la cultura è in continuo cambiamento. Mi sembrava un bel modo per mettere in campo questa idea: che nessuno può permettersi di racchiuderci in una scatola.» 

Scatole che alla fine possono diventare delle gabbie.
«Esatto, perché alla fine sono vere e proprie gabbie. Che le chiamiamo aspettative sociali, o aspettative genitoriali, sono delle elementi che pretendono di definirci o di definire chi siamo, semplicemente sulla base di una cosa che è del tutto casuale, per quanto naturale, come il sesso biologico.»

«Non scegliamo di nascere maschi oppure femmine, è una cosa che capita»

Prova a spiegarti meglio.
«Noi non scegliamo di nascere maschi oppure femmine, è una cosa che capita. Possiamo scegliere di diventare uomini e donne veri che vivono nel mondo, perché noi non solo siamo tutti diversi, ma ciascuno di noi è unico, non esiste un altro come te, e questa è la cosa straordinaria. Ciascuno di noi viene al mondo con un compito: essere noi stessi, e non dipende dal fatto che sei maschio o femmina, ma da quell’unicità a cui dovremmo guardare come una risorsa preziosissima, invece di praticare continuamente la strada dell'omologazione.»

Quindi gli stereotipi sono frutto della nostra educazione? Come quando ad un bambino che piange viene detto che è una “femminuccia”?
«La cosa interessante degli stereotipi è che riguardano tutti, sia maschi che femmine. Uno dei più fastidiosi è che i maschi debbano crescere nascondendo la propria fragilità. Ancora oggi ai bambini viene detto: “Non piangere perché devi fare l'ometto, altrimenti sembri una femminuccia”, come se essere una femmina fosse un'offesa. La verità è che le nostre fragilità, le nostre crepe sono quelle che ci servono più di tutto il resto. Il cantante Leonard Cohen diceva che in tutte le cose e le persone esiste una crepa, ma è proprio attraverso di essa che può entrare la luce. Jung le chiamava feritoie, e attraverso di esse gli altri possono guardare dentro di noi e capirci più in profondità, mentre noi possiamo guardare fuori e comunicare e vedere meglio il mondo. Le esperienze dolorose, di solito, sono proprio quelle che uniscono di più le persone, indipendentemente dalle diversità. In nome di ipotetici stereotipi priviamo le persone di una possibilità di espressione.»

Il giudizio universale di Matteo Bussola


Per non parlare degli abbracci, cose da mamme…
«Mio nonno prima di morire mi ha confessato che uno dei più grandi rimpianti che ha avuto nella sua vita è stato quello di non aver mai potuto abbracciare i suoi figli. Non che non potesse davvero, ma una volta non stava bene che un padre manifestasse affettività, perché si diceva che i figli, se ricevevano troppo affetto soprattutto dal padre, venivano su un po’ storti. Anche mio padre ha ereditato un pochino questa cosa dal nonno; non ne faccio una colpa naturalmente, ma sono stato un bambino molto poco abbracciato. Questa è la ragione per cui invece le mie figlie le abbraccio moltissimo, tant'è che sono ricaduto nel contrappasso opposto e le mie figlie mi dicono: “Basta papà, vai via!”.» 

Non è dunque una questione maschile o femminile?
«Non mi va giù questa distinzione che pretende di attribuire alcune caratteristiche sentimentali, alcune virtù, alcune finalità dell'animo, chiamiamole come vuoi, al maschile e al femminile come se ci fosse una barriera. Per cui noi siamo abituati a considerare la forza, la determinazione, il coraggio, la rabbia come virtù maschili, e invece la tenerezza, la dolcezza, l'accoglienza, la pazienza come virtù femminili. Se usiamo questa polarità per rendere più semplice il ragionamento, dovremmo anche avere il coraggio di ammettere che tutti noi conteniamo un po’ di maschile e un po’ di femminile in proporzioni variabili. Siamo tutti diversi e questo non significa dire che le bambine devono fare i maschi e i maschi le femmine. Ma significa semplicemente che tutti noi, indipendentemente dal sesso biologico di nascita, abbiamo diritto ad accedere alla forza o alla tenerezza, alla dolcezza o alla determinazione, alla rabbia o all'accoglienza o a quello che si vuole, senza che qualcuno pretenda dall'esterno di imporci o di dirci quali di queste qualità dovrebbero aspettarci per statuto.»

Viola racchiude perciò questo significato?
«Il nome stesso ha un significato metaforico simbolico.  Da un punto di vista pittorico il viola nasce mescolando il Rosa e il Blu. “Io contengo moltitudini” diceva Walt Whitman, perché tutti noi conteniamo moltitudini di sfaccettature, di interessi, di orientamenti, possibilità, e a quelle possibilità dovrebbe essere dato spazio per manifestarsi a seconda delle attitudini di ciascuno. Uno scambio dal quale entrambe le polarità potrebbero trarre un grosso vantaggio. In questo modo ci capiremo tutti meglio.»