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25 Marzo 2020

È mancato don Elio Piccari, collaboratore di don Benzi

Il suo cuore si è fermato stamattina. Il 27 marzo avrebbe compiuto 83 anni.
È mancato don Elio Piccari, collaboratore di don Benzi
Foto di Alessio Zamboni
Una vocazione coltivata in famiglia. A 24 anni l'ordinazione e le prime esperienze da cappellano. Nel '68 la sua vita si lega a quella di don Benzi, dando vita alla parrocchia "La Resurrezione" e alla Comunità Papa Giovanni XXIII. Un cammino segnato dall'unione con Gesù e la condivisione con gli "ultimi". Lo racconta in questa intervista pubblicata su Sempre nel 2011, in occasione del 50° di sacerdozio.
Rimini 1 luglio. La “stagione” è già iniziata, ma nella Parrocchia della Resurrezione, a ovest dell’autostrada che costeggia la riviera, ci si accorge di essere nella città vacanziera solo dall’allungarsi della fila di auto e camper che attende di entrare al casello Rimini sud, lungo la strada che porta a San Marino. Qui nel 1968 è nata la prima esperienza in Italia di comunità pastorale: quattro sacerdoti che, con il permesso del vescovo, hanno fatto sorgere dal nulla una nuova parrocchia, in questo quartiere periferico completamente privo di servizi. Dopo un po’ sono rimasti in due, don Oreste Benzi e don Elio Piccari. 
Ora c’è solo don Elio, che il 9 luglio celebra il 50° anniversario del suo sacerdozio. Ci accoglie sorridente nel cortile della parrocchia e ci fa accomodare nella prima stanzetta a sinistra degli uffici parrocchiali, teatro di un’infinità di incontri che hanno fatto la storia non solo della parrocchia ma anche della Comunità Papa Giovanni XXIII. Appesa al muro, dietro la scrivania, una lavagna che sembra aver fermato il tempo: «Don Oreste riceve il pubblico il …», «Se chiamano donne o uomini che chiedono di uscire dalla strada dire che don Oreste le vuole aiutare e dare il numero di telefonino di don Oreste».
«Io quelle scritte non le cancello – spiega don Elio –. Chi verrà dopo di me, deciderà cosa fare».

Don Elio legge il vangelo
Don Elio Piccari, collaboratore di don Benzi insieme al quale guidò la parrocchia "La Resurrezione" a Rimini
Foto di Riccardo Ghinelli
i due sacerdoti giocano e si abbracciano
Don Oreste Benzi e Don Elio Piccari hanno fondato insieme la Comunità Papa Giovanni XXIII. Eccoli insieme
Foto di Riccardo Ghinelli

La scoperta della vocazione

Quando hai capito per la prima volta che saresti diventato un sacerdote?
«Un lunedì pomeriggio, avevo 6 anni e mezzo. Mia mamma tagliava l’erba e mi insegnava il Salve Regina in latino. Avevo paura ad andare a catechismo, perché non ero riuscito ad impararlo bene. La mamma però mi ha invitato ad andare lo stesso. Il sacerdote non mi ha interrogato, ma quel giorno mi ha detto: “Tu dovresti andare prete”. A 9 anni, poi, ho fatto un tema in cui scrivevo: «Vorrei fare il prete perché vorrei che tutti conoscessero il Signore». A 11 anni, il 7 ottobre 1948, sono entrato in seminario e a 24, il 9 luglio 1961, sono diventato sacerdote».

Il tuo primo incarico?
«Cappellano a Sant’Arcangelo di Romagna. Poi, nel 1965, il vescovo mi ha inviato a Miramare, ero il primo cappellano della parrocchia. Lì ho fatto  un’esperienza bellissima tra i giovani. La messa più bella la facevamo in barca, alle 3 del mattino. Aspettavamo che il sole si affacciasse sulla linea dell’orizzonte e iniziavamo: “Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo…”. Era bellissimo. Nel 1967 sono stato inviato come Parroco a Pian Di Castello e due altre parrocchie: Ripamassana e Torricella».  
Don Benzi e Don Piccari dal Papa
Don Benzi e Don Elio Piccari con Giovanni Paolo II nel 1979 durante l'udienza ai giardini vaticani

L'incontro di don Elio con don Oreste Benzi

La tua vita si è poi legata a quella di don Oreste Benzi. Come l’hai conosciuto?
«L’ho visto la prima volta il 7 ottobre 1948, a pranzo in seminario. Lui frequentava l’ultimo anno di Teologia, io la prima Media. Mi ha subito colpito il suo sorriso. Poi è diventato il mio insegnante di francese e il mio direttore spirituale». 

Finito il seminario, perché hai tenuto i contatti con lui?
«Quando sono diventato prete lui era già “un nome” in diocesi e io lo chiamavo a parlare nelle parrocchie dov’ero. Già allora non arrivava mai puntuale. Ma sapeva agganciare i giovani in maniera impressionante. In quel tempo nasce anche quella che chiamavamo l’Università di Spadarolo. Con un gruppo di giovani sacerdoti ci trovavamo assieme a don Oreste per approfondire studi di pedagogia e psicologia, cercando di capire come lavorare con i preadolescenti e gli adolescenti. Dopo il Concilio univamo questi studi con l’approfondimento dei documenti conciliari. Emergeva un’altra idea di Chiesa, una Chiesa come popolo. Il don diceva che anche noi preti dovevamo far vedere che vivevamo una vita comunitaria. Da lì è nata l’idea di dar vita a questa nuova parrocchia in quattro sacerdoti, anche se ognuno di noi seguiva anche altre parrocchie. È stata la prima esperienza di questo tipo in Italia».

In che maniera don Oreste ha influito sul tuo sacerdozio?
«Prima di tutto hanno influito su di me i miei genitori. Per loro il prete era una cosa sacra. Da loro ho imparato l’importanza della preghiera ma anche l’attenzione ai poveri. Poi hanno influito sulla scelta la mia catechista e il mio parroco. Don Oreste si può dire che mi ha ampliato la visione».  
Don Elio Piccari
Don Elio Piccari di fronte alla chiesa La Resurrezione a Rimini
Foto di Alessio Zamboni


Dal 1968 sei sempre stato accanto a don Oreste, che tu definisci “un santo”. Ma non è facile vivere accanto un santo. Com’è andata?
«Il Signore guida il suo popolo per mano di Mosè e Aronne: potremmo dire che lui era Mosè e io Aronne».

Umanamente però non dev’essere stato facile per te.
«Lui era lui, però mi ha sempre fatto sentire una grande stima nei miei confronti. Anche se quando giravo con don Oreste la gente fermava sempre lui, parlava con lui... Allora gli dicevo, scherzando: “Io con lei non vengo più…”».

«Con lei…». Tanti anni assieme eppure non gli davi del tu. Perché?
«Non ce l’ho mai fatta a dargli del tu. Solo una volta ho provato ma sono diventato rosso. L’ho sempre sentito al di sopra di noi, sentivo che aveva una ricchezza interiore e una capacità straordinaria in tutti i campi: si intendeva di psicologia, filosofia, astronomia, matematica… Lui studiava e leggeva come un matto. Un libro non lo leggeva tutto, bastavano poche pagine e aveva già capito. Così anche quando leggeva i giornali. La sera che è morto stava scrivendo i commenti a Pane Quotidiano e aveva sul tavolo la Bibbia e sei dizionari biblici».

Tu ripeti spesso che don Oreste era un contemplativo prima che un uomo d’azione: su quali elementi ti basi?
«Diceva che la preghiera è anzitutto una scelta, e la viveva. La confessione ogni 15 giorni, l’adorazione tutti i giorni, la messa tutti i giorni, il rosario, la liturgia delle ore... Quando era in chiesa ed era assorto davanti a Gesù Eucaristia non si accorgeva nemmeno se qualcuno entrava, lo testimoniano in tanti. Negli ultimi anni si è visto un fatto che riconoscono molti parrocchiani: quando consacrava l’Eucaristia si trasfigurava».
Don Elio e bimbo africano
Don Elio Piccari con un bimbo africano nel 1986
Foto di Riccardo Ghinelli

Il sacerdote? È come un babbo

È vero che nella tua parrocchia nessun anziano finisce in casa di riposo? 
«SìSe qualche anziano è finito in casa di riposo è una scelta della famiglia, che agisce per conto proprio e non si mette in relazione. Come scelta della parrocchia, se una famiglia è in difficoltà ci si dà una mano. C’era una donna sola che ha vissuto tanti anni da non autosufficiente: i vicini si alzavano anche di notte per assisterla e darle le medicine. Così è per tante famiglie».

Fin dalle origini della parrocchia in ogni via c’è un responsabile che cura i rapporti con tutte le famiglie che vi abitano. 
«Questa scelta è una potenza. Il responsabile della via è il cuore di quella via, conosce le situazioni, se qualcuno sta male si attiva».

Dopo 50 anni, come percepisci il tuo sacerdozio? 
«Due uomini che non vanno in chiesa mi hanno detto una cosa che ho sentito come un complimento: “Con lei non si può discutere perché è troppo innamorato del suo essere prete”. Quando sono diventato sacerdote mia zia mi ha detto: “Sei fortunato, sei l’uomo della preghiera”. E un’altra persona: “Sei fortunato: tu maneggi Dio”. Sono cose vere, che mi sono rimaste dentro».

Chi è per te il prete?
«Nel ricordino della mia prima Messa ho scritto: “Nelle mani di Dio per gli uomini”. Il sacerdote è il babbo. Il babbo si occupa di tutto, si cura dei suoi figli. Non facciamo pratiche sociali, è una scelta d’amore».