Topic:
30 Aprile 2021
Ultima modifica: 30 Aprile 2021 ore 13:48

Myanmar: sarà una nuova Siria?

La situazione del Paese desta molta preoccupazione perché potrebbe sfociare in una guerra civile
Myanmar: sarà una nuova Siria?
Foto di Stringer
Cecilia Brighi: «I militari vanno in giro con il bazooka per le strade delle città, sparando ai palazzi, sparano sulla gente che va a lavorare, alle persone che camminano per strada e la popolazione resiste». Ma ci sono anche segni di speranza: la popolazione sta manifestando in modo nonviolento e i giovani sono coinvolti e presenti.

Lo scorso 1° febbraio un colpo di Stato ha rovesciato il governo eletto in Birmania. La popolazione però non accetta il controllo militare del Paese e le manifestazioni vengono represse duramente.
In questa intervista a Cecilia Brighi cerchiamo di approfondire le motivazioni della situazione drammatica in cui sta vivendo il Myanmar.
 
Cecilia Brighi, in passato responsabile nel Dipartimento Internazionale CISL delle relazioni con ILO, OCSE, UNCTAD, OMC e i Paesi asiatici, è attualmente segretario generale di Italia-Birmania. Insieme, associazione che aggrega soggetti italiani e birmani per promuovere il processo di democratizzazione e pacificazione nel Paese.
Conosce in profondità il Myanmar, ne ha scritto in libri e articoli. Le abbiamo chiesto di darci una lettura della situazione in questo momento drammatico.

Rispetto al Myanmar dai media si comprende che c’è una repressione molto violenta di chi si oppone al golpe militare, ma è molto difficile trovare degli approfondimenti sulla situazione.

Il colpo di Stato era preparato con grande cura da parte del comandante in capo dell’esercito birmano. I motivi in effetti li aveva già esplicitati in precedenza, anche noi come associazione avevamo fatto un comunicato il 29 gennaio perché era chiara l’intenzione dei militari di arrivare a un colpo di Stato.
I motivi sono sostanzialmente due:
1.     Il primo è che il comandante in capo dell’esercito è inquisito alla Corte penale internazionale dell’Aja, il 1° luglio deve andare in pensione quindi non avrebbe più avuto una copertura di ruolo rispetto alle istituzioni internazionali. I militari non pensavano assolutamente che le elezioni  politiche dell’8 novembre 2020 sarebbero andate così bene per la Lega Nazionale per la Democrazia (LND) di Aung San Suu Kyi, anzi avevano pensato che la perdita di credibilità internazionale avrebbe portato a un netto calo dei voti e a una crescita del partito militare. Speravano che quest’ultimo avrebbe avuto almeno il 26%, che combinato insieme al 25% dell’esercito (la Costituzione riserva il 25 per cento dei seggi parlamentari e tre ministeri fondamentali ai militari, ndr) avrebbe dato loro la maggioranza e la possibilità di scelta del presedente della repubblica. Hanno avuto solo il 7% delle preferenze allora lui ha chiesto a Aung San Suu Kyi di fare un accordo, lei si è rifiutata e hanno risposto con il golpe. Inoltre la vittoria schiacciante dell’LND in Parlamento avrebbe portato una serie di modifiche legislative sfavorevoli all’esercito, in particolare si voleva cambiare la legge sulla droga. La Birmania è il primo esportatore di metanfetamina e il secondo di oppio al mondo, la nuova legge avrebbe colpito i grandi produttori di droga e sarebbe stato un grosso colpo per gli interessi militari.
2.     Altro motivo fondamentale è che una serie di leggi di natura economica che LND desiderava fare avrebbero penalizzato le due grandi holding in mano ai militari (finalmente sanzionate dall’Unione Europea), e queste due grandi holding controllano tutti i settori produttivi del Paese senza nessuna trasparenza e in assoluta libertà senza regole.

Il colpo di stato ha avuto una reazione molto forte da parte della popolazione, non si aspettavano neppure questo?

Il colpo di Stato è stato presentato al mondo come qualcosa che non avrebbe influito sulla vita normale delle persone, aveva lo scopo di accusare l’attuale governo di brogli elettorali e rifare le elezioni cambiando la commissione elettorale. Pensavano che la gente non reagisse, invece gli anziani che hanno vissuto per cinquant’anni sotto una dittatura non ne vogliono sapere di tornarci, e i giovani che hanno sperimentato la libertà (pensate che in Birmania 22 milioni di persone usano i social, non ci sono linee fisse, tutti lavorano su internet) e hanno sentito in famiglia i racconti sulla vecchia dittatura che ha davvero oppresso il popolo - non c’era libertà di movimento, non c’era libertà di parola e di pensiero, la denuncia era all’ordine del giorno perché chi denuncia veniva pagato, e la popolazione era poverissima nonostante sia un Paese davvero ricco – insomma i giovani non ci pensano proprio a vivere in una dittatura.
I militari sono rimasti spiazzati dalla risposta generalizzata. Ad esempio i lavoratori hanno paralizzato i trasporti, le raffinerie, i ministeri, le fabbriche. C’è un Paese che sta crollando economicamente eppure continua a “sanzionare” i militari attraverso scioperi e boicottaggi. Ad esempio la birra più famosa in Birmania è prodotta da un’azienda militare e la popolazione ha boicottato la vendita di questa birra: non se ne vede più una goccia in strada, perfino i venditori ambulanti avevano i cartelli con scritto “non vendiamo birra Kirin” (Kirin è un’azienda di birra giapponese che viene distribuita in Birmania dai birrifici posseduti dall’Esercito Nazionale. Kirin ha dichiarato che a fine anno smetterà di avere accordi con i birrifici del Myanmar, ndr).
I ferrovieri piuttosto che tornare a lavorare hanno perso la casa che gli era stata data in dotazione dal governo, infatti chi fa questo mestiere oltre ai quattro soldi di stipendio gli viene data una casa, sono stati cacciati. Ci sono diverse foto di anziani sulle spalle dei propri figli che se ne vanno via piuttosto cedere. Insomma la gente non vuole tornare indietro, non vuole la vecchia costituzione, ecco perché la situazione è molto difficile e non si prevedono sviluppi. Nessuno accetterà il controllo militare del Paese, non è pensabile neppure tornare a una situazione pre-golpe.
Il 16 aprile i parlamentari regolarmente eletti si sono riuniti e hanno costituito un governo ombra di unità nazionale. È un fatto storico perché il governo di unità nazionale mette insieme (così come le manifestazioni) la maggioranza Bamar e le minoranze etniche che per anni si sono scontrate. 

protesta cartello Myanmar
Un dimostrante regge un cartello e un novizio buddista fa il saluto delle tre dita, durante una protesta contro il golpe militare. Yangon, Myanmar, 27 Aprile 2021.
Foto di Stringer

Qui c’è un nodo importante ma poco chiaro, quello delle politiche discriminatorie di Aung San Suu Kyi all’interno del Paese: la questione dei Rohingya è una macchia nera.

La questione dei Rohingya è stata costruita ad arte dei militari. Aung San Suu Kyi è stata eletta a novembre 2015 ed è entrata in carica il primo aprile 2016. Il 16 settembre nomina la commissione Kofi Hannan, dopo un lavoro di mesi per mettere insieme una commissione di altissimo livello non voluta dai militari, sempre ostacolata. La commissione doveva trovare soluzioni al problema del Rakhine, che è un problema non tanto di scontro religioso, ma interetnico. Nel Rakhine c’è proprio uno scontro storico, pensate che i Rohingya nella seconda guerra mondiale erano alleati con gli inglesi, mentre i buddisti del Rakhine erano alleati con i giapponesi contro gli inglesi. I Rohingya, come del resto tutti i musulmani portati dagli inglesi, lavoravano molto più dei buddisti, avevano più potere (economico) e durante la guerra di fatto le parti erano invertite: i Rohingya perseguitavano i buddisti. Subito dopo la guerra, nel 1962 c’è stata la dittatura e tutti gli etnici sono stati cacciati dall’esercito. Poi è arrivata “la via birmana al socialismo” con la nazionalizzazione delle imprese, la cacciata di tutti i missionari cristiani dal Paese (che di fatto gestivano molte scuole che sono state chiuse), e nel 1984 è entrato nella lista dei Paesi più poveri e meno avanzati al mondo. Prima era il Paese di punta del sudest asiatico sia dal punto di vista economico che culturale, il tasso di scolarizzazione delle donne era altissimo e le donne facevano parte dell’élite politica e letteraria. Per esempio una delle più importanti scrittrici birmane, Ma Ma Lay, aveva fondato e gestiva una casa editrice. Con la dittatura tutto è franato, addirittura dopo il 1988 hanno chiuso l’università, quindi c’è un impoverimento anche culturale e sociale, tutta la classe culturale se ne è andata dal Paese.
Aung San Suu Kyi ha presentato i risultati della Commissione dopo un anno di lavori. Le conclusioni sono interessantissime e sono pubbliche: chiedeva il cambiamento della legge sulla cittadinanza, fatta nell’82 dai militari, legge che toglieva la cittadinanza ai Rohingya. Chiedeva la libertà di circolazione dei Rohingya, l’accesso alla sanità, all’istruzione, ai servizi. È un documento completo e complesso con una marea di indicazioni che, se attuate, avrebbero cambiato molte cose. Anche dal punto di vista economico c’è tutto un capitolo sull’occupazione, sul controllo degli infrastrutturali. Quindi il 24 agosto del 2017 Aung San Suu Kyi e Kofi Annan contro il volere dei militari presentano queste conclusioni.

Pensavano che la gente non reagisse, invece gli anziani che hanno vissuto per cinquant’anni sotto una dittatura non ne vogliono sapere di tornarci, e nemmeno i giovani che hanno sperimentato la libertà 
Cecilia Brighi

Il 25 agosto guarda caso una banda armata musulmana attacca 30 postazioni nel Rakhine e i militari, per evitare che venissero messe in atto le conclusioni della commissione Kofi Hannan, fanno una strage eliminando ogni possibilità che questo documento (che ancora oggi è validissimo) possa essere messo in atto. Contemporaneamente i militari, appoggiati dai monaci buddisti radicali, portano avanti una repressione contro i musulmani che arriva all’emanazione di quattro leggi sulla conservazione della razza e delle religioni. I musulmani non possono avere figli uno dopo l’altro, ma bisogna aspettare 36 mesi. Se si vuole sposare con un uomo non buddista si deve chiedere l’autorizzazione, insomma tutta una serie di vessazioni. Aung San Suu Kyi in questo clima ha dovuto barcamenarsi. Queste date sono importanti per ricordare alla gente che la realtà è molto più complessa e complicata di quella che i giornalisti vogliono presentare. I Rohingya sono davvero i più poveri tra i poveri, e quello che si racconta di incendi nei villaggi, stupri è tutto vero. È un Paese dove il tasso di povertà è del 78%, tutti sono poveri. I Rohingya vivono in una condizione di emarginazione, anche culturale, spaventosa. È come un po’ da noi i Rom. Ma la realtà è molto più complessa di come viene presentata e prima di fare delle affermazioni, di prendere una posizione, bisogna approfondire e conoscere. Del resto i documenti di cui ho parlato prodotti dalla commissione sono tutti pubblici possono essere consultati e si può andare a verificare.

Quello dei Rohingya non è l’unico problema, la Birmania è un tale ginepraio…

La Birmania è composta da 7 Stati e 7 regioni, e ogni Stato rappresenta una minoranza etnica. In più ci sono 130 minoranze etniche minori. Lo stato Karen da sempre è una delle vittime maggiori della repressione militare, del lavoro forzato, delle uccisioni, delle deportazioni e degli sfollamenti. Una gran parte degli sfollati è in Thailandia, e da decenni vivono nei campi, la gente ha partorito nei campi profughi generazioni intere. Si può paragonare un po’ alla Palestina. Ciascuno degli Stati etnici ha la propria armata per difendersi dagli attacchi dei militari, e questo è un retaggio della seconda guerra mondiale. Da allora i Karen chiedono la propria autonomia. Sono eserciti più o meno raffazzonati che si difendono dagli attacchi dell’Esercito Nazionale. Dopo il golpe c’è stata la fuga di migliaia di persone dalle città. I dissidenti, le persone che hanno manifestato, le persone che oggi sono perseguitate o ricercate si sono riversate nel Karen e i militari hanno bombardato i villaggi Karen.

Michelle Bachelet ha detto che la Birmania potrebbe diventare una nuova Siria, come sostenere la disobbedienza civile, la resistenza nonviolenta?

Oggi i militari vanno in giro con il bazooka per le strade delle città, sparando ai palazzi, sparano sulla gente che va a lavorare, alle persone che camminano per strada e la popolazione resiste. Il sindacato è molto forte, c’è un’alleanza tra le organizzazioni sindacali veramente potente: tutte le associazioni che si occupano dei diritti del lavoro organizzano scioperi e manifestazioni, addirittura il sindacato industriale sta negoziando con i grandi marchi del tessile per bloccare i licenziamenti. A protestare sono soprattutto le lavoratrici, che sono centinaia di migliaia, parliamo della più grossa area industriale della Birmania. Molte donne in clandestinità organizzano manifestazioni e scioperi e rischiano tantissimo. E poi c’è la cosiddetta “generazione Z” i giovani attivi e creativi, poi i lavoratori che a Pasqua hanno fatto lo sciopero delle uova con i messaggi di pace contro l’esercito e lo sciopero dei fiori, e quello dell’immondizia. C’è un coordinamento tra i giovani e i lavoratori in un’azione abbastanza coordinata. Poi c’è la Chiesa che ha un ruolo importantissimo. Il cardinal Bo è una persona meravigliosa, io lo considero davvero un mito. È un uomo che ha messo in piedi il dialogo interreligioso lavorando con tutte le religioni. In Birmania proprio per la presenza inglese a suo tempo, oltre ai buddisti ci sono praticamente tutte le confessioni religiose, ebrei, musulmani, cristiani (non solo cattolici). Il cardinal Bo le ha messe insieme per lavorare e promuovere la pace. In questa situazione ha un ruolo fondamentale di difesa dei diritti umani. Tra l’altro la Chiesa cattolica in Birmania è molto rispettata, proprio per la sua vicinanza alla gente. Ha aiutato molto nel corso della storia, anche con l’educazione, molti buddisti hanno studiato nelle scuole cattoliche. Ecco tutte queste realtà sono il futuro, sono meravigliose e vanno sostenute.