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8 Febbraio 2023
Ultima modifica: 8 Febbraio 2023 ore 12:46

In Germania fra i marinai vittime di tratta e sfruttamento

Gli operatori dell'Apostolato del Mare li incontrano in tutto il mondo. La storia.
In Germania fra i marinai vittime di tratta e sfruttamento
Foto di Archivio Stella Maris Germany
Nella Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta, l’appello di Marina Di Martino, operatrice di frontiera della Comunità di don Benzi, nel porto di Brema.
Si affaccia sul Mare del Nord ed è il porto più antico della Germania, il secondo più importante dopo Amburgo. Le navi che a Brema e Bremerhaven, alla foce del fiume Weser, hanno dato inizio fin dalla fine dell’Ottocento alle più storiche navigazioni d'Europa verso l'America, ancora oggi trasportano in migliaia di container tabacco, lana, cereali, caffè ma anche merci industriali. A Brema si trovano infatti anche importanti industrie automobilistiche, elettroniche, acciaierie e cantieri navali, come anche alcune industrie aerospaziali. Eppure è sempre qui che giovani provenienti dal sud est asiatico e dall’Est Europa, restano imprigionati sulle navi per mesi o addirittura anni, vittime di sfruttamento lavorativo, invisibili e passati sotto silenzio.

«I marinai molto spesso lavorano in condizioni disumane, non ricevono acqua a bordo, gli vengono ritirati il passaporto e i soldi con cui arrivano, costretti a lavorare anche a fine contratto... – spiega Marina Di Martino –. In genere i marittimi hanno contratti di 9-10 mesi, aumentati col Covid a 13-14. Questo ha inciso sia sulla loro salute fisica che su quella psicologica», al punto che ci sono a volte casi di suicidio.

Non dimentichiamo i nuovi schiavi del mare
Marina Di Martino

Eppure già l'Ilo era corsa ai ripari con la convenzione n.147, il documento più significativo prodotto negli ultimi 25 anni in cui gli Stati che l'hanno ratificata si sono impegnati a rispettare i regolamenti in materia di sicurezza e lavoro dei marinai e a controllare le navi battenti bandiera nazionale.

Ma nonostante raccomandazioni e ispezioni previste dalla Commissione Europea nei porti del nostro continente, il reclutamento di manodopera a basso costo, e senza diritto di replica, è ancora alle radici della tratta di giovani in particolare da Filippine, Indonesia e Sri Lanka o Sudamerica. La durezza del lavoro a volte richiede sino a 100 ore settimanali. Per non parlare della pericolosità lungo le tratte marittime: secondo i dati del 2020, sarebbero aumentati del 24% rispetto al passato gli attacchi e i tentativi di rapina da parte dei pirati. Il Covid-19 ha peggiorato poi la situazione: in molti casi, sono stati prolungati i contratti e dunque la permanenza a bordo, in altri casi è impossibile “a fine servizio” essere rimpatriati. A questo si aggiunge l'incomunicabilità a bordo. Gli equipaggi sono formati da personale di nazionalità, cultura e lingue differenti. Sulle navi mercantili si possono contare sette o otto nazionalità e sulle navi da crociera si arriva anche a più di trenta. Tutto questo aumenta il senso di isolamento.

Centri di ascolto anche per i marittimi

Per contrastare queste condizioni disumane nel 1920 è nato in Scozia l'Apostolato del mare che oggi, nell’ambito del Dicastero per il servizio allo sviluppo umano integrale del Vaticano, si rivolge a marittimi e pescatori di tutto il mondo e alle loro famiglie, grazie a una rete di circa trecento Stella Maris (una trentina in Italia), luoghi di ascolto, aggregazione e supporto anche in sinergia con le locali Caritas per il rifornimento di cibo, cercano di facilitare il rimpatrio, in collaborazione con il Sindacato internazionale dei marittimi, raccogliendo i fondi necessari per i viaggi, evitando ulteriori ricatti ed estorsioni da parte dei trafficanti di persone. 

Marina Di Martino, della Comunità Papa Giovanni XXIII collabora in questa opera pastorale anche in rete con la Chiesa Evangelica, nella città tedesca. «Il mio compito consiste nel visitare le grandi navi nei porti, con equipaggi anche di 20-25 marinai con contratti di 9-10 mesi con un progetto finanziato dal Ministero per sostenere la dignità dei lavoratori sulle navi. Pochi lo sanno ma i marinai sono la parte contrattuale più debole del commercio in tutto il mondo: consegnano tutti i documenti e i loro averi a bordo, non sono liberi di muoversi dai porti, non è che sono liberi di entrare e uscire perché magari sono in paesi che avrebbero bisogno di visto per muoversi».

Hanno bisogno spesso di assistenza materiale, di un contatto umano, anche di assistenza spirituale. In quei 9 mesi, in cui dormono in uno spazio angusto, e lavorano tantissime ore, non sono favorite l'amicizia o i rapporti umani. Tra colleghi, gli uni devono controllare gli altri. Quando incontrano qualcuno che li cerca solo per chiedergli come stanno e non per dargli ordini o vendergli dei prodotti, possono tirare un sospiro di sollievo e parlare di se stessi. Ma gli operatori delle Stelle Maris hanno anche un altro compito importante: segnalare violazioni dei diritti umani all’autorità locale che attiva prontamente una ispezione in loco. Per esempio per la mancanza di acqua (capita che debbano raccogliere quella piovana) o nel caso siano trattenuti in nave anche a fine contratto, senza poter riavere i propri documenti. Abbiamo poi anche un impegno nella cura dell'anima, la parte pastorale che prevede non solo di dare ai marinai rosari o bibbie se desiderano pregare, ma anche celebrare insieme le messe a bordo, se ci sono le condizioni, nelle solennità a Natale e Pasqua, fermi nel porto magari solo per due giorni, e anche ascoltare i loro bisogni e le loro problematiche.

Operatori incontrano i marinai a Brema
Attività dell'Apostolato del mare a Brema in Germania, che si rivolge a marittimi, pescatori e alle loro famiglie.
Foto di Archivio Stella Maris Germany
Volontaria incontra un marinaio a Brema
Attività dell'Apostolato del mare a Brema in Germania, che si rivolge a marittimi, pescatori e alle loro famiglie.
Foto di Archivio Stella Maris Germany
Furgone
Mezzo dell'Apostolato del mare nel porto di Brema in Germania.
Foto di Archivio Stella Maris Germany


L’organizzazione tedesca ha anche aperto un club dei marinai, un luogo in cui giocare a biliardo, ascoltare la musica, rilassarsi, scrivere grazie agli spazi di Wi-Fi liberi, fare la videochiamata con le famiglie. E’ un luogo di aggregazione e di ascolto importante per chi sta per mesi in mare senza fermarsi mai e vive in spazi angusti, tra persone che non ha scelto. «Prima dello scoppio della guerra – ricorda l’operatrice della Stella Maris tedesca – un giorno un uomo ucraino si è messo proprio a piangere mentre parlava con me.

”Sono a bordo con compagni per metà ucraini e metà russi, ho la famiglia in Donbass, mi è appena morto il fratello in guerra e l’Europa chiude gli occhi. A bordo devo sempre stare attento a quel che dico, posso parlare solo del tempo o di come è il pranzo perché se tocchiamo altri argomenti, rischiamo di prenderci a botte”.

E finalmente sfogava nel pianto tutto il suo dolore. C’è poi la situazione completamente opposta dei marinai russi: si vergognano di dire da dove vengono, faticano a mandare i soldi alle famiglie per via delle sanzioni. E tutto questo non è colpa loro, eppure sono sotto pressione ogni giorno per via della guerra. Sono marinai semplici non qualificati e quasi tutti da aree povere. Incontri uomini robusti di 30 anni ma che ti dicono con sincerità che il lavoro in mare fa paura. Fa paura se c’è maltempo in mezzo all’oceano, oppure fa paura per esempio sulle coste occidentali dell’Africa - sembrano cose d’altri tempi – perché esiste ancora la pirateria. I pirati si avvicinano a sorpresa con piccole imbarcazioni e coi cannoni ad attaccare le navi. Ci sono poi compagnie non completamente equipaggiate, armatori con navi non sicure e di vecchia data. E se si lamentano o si ribellano, non sono più chiamati a lavoro».

Il Papa: restituiamo la dignità ai lavoratori marittimi

C’è dunque una notevole disparità tra il datore di lavoro e il lavoratore, anello debole. Si tratta di giovanissimi dai 20 anni in su, in alcune aree delle Filippine almeno uno per famiglia deve imbarcarsi come marinai. Col lavoro costruirà la casa per la famiglia, manderà i fratelli o i figli a scuola. Per questo sono spesso reclutati da trafficanti senza scrupoli nelle aree rurali più interne e remote con la promessa di accumulare fortune con un lavoro sicuro che invece spesso non sarà mantenuta. Ecco perché il Papa ha parlato spesso con premura degli oltre 500 mila lavoratori del mare che viaggiano invisibili ad ogni latitudine, e che continuano a "soffrire privazioni, aggravate dagli effetti del cambiamento climatico".

Lo sfruttamento da parte degli armatori più ricchi che cercano di assumere i marinai dai paesi più poveri in cui l'attività è meno regolamentata, è frequente. Un’ingiustizia che pochi conoscono. Continua Marina Di Martino: «I marinai sono dei poveri invisibili, se non mi portavano a bordo delle navi merci, se non li incontravo, non avrei capito che più dei due terzi di quello che mangiamo arriva con le navi nei nostri paesi. E per questo Papa Francesco ci chiede di tenere alta l'attenzione su questa realtà, perché molti sono invisibili, non sono liberi, non sono trattati come persone».
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