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25 Ottobre 2023
Ultima modifica: 25 Ottobre 2023 ore 12:25

Pizzaballa: «Ci vuole coraggio per chiedere giustizia senza spargere odio»

In una lettera diffusa alla vigilia della festa di Maria Regina di Palestina, l'accorato appello del patriarca di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa alla sua diocesi. Dura condanna degli attacchi di Hamas ma «è solo ponendo fine a decenni di occupazione, e alle sue tragiche conseguenze, e dando una chiara e sicura prospettiva nazionale al popolo palestinese che si potrà avviare un serio processo di pace.»
Pizzaballa: «Ci vuole coraggio per chiedere giustizia senza spargere odio»
Foto di Patriarcato Latino di Gerusalemme
Appello a ragionare come il Vangelo. «Avere il coraggio dell'amore e della pace qui, oggi, significa non permettere che odio, vendetta, rabbia e dolore occupino tutto lo spazio del nostro cuore, dei nostri discorsi, del nostro pensare». Intanto a Firenze Rabbino, Imam e fiorentini hanno pregato insieme a San Miniato per la pace.

È un’ora buia quella che stiamo vivendo, inutile girarci intorno. Tutti temiamo che la terza guerra mondiale a pezzi evocata da Francesco da un giorno all’altro possa diventare globale. Eppure nell’ora buia, ci sono luci di speranza a cui guardare.
La lettera diffusa alla vigilia della festa di Maria Regina di Palestina, dal patriarca latino di Gerusalemme, cardinale Pierbattista Pizzaballa, è insieme una limpida e potente testimonianza di fede ed un giudizio chiaro sugli ultimi eventi e sulle prospettive che si aprono. E a Firenze, per iniziativa di un abate benedettino, in migliaia hanno sfilato per la pace, e fra loro il rabbino capo e l’imam. Uno di quei “miracoli” che tanto sarebbero piaciuti al “sindaco santo” Giorgio La Pira

Non ci sono ragioni per una atrocità del genere

Nell’ora buia che ci affligge Pizzaballa invita a guardare Gesù. Attenzione: «Guardare a Gesù, ovviamente, non significa sentirci esonerati dal dovere di dire, denunciare, richiamare, oltre che consolare e incoraggiare. Come abbiamo ascoltato nel Vangelo di domenica scorsa, è necessario rendere "a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio" (Matt. 22,21). Guardando a Dio, vogliamo dunque, innanzitutto, rendere a Cesare ciò che è suo».
E allora sul 7 ottobre il patriarca è netto: «Non ci sono ragioni per una atrocità del genere. Si, abbiamo il dovere di affermarlo e denunciarlo. Il ricorso alla violenza non è compatibile col Vangelo, e non conduce alla pace».
Ed un giudizio altrettanto netto lo esprime su quel che è accaduto dopo: «Questo nuovo ciclo di violenza ha portato a Gaza oltre cinquemila morti, tra cui molte donne e bambini, decine di migliaia di feriti, quartieri rasi al suolo, mancanza di medicinali, acqua, e beni di prima necessità per oltre due milioni di persone. Sono tragedie che non sono comprensibili e che abbiamo il dovere di denunciare e condannare senza riserve».

Volgere lo sguardo verso l'Alto

Volendo render a Cesare quel che è di Cesare il cardinale esprime un giudizio storico-politico che forse farà storcere il naso a quanti, da noi in Occidente, tendino a prendere esclusivamente le parti di Israele: «È solo ponendo fine a decenni di occupazione, e alle sue tragiche conseguenze, e dando una chiara e sicura prospettiva nazionale al popolo palestinese che si potrà avviare un serio processo di pace.
Se non si risolverà questo problema alla sua radice, non ci sarà mai la stabilità che tutti auspichiamo. La tragedia di questi giorni deve condurci tutti, religiosi, politici, società civile, comunità internazionale, ad un impegno in questo senso più serio di quanto fatto fino ad ora. Solo così si potranno evitare altre tragedie come quella che stiamo vivendo ora. Lo dobbiamo alle tante, troppe vittime di questi giorni, e di tutti questi anni. Non abbiamo il diritto di lasciare ad altri questo compito».
Viene da chiedersi da dove il patriarca tragga questa forza, questa capacità di giudizio, nella verità e nella giustizia. Ce lo dice direttamente, invitandoci a seguirlo sulla stessa strada: «Non posso vivere questo tempo estremamente doloroso, senza rivolgere lo sguardo verso l’Alto,
senza guardare a Cristo, senza che la fede illumini il mio, il nostro sguardo su quanto stiamo vivendo, senza rivolgere a Dio il nostro pensiero. (…) Ne abbiamo bisogno come l’aria che respiriamo».
Pizzaballa parte dal Vangelo: “Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate co-raggio: io ho vinto il mondo!” (Gv 16,33).
«Non dice che vincerà, - sottolinea - ma che ha già vinto». Niente pace irenica, niente rassegnazione, solo una grande certezza: «Dentro tutta questa malvagità, Gesù ha vinto».
Non è trionfalismo fuori luogo, perché il patriarca ricorda subito che è sulla croce che Gesù ha vinto. «Non con le armi, non con il potere politico, non con grandi mezzi, né imponendosi. La pace di cui parla non ha nulla a che fare con la vittoria sull’altro. Ha vinto il mondo, amandolo. È vero che sulla croce inizia una nuova realtà e un nuovo ordine, quello di chi dona la vita per amore. (…) La risposta di Dio alla domanda sul perché della sofferenza del giusto, non è una spiegazione, ma una Presenza. È Cristo sulla croce».
Da questa certezza nasce il coraggio di cui parla Gesù nel Vangelo: «Avere il coraggio dell’amore e della pace qui, oggi, significa non permettere che odio, vendetta, rabbia e dolore occupino tutto lo spazio del nostro cuore, dei nostri discorsi, del nostro pensare. Significa impegnarsi personalmente per la giustizia, essere capaci di affermare e denunciare la verità dolorosa delle ingiustizie e del male che ci circonda, senza però che questo inquini le nostre relazioni (…) Ci vuole coraggio per essere capaci di chiedere giustizia senza spargere odio. Ci vuole coraggio per domandare misericordia, rifiutare l’oppressione, promuovere uguaglianza senza pretendere l’uniformità, mantenendosi liberi (…) Io voglio, noi vogliamo essere parte di questo nuovo ordine inaugurato da Cristo. Vogliamo chiedere a Dio quel coraggio».

Firenze come Gerusalemme. In cammino per la pace

Un gesto di fede e di coraggio è anche quello compiuto dall’abate di San Miniato a Monte, dom Bernardo Gianni, che ha invitato tutti, fiorentini, arabi, ebrei, a salire verso il monte, in fiaccolata, per testimoniare una volontà di pace. E fra i duemilacinquecento che hanno aderito all’iniziativa c’erano anche il rabbino capo di Firenze Gadi Piperno e l’imam Izzedin Elzir, originario di Hebron, in Palestina.
«È stato un piccolo miracolo, capace di andare oltre i contingenti steccati dell’odio e del sospetto», ha dichiarato l’abate ad Avvenire.  Dom Bernardo Gianni ha tratto ispirazione dall’impegno per la pace di Giorgio La Pira e dalla sua visione di Firenze come una sorta di seconda Gerusalemme, bella come la Gerusalemme messianica, irradiante pace e luce.
Una visione di cui parlò anche negli esercizi spirituali che nel 2019 tenne a papa Francesco e alla curia romana. Insomma, da Firenze doveva partire un segnale di pace, da uomini, appartenenti, come sempre diceva La Piara, alla triplice famiglia di Abramo. «È un seme. – ha spiegato l’abate ad Avvenire - Benché non sia stato un incontro di preghiera, sono certo che nel silenzio della salita abbiano trovato spazio tanta preghiera e tanta consolazione. Perché, quando il desiderio di pace unisce le persone al di là delle appartenenze o delle convinzioni, tutto ciò rassicura».