Su fortissima pressione dell'Associazione Luca Coscioni sono state emesse ben quattro sentenze della Corte Costituzionale che hanno sancito la depenalizzazione del suicidio assistito, seppur a limitate condizioni, invitando il parlamento a legiferare
Se il governo precedente non era riuscito a raggiungere l'obiettivo di una legge, quello attualmente in carica pareva non volersene occupare fino alla svolta dei giorni scorsi. È infatti notizia di fine giugno che i partiti della maggioranza di governo hanno condiviso una bozza come testo di riferimento da portare in commissione ristretta martedì 1 luglio a palazzo Madama per rispettare, come da calendario, l'inizio della discussione in aula al Senato previsto per il 17 luglio.
Il dilemma bioetico
Sulla discussione in corso grava un dilemma bioetico: obbedire alle indicazioni della Corte o alla propria coscienza? Tutti sanno che al vertice del sistema normativo sta la Costituzione di cui la Corte costituzionale è inappellabile interprete. Dal punto di vista legale nessun dubbio sulla necessità di legiferare. Tuttavia le esigenze della coscienza pongono all'individuo un obbligo di ordine ancora superiore. Questa la ragione per cui viene riconosciuta la possibilità di esercitare l'obiezione di coscienza come diritto umano fondamentale nelle situazioni in cui il diritto alla vita viene sottoposto ad altri valori. È il caso del servizio militare, quello di praticare l'aborto o di mettere in atto le tecniche di fecondazione umana in vitro, auspicabilmente anche per il suicidio assistito.
Poiché il legislatore ha potere ed obbligo di agire nella definizione del diritto si pone un dubbio etico quando la norma esistente non vi corrisponde. Nei fatti la norma in vigore è rappresentata oggi dalle sentenze della corte e dalle leggi regionali recentemente approvate o in corso di approvazione. Queste ultime stabiliscono il suicidio assistito come un diritto esigibile in tempi rapidi e certi, una prestazione a totale carico del Servizio Sanitario Regionale.
La Chiesa invita i parlamentari, quando non fosse possibile abrogare totalmente una legge ingiusta, all'approvazione di norme che ne limitino i danni (Evangelium Vitae, 73).
Un Comitato nazionale di valutazione
Pur non essendo ancora disponibile il testo, la maggioranza sembra abbia posto in atto il tentativo di essere più aderente possibile alle disposizioni della Corte Costituzionale, senza ampliare indebitamente il campo come vorrebbero le altre proposte di legge sul tema.
Si tratta infatti di un testo particolarmente restrittivo che difficilmente arriverà in aula, una chiara esposizione di intenti, un pensiero, una bandiera issata.
La proposta prevede la costituzione di un Comitato nazionale di valutazione etica, superando il livello regionale per evitare difformità di giudizio. Questo avrà l'incarico di esaminare le richieste di coloro che vorranno accedere al suicidio assistito. Entro 60 giorni dovrà decidere se sono rispettati i criteri di legge, ulteriori 60gg saranno concessi per i casi più complessi. In caso di diniego non potrà essere ripresentata analoga richiesta dalla stessa persona per 48 mesi.
In caso di esito positivo il suicidio assistito, in ossequio alle sentenze della Corte, sarà depenalizzato ma non sarà il Servizio Sanitario Nazionale ad erogare la prestazione suicidaria come invece indicato nelle altre proposte legislative. L'aiutante al suicidio potrà operare in ospedale o a casa del paziente, potrà essere il suo medico di base.
Il paziente dovrà essere già inserito in un percorso di cure palliative. Possibilità che ad oggi non è sufficientemente garantita in tutte le regioni d'Italia nonostante gli obblighi di legge.
Il dibattito e il rischio di istigazione
I partiti di opposizione non hanno risparmiato critiche al testo rigettando in particolare l'incipit secondo cui lo Stato debba tutelare la vita umana dal concepimento fino alla morte naturale.
Ciò che ancora manca nel dibattito è la necessità di una speciale protezione verso le persone più deboli, come richiesto nella prima sentenza della Corte Costituzionale, spesso così fragili da poter essere facilmente indotte a chiedere ciò che non desiderano dal profondo del loro cuore.
Il divieto di istigazione o aiuto al suicidio conserva una propria evidente ragion d’essere soprattutto, nei confronti delle persone malate, depresse, psicologicamente fragili, ovvero anziane e in solitudine, le quali potrebbero essere facilmente indotte a congedarsi prematuramente dalla vita, qualora l’ordinamento consentisse a chiunque di cooperare anche soltanto all’esecuzione di una loro scelta suicida, magari per ragioni di personale tornaconto.
«Al legislatore penale non può ritenersi inibito, dunque, vietare condotte che spianino la strada a scelte suicide, in nome di una concezione astratta dell’autonomia individuale che ignora le condizioni concrete di disagio o di abbandono nelle quali, spesso, simili decisioni vengono concepite. Anzi, è compito della Repubblica porre in essere politiche pubbliche volte a sostenere chi versa in simili situazioni di fragilità, rimuovendo, in tal modo, gli ostacoli che impediscano il pieno sviluppo della persona umana». (Ordinanza 207/2018).
Attenzione alla burocratizzazione della vita
La nostra, infatti, è una società molto burocratizzata, in cui tutta l'espressione della volontà dell'interessato è riposta nell'assenso. La propria firma sotto un testo raramente letto e ancora più raramente compreso o comprensibile rappresenta il documento fondamentale e incontestabile di ogni volontà, compresa quella di voler morire.
Ricordo molto bene, ero al suo capezzale, quando ad un'amica fecero firmare dei fogli per impossessarsi del suo Conto Corrente spiegandole si trattasse solo di un aggiornamento della privacy.
Così anche per un intervento chirurgico a mio figlio in cui, fra le varie carte che mi furono sottoposte a firma, era compreso un consenso informato di cui nulla mi era stato detto.
Il suicidio è depenalizzato da tanti anni, in Italia dal 1889, per evitare di punire i tentati suicidi e indurre così nuovi e più efficaci gesti estremi. Anche la Chiesa da qualche decennio concede normalmente funerale e sepoltura in terra consacrata. Pur considerandolo in sé come peccato grave presume, nella disperazione del gesto, una mancanza di libertà personale che ne attenua la responsabilità.
Resta tuttavia un gesto drammatico, disperato, definitivo. In aumento soprattutto fra i giovani. Sono in particolare le donne a provarci anche se più spesso sono i maschi a riuscire nell'intento lasciando parenti ed amici in un vuoto incolmabile.
Il rischio di diffondere la cultura del suicidio
Certo il dibattito in atto non favorisce il tentativo di prevenirlo, rischia invece di favorirne la diffusione. Se il suicidio viene legalizzato, quindi promosso come un diritto per chi soffre a livello fisico o psicologico per una patologia inguaribile e debilitante, questo può incentivare analogamente il suicidio di chi si dispera nella propria tragica condizione economica, affettiva, scolastica, giudiziaria pur in assenza di patologie debilitanti. Questo ed altri rischi hanno portato l'Oms a cambiare la definizione di salute da "stato di completo benessere fisico, mentale, psicologico, emotivo e sociale” a “la capacità di adattamento e di auto gestirsi di fronte alle sfide sociali, fisiche ed emotive”. Se la prima definizione ha portato ad un eccesso di medicalizzazione ora ci si vorrebbe concentrare sull'aiutare il paziente a convivere con la sua malattia anche quando inguaribile.