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11 Maggio 2022

L'altra Europa, quella delle donne in fuga

Sono migliaia e scappano dalla guerra in Ucraina, ma anche tramite la rotta balcanica o attraversando il Mediterraneo.
L'altra Europa, quella delle donne in fuga
Foto di David Emrich
Il progetto europeo Miriam individua e aiuta le più vulnerabili. Oltre a promuovere percorsi di formazione e a raccogliere richieste di aiuto per le vittime di violenza domestica, matrimoni forzati e sfruttamento sessuale, il progetto ha lanciato ad aprile una campagna di sensibilizzazione contro la violenza alle donne migranti Break the wall, promossa da Comunità Papa Giovanni XXIII, Differenza Donna e Fundaciòn de solidaridad Amaranta.
I dati del Viminale hanno segnalato all’inizio di aprile l’ingresso in Italia di 81.739 ucraini in fuga dalla guerra di cui più di 73mila donne e minori diretti soprattutto a Milano, Roma, Napoli e Bologna. Ma non sono rallentati nel 2022 nemmeno i flussi di migranti dalla rotta balcanica e dalla traversata del Mediterraneo.

Secondo il Ministero dell’Interno da gennaio a marzo 2022, sono sbarcati in Italia 6.770 migranti di cui il 20% donne e minori. Quanto ai migranti – anche in questo caso centinaia di madri con figli al seguito – rimpatriati a forza nel nostro Paese per il Regolamento di Dublino che prevede che chi chiede asilo in Europa debba farlo nel primo Paese di approdo e quindi chi si sposta in Europa alla ricerca di un futuro o in fuga da sfruttatori deve tornare indietro per farlo, non ci sono dati certi. Ma ciò che è certo è che dal 2019 rientrano forzatamente.

Il Progetto Europeo Miriam

Nel complesso panorama delle migrazioni che il Covid non ha arrestato, 3 ONG (Associazione Papa Giovanni XXIII, Differenza Donna in Italia e Fundaciòn de solidaridad Amaranta in Spagna) si sono alleate nel 2021 per migliorare l’ascolto, l’accoglienza e il riscatto delle tante donne migranti che si spostano all’interno dell’Europa e che in questo viaggio incontrano soprusi e aggressioni.

Progetto Miriam, il logo
Progetto Miriam


Ne è nato un progetto europeo dedicato a Miriam, una donna marocchina che con la sua bimba di 3 anni è stata salvata dalla Comunità di don Benzi dalla violenza del marito. Come lei tante altre donne portano sulle spalle – ed è tema attuale in questi mesi di migrazioni forzate a causa del conflitto russo-ucraino – il peso di quello che vedono, che sono obbligate a vedere o che subiscono davanti agli occhi dei loro stessi figli prima, durante e dopo il viaggio.

Come spiegato nel Report sulla salute mentale delle donne migranti vittime di violenza, pubblicato a marzo con informazioni e buone prassi di organizzazioni di 11 Paesi europei, sono oggetto di discriminazioni e violenze di ogni tipo. Spesso si verificano già nel Paese di origine, ma gli spostamenti peggiorano le condizioni delle più giovani che interrompono la scuola e sono più esposte a sfruttamento, gravidanze indesiderate e matrimoni obbligati.

Sfruttate, vendute, abusate

Le donne in fuga verso l’Europa e al suo interno parlano anche dell’assenza di cibo e acqua, dei servizi igienici, dello stesso cellulare perso, scarico o sottratto con la forza. Durante il percorso di frequente attraversano ambienti pericolosi - aree desertiche, confini controllati da gruppi armati o zone montane impervie o boschi con mine antiuomo - con mezzi non sicuri come camion e imbarcazioni di fortuna sovraffollati o a piedi lungo tratti di strada rischiosi. Sono esposte al rischio di abusi, stupri di massa e gravidanze forzate, prostituzione forzata, sfruttamento lavorativo, minacce con armi da fuoco e detenzione.

Raccontano alle operatrici dell’accoglienza anche la violenza che subiscono quando arrivano in uno degli Stati europei che dovrebbe invece proteggerle. Oggi infatti molte donne che arrivano in Europa sono obbligate allo sfruttamento sessuale. Il 60% delle donne emigrate forzatamente in Europa ne sono vittime. E venderne corpi e foto online è diventato il mercato più diffuso negli ultimi due anni. Secondo l’EUROPOL infatti, durante la pandemia, la coercizione e l’estorsione sessuale online sono divenuti i nuovi fenomeni criminali dell’era digitale.

Gli abusi fisici diventano traumi psicologici

Lo sanno bene le esperte che per un anno in Italia hanno incontrato e formato più di 500 operatori e operatrici di sportelli di ascolto, centri antiviolenza, comunità madre bambino, centri di accoglienza per rifugiati approfondendo le conseguenze della violenza non solo sulla salute fisica, ma anche su quella mentale troppo spesso trascurata. Altro obiettivo raggiunto con 3 corsi di formazione: lavorare sui propri pregiudizi e stereotipi di genere e razziali per promuovere competenze interculturali e metodi di ascolto e accoglienza con un focus specifico sulle madri. Province principali coinvolte: Roma, Genova, Vicenza, Treviso e Modena.

Donna parla con consulente del progetto Miriam
Donna parla con consulente del progetto Miriam


«Quello che ancora dobbiamo capire – spiega Giulia Musicò, psicologa che collabora al progetto finanziato dal Programma Diritti, Uguaglianza e Cittadinanza dell’Unione Europea - è quanto sia importante nell’immediato la messa in sicurezza della donna, che in contemporanea va supportata anche a livello psicologico. Esistono in tutta Italia psicologi culturalmente sensibili, etnopsichiatri, esperti di violenza di genere e mediatrici che possono intervenire. La scuola Etnopsi di Roma, il centro Fanon di Torino, l’ambulatorio La Filigrana di Rimini sono alcuni esempi virtuosi. Non possiamo aspettare troppo tempo nel dare strumenti per rielaborare a caldo le emozioni ed evitare la traumatizzazione. Non basta un tetto sulla testa e un pasto caldo!».

Le donne migranti possono sviluppare disturbi psichici e fisici, oltre che psicosomatici, sia a breve che a lungo termine.


E come aiutare i figli che sono spesso con le loro madri in fuga da guerra o persecuzioni? «Anche per i minori è fondamentale un supporto psicologico competente a loro misura – continua Musicò -. È utile per esempio lavorare insieme in piccoli gruppi, valorizzare la narrazione libera e l’arteterapia. La cura della loro salute mentale è importante quanto quella fisica: a lungo termine può succedere infatti che il trauma si cronicizzi ed è più difficile supportare donne e bambini».

Le donne migranti, secondo le psicologhe del progetto Miriam «possono sviluppare disturbi psichici e fisici - oltre che psicosomatici - sia a breve che a lungo termine». Ansia, depressione, disturbo post-traumatico da stress, disturbo di personalità e tentativi di suicidio sono i più frequenti nelle donne con un background migratorio. Con un’incidenza 2 volte maggiore rispetto agli uomini. «Il senso di disorientamento, di sofferenza, di solitudine che attanaglia le donne straniere - continua Giulia Musicò - può esprimersi in modi diversi: possono ritrarsi totalmente dalle relazioni o vivere un sospetto generalizzato verso il mondo esterno, caratterizzato da paura e diffidenza. Questi vissuti in cui ci si sente persi e lasciati a se stessi o in balìa di altri, fan sì che aumentino esponenzialmente le probabilità di essere ingannate e/o maltrattate».

Cosa fare per aiutare le donne maltrattate

Ecco in tre punti le azioni che ciascuno può fare per aiutare le donne:
  1. Diffondere il numero nazionale antiviolenza 1522 e il numero 3494393267 per mutilazioni genitali e matrimoni forzati
  2. Chiedere informazioni al team del progetto Miriam su come supportarle tramite la mail progettomiriam@apg23.org
  3. Sensibilizzare comunità etniche e religiose (associazioni, chiese, moschee, parrocchie, gruppi giovanili) sul fatto che la violenza non è un fatto privato e le potenziali vittime possono fidarsi e chiedere aiuto.