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30 Aprile 2025

Quando la montagna diventa terapia

Gusto della sfida, divertimento e passione. Ecco come l'arrampicata può aiutare le persone che fanno un percorso di liberazione dalle dipendenze
Quando la montagna diventa terapia
L'arrampicata sportiva favorisce relazioni autentiche e rafforza la fiducia in se stessi, anche in contesti di recupero da dipendenze. È l'esperienza vissuta dalle persone accolte nella comunità terapeutica "San Giuseppe".
Corde, caschetto, imbragatura: l’equipaggiamento base di chi arrampica sportivamente. Li trovi appesi a mani nude su una qualche parete o falesia, in sfida costante con la forza di gravità, dove tecnica e allenamento sono importanti tanto quanto intuito e intelligenza.
La disciplina dell’arrampicata sportiva continua ad avere un successo crescente in Italia e all’estero, agevolata dal fatto che può essere praticata a tutte le età, indoor e all’aperto, sempre comunque in situazioni di grande sicurezza. Gusto della sfida, divertimento e passione sono i punti di forza di chi si arrampica. Un allenamento costante per il fisico, ma anche per la mente, impegnata a gestire le paure e lavorare sulle motivazioni.
È proprio l’intreccio tra il fattore motorio e quello umano che spinge fin dagli anni ‘80 alcuni enti che si occupano di attività in ambiente montano e di arrampicata a specializzarsi nel proporre tali attività anche in situazioni di disagio, dando così il via al movimento della montagnaterapia.
Aveva 15 anni Matteo Stefani, oggi trentaduenne, quando iniziò a frequentare palestre in cui si praticava l’arrampicata sportiva. Una passione nata durante alcune camminate in montagna coi suoi familiari, occasioni in cui Matteo si era già sperimentato, oltre che nel trekking, anche in piccole arrampicate sui massi a bordo sentiero, monitorato dal papà. Particolarità non di poco conto: Matteo è una persona non vedente. Una cecità però che non gli ha mai impedito di rinunciare a passioni e interessi, anzi a parlare con lui scopri un’energia vitale fuori dal comune peraltro messa a servizio degli altri. Laureato come educatore professionale, oggi lavora a Bologna presso la struttura terapeutica “San Giuseppe” della Comunità Papa Giovanni XXIII e ha trasformato la sua personale passione in opportunità per le persone con problemi di dipendenza accolte nella struttura. 

Matteo è infatti tra i soci fondatori dell’Associazione Muovi equilibri nata a gennaio 2023 su idea della presidente Francesca Laura Negrini, con l’obiettivo di proporre progetti di montagna terapia rivolti a persone in situazione di disagio.
L’associazione tiene insieme educatori già da anni impegnati in contesti di marginalità sociale e dipendenza, con figure più tecniche, istruttori di arrampicata e una guida alpina. È con questa associazione che, grazie a Matteo e ad alcuni suoi colleghi educatori, da alcuni anni viene realizzato un progetto di arrampicata sportiva rivolto alle persone accolte della comunità terapeutica presso cui opera, ad autunno 2024 è stata realizzata la terza edizione rivolta a 8 utenti.

«Io sono un po’ una “figura di mezzo” – spiega Matteo nel presentarmi il progetto –, dal momento che mi trovo a curare, con lo staff di Muovi Equilibri, la progettazione dell’intervento sia dal punto di vista tecnico-arrampicatorio sia da quello educativo, trovandomi poi nel quotidiano a condividere con gli utenti della struttura in cui opero».
Ed è proprio con Matteo che ragioniamo un po’ sul valore di questa esperienza per i suoi ragazzi. 

Occorrono requisiti minimi per essere inseriti in questa attività?
«Non in particolare – risponde Matteo – perché si parte proprio lavorando su quelli che sono gli schemi motori dell’arrampicata, ma anche proprio sullo schema motorio in generale. L’arrampicata è uno sport sicuro, tendenzialmente per tutti, di sicuro non adatto a persone fortemente in sovrappeso o con disabilità motorie gravi per le difficoltà a salire.
I partecipanti di solito li individuiamo tenendo conto di una loro manifestazione d’interesse. In alcuni casi siamo noi a sollecitare. Nella scelta a partecipare si tiene conto degli obiettivi terapeutici di quella persona. Spesso chi ha già fatto questa esperienza chiede di partecipare. Il mostrare loro foto e video dei precedenti progetti è senz’altro un bell’ incentivo ad aderirvi».

Com’ è strutturato il vostro progetto di arrampicata sportiva? 
«Il progetto per tutte le edizioni si è articolato su circa 10 incontri, di cui circa una metà in falesia e l’altra parte in palestra indoor. La palestra è il luogo dove si possono imparare rudimenti tecnici a livello motorio: muoversi in verticale nel modo più efficace, imparare a gestire l'aspetto della sicurezza, tenere la corda al compagno, farsi il nodo all'imbragatura. Solo successivamente si iniziano a fare anche uscite su roccia».

Come educatore quanto ritieni che un progetto di questo tipo possa incidere nel percorso terapeutico di una persona in fase di recupero?
«Certo non si può pensare che dieci incontri così strutturati siano decisivi o rivoluzionari per il percorso terapeutico di una persona con dipendenza patologica, ma sicuramente è innegabile che possano essere uno stimolo interessante per mettere a fuoco alcune dinamiche. Risulta interessante per i nostri ragazzi l’uscire dalla routine, visitare posti molto belli da un punto di vista naturalistico. Tra le dinamiche più frequenti cogliamo che in diversi c’è la tendenza di arrampicare in una sorta di fuga verso la cima della parete, senza tener conto di come doversi muovere nel tragitto per arrivarci. Aumentando la difficoltà delle salite si trovano così di fronte ad ostacoli difficili da superare, davanti ai quali sono costretti a rallentare, per pensare a come fare, ascoltare il proprio corpo, osservare e affidarsi ai consigli di chi è più esperto.
Al termine di ogni giornata di arrampicata, in gruppo, si riflette su ciò che è successo, grazie anche all’utilizzo di schede costruite dallo staff di Muovi Equilibri, per favorire l’individuazione delle emozioni vissute come: adrenalina – quando si è in parete – ma anche paura, frustrazione – quando ci si scontra col proprio limite. 
La cosa bella che succede durante le arrampicate è che come educatori e ragazzi in programma ci si trova tutti alla pari. Impegnati insieme ad imparare le tecniche per salire, a tenere la corda del compagno in sicurezza. Tutti in qualche modo uniti dalle stesse paure, frustrazioni e soddisfazioni. Certo restano responsabilità diverse a seconda del ruolo, ma quell’ unità vissuta dall’esperienza, senza dubbio favorisce il rafforzarsi delle relazioni, un elemento che è fondamentale nelle relazioni di aiuto».

Le vostre arrampicate finora dove vi hanno portato?
«Solitamente andiamo in posti belli dal punto di vista arrampicatorio e naturalistico. Quest’anno abbiamo iniziato dalla falesia della Cascata Azzurra di Montasico Marzabotto (BO), poi siamo andati a Lumignano in provincia di Vicenza, ma abbiamo esplorato anche le falesie del Furlo vicino a Urbino quelle di Monsummano, ricavata in una ex cava in provincia di Pistoia».