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20 Marzo 2021
Ultima modifica: 23 Marzo 2021 ore 10:33

«Andiamo a vedere l'inferno»

Un gruppo di giovani di Bologna è partito per incontrare i profughi accampati in Bosnia
«Andiamo a vedere l'inferno»
Foto di Alberto Zucchero
Sarà #BolognaSullaRottaDeiMigranti per coinvolgere una città. A pochi chilometri dal confine italiano a migliaia di persone viene negata la possibilità di chiedere asilo politico in Europa. I rappresentanti delle associazioni riunite dal Portico della Pace seguono un fitto calendario di incontri e visite, fra campi profughi ufficiali ed informali. Migliaia di persone picchiate e rispedite indietro ritentano più volte "the Game": l'attraversamento della frontiera con la Croazia usando mezzi di fortuna.
Venerdì 19 marzo, partenza di prima mattina. Arrivo a Velika Kladuša in Bosnia, nei boschi vicino al confine con la Croazia, e visita al centro diurno per profughi di prossima apertura e ad alcuni campi selvaggi.

Il racconto: «Incontriamo più o meno un centinaio di persone in tutto (e minimo 200 cani randagi), tra giovani uomini e famiglie con bambine e bambini, divisi rigorosamente per provenienza geografica ma accomunati dal desiderio di vincere the Game».

Incontro con famiglia di profughi in una baracca
Ahmad, dall'Afghanistan, con il fratello e la nipote: la moglie Bastegol, con due bimbi di 2 e 7 anni, è già arrivata a Zagabria. Lui (camicia rossa al centro) è rimasto solo a Velika Gladuša e mostra gli ematomi alle gambe provocati dalla polizia croata.
Foto di Alberto Zucchero
Profugo mostra nel telefonino i segni delle violenze subite
Ahmad mostra nel telefonino i segni delle violenze subite
Foto di Alberto Zucchero
Incontro con migrante in Bosnia
Velika Kladuša BIH, campo profughi spontaneo di etnia bengalese. Abd. dal Bangladesh è stato respinto più volte a bastonate della polizia croata, ha tentato innumerevoli volte il Game, ultimo miglio della traversata verso l'Europa.
Capannone abbandonato
Il primo wild camp di Velika Kladuša contava 300 persone tra afgani e pakistani al piano terra e arabi al primo piano. Sgombrate verso Lipa a febbraio 2021 dalla polizia. Al primo piano incontriamo 4 pakistani; al piano terra una cucciolata di cagnolini.
Foto di Alberto Zucchero
Bivacco di migranti in Bosnia
Mohamed Alì ed alcuni amici da Lahore (Punjab pachistano) contano molti tentativi al Game verso l'Europa. Domani riproveranno. Per stasera tornano al bivacco mentre la temperatura cala.
Foto di Alberto Zucchero
Il gruppo in visita nei balcani
Giovani del Portico della Pace di Bologna in visita ai campi profughi di Bosnia.
Foto di Alberto Zucchero
Fabbrica fatiscente
Squat della Krina Metal (ex fabbrica di metalli) a Bihać.
Foto di Alberto Zucchero
Migranti si raccolgono per chiacchierare
Bihać: oltre 300 uomini afgani; c'è anche qualche minore.
Foto di Alberto Zucchero
Cicatrice sulla schiena di un migrante
Le persone che incontriamo ci mostrano i segni delle violenze subite
Foto di Alberto Zucchero
Palazzo fatiscente
Squat del Dom Penzionera, centro di Bihać, almeno 200 persone migranti vivono qui. Afgani e pakistani, ma anche marocchini, libanesi, palestinesi. E una signora ucraina.
Foto di Alberto Zucchero
Tenda della Croce Rossa
Consegna e distribuzione di 850 pasti al Campo di Lipa
Foto di Alberto Zucchero


Poi la distribuzione dei sacchi a pelo ai migranti. Poi Partenza per Bihać . Sabato: visita al campo profughi di Lipa e distribuzione di 850 pasti. Poi incontro con Croce rossa e Ipsia Acli, visita alle famiglie con bambini del campo di Sedra e distribuzione di latte e pannolini. Visita ad altri campi profughi informali; incontro con l'associazione Emmaus Bosnia. E poi domenica, la partenza per Doboj Istok con visita al Centro per minori non accompagnati. Al pomeriggio partenza per Slavonski brod, di nuovo ai confini con la Croazia, e ritono in Italia.

Dal diario di viaggio: sabato 20 marzo 2021

«Anche oggi partenza di buon mattino, alle 7.00 siamo pronti».

«Prima tappa: Campo di Lipa ('tiglio' in bosniaco). Causa 120 persone positive al Covid su 850, il campo da ieri è in quarantena, dunque
abbiamo potuto solo guardarlo dall'esterno quando abbiamo accompagnato il camioncino con gli 850 pasti preparati con gli operatori di Emmaus Bosnia».

«Il cestino corrisponde alla colazione+cena, e ha un valore di 3,50 €. Il pranzo invece viene preparato caldo nelle cucine da campo dalla Croce Rossa, unica organizzazione autorizzata ad entrare nel campo che è statale e presidiato dall'esercito. Lipa è una fortezza, un posto chiuso e isolato, da fuori non si vede praticamente nulla; e comunque non ci permettono di entrare. I migranti restano nelle grandi tende lontano, in giro non vediamo nessuno. Sarà così anche negli altri due campi per famiglie che dovevamo visitare sempre nei dintorni di Bihać: Sedra e Boriči. Sarà il Covid o le camionette dei militari all'entrata, fatto sta che non avremo la possibilità di vedere nulla, nonostante i tentativi... Ma di cose ne vedremo comunque, e purtroppo ne avremo abbastanza»!

«Ma siamo ancora nella mattina abbagliante e gelida davanti a Lipa sperando che si apra un varco, impotenti per mezzora davanti a una distesa di neve e baracche a 30 km da Bihać».

— Perché hanno fatto lì il campo?
— Perché è lontano da tutto, nessuno vede e se nessuno vede il problema non esiste.
Questo ci dice Lejla.

«Ce ne andiamo. Dopo un po' ci manderanno le foto del tendone in cui sono stati distribuiti i nostri aiuti».

«Torniamo in città, dopo un caffè veloce (la moka è rimasta a Bologna 😭), visitiamo il primo squat della giornata: il Dom Penzionera, un'ex residenza per anziani gigantesca, di tre piani, nel centro di Bihać, dove dormono almeno 200 persone a notte. Afgani e pakistani in maggioranza, ma anche marocchini, libanesi, palestinesi e perfino una signora ucraina. In condizioni critiche e disperate. Alberto si ferma con un gruppo di afghani che lo invitano a mangiare il bratà, un impasto di pane fritto nell'olio. Dobbiamo andare».

Tenda all'interno del capannone abbandonato e fatiscente
All'interno della fabbrica abbandonata dell aKrina Metal a Bihać in Bosnia.
Foto di Alberto Zucchero


«A pranzo incontriamo Silvia Maraone con Claudia di IPSIA Acli, organizzazione che porta avanti tanti progetti, soprattutto nei campi di Lipa e Sedra. Scopriamo anche che, nel tempo libero, si occupano di curare cani e gatti randagi e di trovare famiglie italiane adottive. Mangiamo carne e pesce in quantità, in un localino sul fiume. Da un lato noi, sulla riva opposta il Dom Penzionera, lo squat di prima con il fumo acre dei fuochi, l'odore di urina e di vomito. Non abbiamo voglia di mangiare».

«Dopo pranzo andiamo al Krina Metal, un secondo squat in un'ex fabbrica di metalli, dove vivono 300 uomini afgani. Intravediamo qualche minore. Alcuni giocano a cricket, altri raccolgono e bruciano la spazzatura, altri ancora ci si avvicinano. I problemi sono tanti: manca acqua per lavarsi, i respingimenti sono continui, c'è molta sofferenza. Come per lo squat del mattino non aggiungiamo tante parole, bastano le immagini».

«Ci prepariamo ad incontrare Claudia e Nicolò di Mediterranean Hope in un bar in centro a Bihać: vivono in città da un mese, cercando di capire di cosa c'è bisogno. Tra una chiacchiera e l'altra arriva il barista: non abbiamo pagato il parcheggio e ci hanno incatenato le ruote del pulmino».

«Tornando verso casa ripassiamo dal Dom Penzionera: passano 15 ragazzi con zaini e sacchi a pelo, attendono buio per tentare il "game"... il confine è a pochi chilometri».

«Concludiamo la giornata con gli avanzi del pranzo insieme a Leyla e Dzaneta ospiti nel nostro salottino. Tante sono le immagini da condividere, parole da raccontare... ma siamo stanchi, lo faremo domani. Che sarà domenica, ultimo giorno di questo viaggio ai limiti dell'umano».

Dal diario di viaggio: domenica 21 marzo 2021

«Ultimo giorno, nevica da diverse  ore. La nostra destinazione è il quartiere generale di MSF-Emmaus a Doboj Istok, Bosnia nord-orientale, a qualche ora di auto. Siamo al margine del Cantone di Tusla, dove i territori di Federazione croato-musulmana e Repubblica Serba si inseguono e intrecciano».

«Accanto al grande centro per anziani che ospita anche attività di autoproduzione agricola, visitiamo il Centro per minori migranti non accompagnati. Fascia di età 14-18 anni. Attualmente ospita 15 ragazzi (afghani, pakistani), ve ne erano 65 poco tempo fa, ne può accogliere fino a 90. È una struttura adeguata che in precedenza era destinata ai molti orfani bosniaci della guerra civile privi di tutela. Attualmente riceve i migranti minori segnalati ai Servizi sociali dalle Organizzazioni operanti sul terreno. Ognuno ha un tutore, ma i ragazzi come gli adulti sono in Bosnia solo di passaggio e quindi il più delle volte vogliono (e possono) lasciare la struttura per proseguire il loro viaggio verso la UE. E quando se ne vanno, di solito lo fanno in gruppo per affrontarlo insieme. Così la struttura velocemente può svuotarsi».

«Chi invece si ferma, più o meno a lungo, non va neanche a scuola: l'età e le problematiche non consentono di fatto l'inserimento nel sistema scolastico bosniaco. Possono usufruire invece di varie proposte di animazione e educative informali, compresi workshops di apprendimento linguistico. Appena entrati c'è una piccola stanza con i tappeti e con il Corano esposto; al primo piano le camere e la sala TV. Ci sono gli orari delle 5 preghiere islamiche affissi al muro».

«Alì, afghano, ci dice che domani se ne va: ripartirà verso i boschi ancora lontani del Game, ormai si è preparato a tentare. Sicuramente ne avranno già parlato, lui lo dice come una cosa normale. Riusciamo a dare furtivi saluti agli altri ragazzi; niente foto, niente battute: non si può. E ce ne andiamo anche noi».

Fra i boschi innevati un corridoio fra gli alberi
La striscia bianca sulla montagna è un taglio del bosco realizzato dalla polizia croata in Bosnia nel cantone di Bihać per la sorveglianza notturna delle rotte dei migranti con gli infrarossi.
Foto di Alberto Zucchero


«Al termine del nostro viaggio siamo ospiti di Hamzalija Okanovic, fondatore di MFS Emmaus. Sguardo mite, figura carismatica, parole misurate. Musulmano di profondi sentimenti, il suo impegno civile e umanitario dura dalla guerra civile nella ex-Jugoslavia degli Anni 90 ed è poi cresciuto nell'incontro con l'italiano Franco Bettoli e la realtà internazionale di Emmaus dell'Abbé Pierre. Il dialogo con facilità prende la direzione del doloroso memoriale di Srebrenica, dei rapporti interreligiosi, dell'educazione alla pace, della difesa dei poveri; poi si concentra sul desiderio attuale di costruire ponti di nuove amicizie, con le nostre realtà, con la nostra città di Bologna».

«Dobbiamo tornare a casa e riordinare le idee, ma stiamo capendo che tutto ciò che abbiamo visto va tenuto insieme il più possibile: emergenza umanitaria, advocacy e tutela legale dei diritti, deterrenza della violenza sui confini. E dovremo avere testa e pancia: dovremo creare rete tra attori diversi, ricordandoci di fare riferimento agli attivisti bosniaci già sul terreno. Dovremo dialogare e comprendere i punti di vista di società e istituzioni locali».

Noi intanto torniamo a casa con una intenzione precisa:

#BolognaSullaRottaDeiMigranti

«È un'idea di coinvolgimento dell'anima di una città. E una scelta di "andare a mettersi" su di una rotta di transito che passa a poche centinaia di chilometri da noi, e che produce violenza e oppressione sulla porta di casa nostra. Non è l'idea eversiva per scardinare la legalità, anzi è l'esatto opposto: è l'intenzione di richiamare le nostre istituzioni (le istituzioni siamo noi!) all'altezza dei valori fondanti la nostra civiltà, delle responsabilità storiche, di una politica lungimirante per affrontare le sfide a viso aperto.  Diversamente prima o poi queste sfide ci travolgerebbero, facendo esplodere irreversibilmente pulsioni e contraddizioni irrisolte».

Gruppo dei ragazzi bolognesi prepara il viaggio di ritorno
Il saluto ai balcani della delegazione del Portico della Pace di Bologna.
Foto di Alberto Zucchero


«Salutiamo Leyla, Dzaneta e il presidente Hamzalija. Inizia il viaggio di ritorno. A cui non mancherà un'estenuante perquisizione alla frontiera croata porta d'Europa. Ma non mancheranno nemmeno prolungate condivisioni a caldo tra di noi, partiti con l'organizzazione di un semplice equipaggio e tornati forse con l'anima di un gruppo vero».

Firmato: Alberto Francesco Maria B. Maria R. Nico e Sara



Il reportage completo sarà raccontato sul prossimo numero di Sempre Magazine.