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17 Giugno 2022
Ultima modifica: 17 Giugno 2022 ore 10:47

Approvata riforma Cartabia: perché i magistrati la temono

Dopo il sì della Camera in aprile, ieri il sì definitivo al Senato. L'UE ce la chiede, una parte della Magistratura non la vuole. Ecco cosa prevede.
Approvata riforma Cartabia: perché i magistrati la temono
Foto di ANSA/FRANCESCO AMMENDOLA/QUIRINALE
Nuovo sistema di elezione del CSM, limiti per chi entra in politica e per chi passa da accusatore a giudice, monitoraggio della professionalità. Temi su cui si dibatte da molti anni, che tra breve potrebbero cambiare l'organizzazione del terzo potere dello Stato.
La Camera aveva già approvato, ad aprile scorso, il disegno di legge che delega il Governo a riformare l'ordinamento giudiziario e che introduce nuove norme, immediatamente operative, rispetto al ruolo dei magistrati ed alla costituzione e funzionamento del Consiglio superiore della magistratura (CSM). Ieri 16 giugno il testo è stato approvato anche al Senato, e diventa quindi legge dello Stato.
Il provvedimento è il terzo del cosiddetto "pacchetto giustizia" voluto dalla Guardasigilli dopo quelli - già approvati - sul processo civile e penale, ed è quello che ha avuto la gestazione più complicata non esente da molteplici malumori.
Va innanzitutto tenuto ben presente che anche questa riforma era divenuta inevitabile, dopo le forti sollecitazioni dell’Unione Europea perché il nostro Paese potesse usufruire degli ingenti incentivi previsti dal PNNR, e che il testo base da cui si è partiti nel lavoro legislativo era già il frutto nel 2020 dell’allora ministro Bonafede.

I punti principali della riforma Cartabia

Il disegno di legge va ad incidere su diversi aspetti del funzionamento della Magistratura. Ecco, sinteticamente, i principali.
  • L’elezione dei membri del CSM, secondo la proposta, avverrà con un sistema nuovo, misto, maggioritario e proporzionale. Un sistema piuttosto complesso che vorrebbe porre argine a clientelismi, lottizzazioni delle cariche, avanzamenti di carriera legati all’appartenenza politica.
  • Il destino dei magistrati che entrano in politica: non potranno candidarsi nelle regioni in cui hanno esercitato la funzione nei tre anni precedenti, e al loro eventuale rientro nella Magistratura potranno svolgere solo incarichi amministrativi o ministeriali.
  • Il passaggio da pubblico ministero a magistrato giudicante, cioè tra Magistratura requirente e giudicante, sarà possibile, nel penale, solo una volta entro i 10 anni dall'assegnazione della prima sede. Si introduce così un primo step per la cosiddetta “separazione delle carriere”.
  • Il monitoraggio di valutazione di professionalità del magistrato sarà svolto annualmente e con la creazione di un fascicolo personale in cui si farà una sorta di fotografia complessiva attraverso alcuni dati del lavoro svolto dal magistrato. Attualmente c’è solo un monitoraggio a campione ogni 4 anni.

Le critiche da parte della Magistratura

Le reazioni della Magistratura rispetto alla proposta di riforma non sono state tenere, con uno stato di agitazione che raramente si è registrato in passato e con la proclamazione anche di scioperi più o meno riusciti.
Le maggiori critiche sono state rivolte alla valutazione professionale – ritenuta superficiale in quanto “quantità non equivale a qualità”, penalizzando piuttosto la trattazione dei casi più complessi –, al sistema elettivo ritenuto troppo farraginoso e alla limitazione di passaggi tra magistratura requirente e giudicante che nella riforma viene valutata come un limite piuttosto che una ricchezza formativa.

Più fiducia e meno processi

Certamente, come peraltro ammesso dalla stessa Ministra, questa riforma ha diverse incertezze e alcuni limiti, tuttavia non si può non prendere atto che, se approvata, segnerà un passo importante (magari ulteriormente perfettibile), verso una necessaria revisione della regolamentazione dell’organo di autogoverno della Magistratura, e ciò anche per le amare e note vicende che hanno minato la fiducia del cittadino e hanno gettato discredito su tantissimi magistrati che lavorano silenziosamente ogni giorno.
Ciò detto, bisogna anche avere piena consapevolezza, e senza illusioni, che le norme potranno garantire una rinnovata credibilità della Magistratura solo se, da un lato, ci sarà un cambiamento culturale del comportamento del potere giudiziario, più consono e rispettoso verso gli altri poteri dello Stato, e dall’altro, se avverrà una deflazione del carico dei processi, vera piaga del nostro sistema giustizia.