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16 Febbraio 2024
Ultima modifica: 16 Febbraio 2024 ore 12:56

Rinascere dopo la violenza: la storia di Manuela e Gustavo

Un uomo violento può cambiare? Dal carcere ad una comunità educante con i carcerati, per ritrovare il suo essere umano perduto e riconquistare l'amore della moglie.
Rinascere dopo la violenza: la storia di Manuela e Gustavo
Manuela e Gustavo hanno vissuto un matrimonio segnato dalla violenza. Lei ha trovato la forza di denunciare e lui ha intrapreso un percorso di cambiamento. Grazie al sostegno di diverse realtà, tra cui la comunità educante con i carcerati della Comunità Papa Giovanni XXIII.

Poteva essere l’ennesimo femminicidio. Manuela 45 anni e Gustavo 43  sono una coppia problematica. Le diverse vedute diventano contrasti. Manuela sopporta per dodici anni le violenze del marito, per amore e per paura. Ma negli utlimi tempi, Gustavo è sempre più aggressivo lasciandogli  segni  evidenti sul viso.  Alcuni episodi sono veramente gravi tanto da dover andare al pronto soccorso. Manuela consapevole di non poter riuscire a fermare la sua rabbia e per il bene dei loro figli, trova la forza di denunciarlo salvando lei ma anche lui. Gustavo viene condannato e  finisce in carcere. Non è la fine di tutto, ma l’inizio di una nuova vita per entrambi.

Un'intervista toccante a due anime ferite che cercano di ricostruire la propria vita, in cui Gustavo ha intrapreso un percorso di rinascita.
Non è una favola, ma una storia vera di redenzione e speranza.
 

 La vostra storia ci fa toccare con mano che non tutto è perduto in certe situazioni. Come vi siete conosciuti?

«Ci siamo conosciuti una sera in un locale da ballo a Rimini e sulla pista ci siamo presentati. Gustavo era timido mentre io mi comportavo in modo spavaldo. Abbiamo deciso di vederci la settimana successiva nello stesso posto, senza scambiarci i numeri di telefono, per testare il nostro interesse reciproco e ci siamo ritrovati. Nei nostri primi incontri ho mantenuto un atteggiamento spavaldo; ad esempio, quando decidemmo di andare al cinema, scelsi un film dell'orrore per fare colpo su Gustavo sapendo che non ce l’avrei fatta a guardarlo fino alla fine. Lui capì il mio imbarazzo e con leggerezza optò per una commedia romantica».
Gustavo - Ho trovato in Manuela una ragazza sfacciata che ha subito messo in luce le mie insicurezze, ma allo stesso tempo mi faceva sentire importante, motivo per cui ho continuato a cercarla».
 

Eravate innamorati quando vi siete sposati?

«Ci siamo innamorati fin da subito e non smettevamo mai di stare insieme. Abbiamo conosciuto subito le nostre rispettive famiglie, e litigato tanto fin dall'inizio a causa delle nostre insicurezze; insieme non sapevamo stare bene, ma senza l'altro stavamo male; poi è arrivato il nostro primo figlio e ci siamo sposati.»

«Nascondendo la verità e stavo dando ai nostri figli, "il permesso" di replicare lo stesso comportamento violento del loro padre»

Manuela, perché ad un certo punto hai deciso di denunciare Gustavo?

«Ho deciso di denunciare Gustavo dopo dodici anni di matrimonio segnati da difficoltà economiche e perdite familiari significative. Avevamo riposto nello stare uniti come famiglia tutte le nostre speranze - entrambi siamo figli di genitori separati e conosciamo bene la sensazione di smarrimento quando i tuoi genitori ti comunicano che non riescono più a stare insieme - e così abbiamo cercato di portare avanti la nostra famiglia nonostante tutto, nascondendo la verità anche alle persone più care e facendo vivere i nostri, allora bambini, in un ambiente viziato, fatto di momenti di rabbia e pentimenti, come se nulla fosse successo. Con il passare del tempo ho realizzato che accettando tacitamente la situazione stavo dando ai nostri figli, una volta cresciuti, "il permesso" di replicare lo stesso comportamento del loro padre. Questa prospettiva era intollerabile perché avrebbe rovinato la loro vita ben oltre la mia persona.»
 

Gustavo. Dopo la denuncia sei andato in carcere per soli ventiquattro giorni. Che mondo hai trovato?

«In carcere mi sono sentito smarrito, solo e non riuscivo a dare un senso e una ragione valida a ciò che avevo fatto. Sentivo un senso di vuoto assoluto per aver perso tutto e questo lo ritrovavo negli occhi di tutte quelle persone che erano chiuse in quel mondo, che col tempo alimentavano rabbia e vendetta; vivevo il timore di fare lo stesso.»
 

Come sei arrivato alla CEC della Papa Giovanni XIII? Come è stato l'impatto?

«Ho preso in considerazione la possibilità di scontare la pena in una struttura alternativa al carcere, alla CEC (Comunità educante con i carcerati). All’arrivo sono stato accolto da Glauco con un bel sorriso che mi ha fatto sentire subito a casa. I primi giorni mi sono accorto che gli occhi delle persone accolte avevano uno sguardo di speranza, quella speranza che io sentivo già persa. L’opportunità di confrontarmi con persone che mi ascoltavano e provavano a darmi risposte, anche attraverso un cammino spirituale, a tutte le mie difficoltà, piano piano ha fatto trapelare la luce che rischiava di spegnersi.»

Le insicurezze che mi hanno fatto sentire un fallito hanno avuto una svolta quando mi è stato affidata una persona diversamente abile

Durante il percorso siete passati da una vera e propria separazione a dei tentativi di mediazione per poter condividere l'educazione dei figli. Come è andata?

«I primi tentativi sono stati cauti da entrambe le parti; tuttavia, eravamo guidati dal desiderio sincero di fare il bene dei nostri figli piuttosto che il nostro interesse personale. Noi avevamo capito di aver sbagliato tanto e vivevamo un grande senso di responsabilità, voglia di riscatto nei loro confronti, ma anche rispetto per la loro giovane età. Abbiamo avuto l’amicizia e la competenza di persone che ci hanno saputo aiutare e noi li abbiamo ascoltati, il loro bene era motivo di gioia e unione per noi.»
 

Gustavo, come la CEC ti ha aiutato a rivedere e riprendere in mano la tua vita?

«Le insicurezze che mi hanno fatto sentire un fallito hanno avuto una svolta quando mi è stato affidata una persona diversamente abile. Senza che io lo volessi, lui è riuscito a tirare fuori tutto il bello che non conoscevo di me. Ha trasformato le mie insicurezze infantili legate al rapporto conflittuale con un padre fragile, che di fronte alle difficoltà vissute in famiglia rispondeva con la violenza,anche su di me che non avevo colpe, in compassione verso lui e verso me stesso.»

«Davvero quella scelta alternativa al carcere è una risposta sociale che salva, che dà speranza»

 Manuela, come sei riuscita ad affrontare la denuncia, la separazione, i sensi di colpa, i figli?

«Ho trovato aiuto e supporto da più parti: dall’associazione anti-violenza ai miei familiari, dalla Caritas alla parrocchia e amici. L’assistente sociale gli avvocati mi hanno rassicurata sul percorso di cambiamento di Gustavo. La CEC è riuscita a dare un’opportunità a Gustavo, a me e ai ragazzi, dove io in dodici anni di matrimonio avevo fallito. Grazie a tutti gli strumenti a loro disposizione e la competenza degli educatori ho potuto realizzare che davvero quella scelta alternativa al carcere è una risposta sociale che salva, che dà speranza. Le persone hanno la possibilità di fare un percorso, essere ascoltate e non giudicate, curate e guidate per uscirne come persone rinnovate. Anche le famiglie possono ritrovare serenità perché vengono anch’esse ascoltate e accompagnate in un eventuale riavvicinamento per il bene di tutti.»

 

E il perdono nei confronti di tuo marito come è avvenuto?

«Il Don della mia parrocchia mi ha davvero “raccolta”, perché, nonostante tutte le cose belle, tutti i cambiamenti, le rassicurazioni e il sentimento sempre vivo nei confronti di Gustavo, io proprio non riuscivo a perdonarlo. La rabbia soffocata in tutti questi anni proprio non si spegneva. “Per perdonare devi essere perdonata”, mi spiegò il Don. Da quel momento abbiamo iniziato un percorso che ancora oggi prosegue: è diventato il mio padre spirituale, una guida che mi aiuta a discernere e cammina con me.»
 

Tu Gustavo hai detto che ti sentivi più marito e più padre stando in comunità che a casa tua. Cosa significa?

«Stando in comunità ho potuto ascoltare i vissuti dei nuovi accolti, rapportarmi con loro e magari fasciare le loro ferite, senza fretta e senza pretese. Questo mi ha permesso anche di curare l'odio che avevo nei confronti di mio padre ma anche essere attento alle sofferenze degli altri in un percorso di comprensione e compassione che a mano a mano ha iniziato a far parte della mia persona e mi ha aiutato a vedere anche me stesso in una luce nuova. L’opportunità che la comunità mi ha dato mi ha insegnato tanto, mi ha fatto uscire da me stesso per prendermi cura degli altri. Neii primi incontri con moglie e figli finalmente siamo riusciti a dialogare apertamente, sentendomi marito e padre nuovo, con pazienza, attenzione, comprensione e amore.» 
 

Manuela. Quando hai ricominciato a pensare seriamente di dare ancora una possibilità a Gustavo di rimettervi insieme? Quali erano le resistenze? Come le hai poi superate?

 
«Il ritornare ad essere coppia è avvenuto in seguito a percorsi individuali diversificati che abbiamo seguito nel tempo. La misericordia di Dio, non solo ci ha aperto gli occhi per capire chi siamo, nella sua grande benevolenza, ma ci ha donato la nostra famiglia, quella che prima era solo un idolo per la quale abbiamo sacrificato tutto. Oggi la ritroviamo alla luce dello Spirito, una resurrezione vera e propria passata attraverso l’aiuto di tanti fratelli e sorelle.»

Manuela si è illusa per dodici anni che fosse l’ultima volta, che magari comportandoci diversamente le cose sarebbero cambiate.

Gustavo. Cosa significa essere perdonati?

«In un rapporto con Dio in crescita, anche con l’aiuto dei responsabili e di Suor Gabriella che mi ha seguito già dal carcere, mi sono sentito  accompagnato dal Signore come un padre accompagna un figlio. Coccolato, consolato nonostante i miei limiti personali, questa relazione con Dio  che per primo mi ha dato uno sguardo di perdono donandomi la sua misericordia, un padre consolatore che mi riempie di gioia, mi ha fatto vivere la gioia negli altri come Lui mi ha insegnato. Il perdono ricevuto dalla mia famiglia  mi ha confermato ulteriormente nella pace già presente dentro di me, dando senso al mio desiderio d'iniziare nuovamente insieme poiché oltre tutto quello che era successo rimaneva sempre forte il legame dell'amore reciproco.»   

Dopo aver passato quattro anni da separati, da circa un anno e mezzo oggi siete di nuovo insieme. Che consiglio vi sentite di dare a quelle coppie che vivono la violenza in casa?

«La violenza non va nascosta, bisogna chiedere aiuto a chi ti è più vicino per poi farsi aiutare da chi è competente. Manuela si è illusa per dodici anni che fosse l’ultima volta, che magari comportandoci diversamente le cose sarebbero cambiate. Sono solo rimandi di una situazione viziata. I bambini poi subiscono dei traumi ed evitare i conflitti futuri è sicuramente l’unica cosa da fare e si realizza nel denunciare questi atti e magari poi con lo realizzarsi della pena alternativa al carcere valida per il recupero dell’aggressore e il bene di tutti.»
 

Oggi siete contenti della vostra vita di coppia?

«Oggi la nostra vita è felicemente frenetica, abbiamo recuperato con i figli e si siamo contentissimi. Capita di avere scambi di idee diverse e anche fraintendimenti, ma oggi ci confrontiamo e sappiamo guardarci senza giudicarci, mettendo sempre davanti le nostre fragilità. Dobbiamo continuare ad ascoltarci e ascoltare, prendendoci cura dei nostri affetti più cari che sono diventati davvero tanti abbranciando  tutte le situazioni che ci vengono incontro condividendole con tutti icoloro che ancora credono  possibile costruire in un mondo migliore.»