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28 Marzo 2022

Rinnovabili. In Italia tempi troppo lunghi

Problemi burocratici ma non solo
Rinnovabili. In Italia tempi troppo lunghi
Foto di PeterDargatz
Una ricerca di Legambiente spiega gli ostacoli italiani al raggiungimento degli obiettivi della tanto desiderata transizione energetica
Se solo il 50 per cento dei progetti da fonti rinnovabili oggi sulla carta arrivasse al termine del suo iter autorizzativo, l’Italia avrebbe già centrato la tanto ambita transizione energetica. Le richieste di installazione di fotovoltaico ed eolico presenti oggi, insomma, basterebbero a soddisfare il bisogno di energia pulita richiesto dall’Italia senza doversi affidare all’energia nucleare o al gas naturale, inseriti di recente nella tassonomia europea.
Secondo Legambiente, autore del report Scacco Matto alle rinnovabili, i principali ostacoli alla realizzazione di questi progetti sono da ricercarsi nella burocrazia farraginosa, ma anche nei blocchi da parte di amministrazioni locali e regionali o da parte del Ministero della cultura e delle sovrintendenze. Pure i comitati locali si metterebbero di traverso. 
La realtà, però, rischia di essere più complicata di così. Burocrazia a parte, la transizione energetica ha bisogno di ascoltare anche le voci di chi si oppone al rischio di speculazione energetica.

Transizione energetica? Di questo passo ci arriveremo nel 2100

Partiamo dagli obiettivi che il Governo italiano ha tracciato in tema di decarbonizzazione del settore energetico: se si vogliono rispettare gli obiettivi fissati a livello europeo (che, ricordiamolo, prevedono una riduzione del 55 per cento delle emissioni al 2030, rispetto ai livelli del 1990, e una copertura da rinnovabili del 72 per cento su territorio nazionale per la parte elettrica) si devono installare, entro il 2030, almeno 70 gigawatt di potenza da fonti rinnovabili
Il ritmo attuale è, però, insoddisfacente per il raggiungimento di tali obiettivi: in Italia, negli ultimi 7 anni, il tasso annuo di installazione è oscillato tra 0,8 e 1 gigawatt di potenza media. Di questo passo, raggiungeremo gli obiettivi prefissati non prima del 2100. Se invece si vuole puntare alla decarbonizzazione completa, l’Italia deve installare 9 gigawatt ogni anno da qui al 2030. 
Dal 2018 a oggi, le richieste di connessione alla rete elettrica gestita da Terna da parte di impianti da fonti rinnovabili sono cresciute del 297 per cento. Alla fine del 2020, le richieste giacenti raggiungevano cumulativamente i 110 gigawatt a cui si aggiungono 6 gigawatt per gli impianti di accumulo, ben al di sopra quindi dei 70 gigawatt di cui sopra. Ma nonostante Terna abbia dato il via libera all’85 per cento di queste richieste, solo il 20 per cento poi sono diventati impianti concreti

L’eolico trova maggiori difficoltà

Secondo Legambiente, questo “collo di bottiglia” ha origini varie, che l’associazione ambientalista riassume nel suo ultimo report in cui si concentra su 20 casi emblematici. Uno di questi casi riguarda la tortuosa vicenda della comunità energetica solidale della periferia di Napoli Est che ha trovato ostacoli benché si trattasse di un impianto integrato da 50 kW realizzato su un tetto in zona periferica.  
Ma per Legambiente è soprattutto l’eolico a patire di più la lentezza della burocrazia italiana: dei 20 gigawatt di progetti per i quali è stata fatta istanza dal 2017 ad oggi, il 91 per cento si trova nella fase iniziale del procedimento. Non solo burocrazia, ma anche blocchi per vincoli paesaggistici da parte di amministrazioni comunali, regionali e da parte del ministero della cultura e delle soprintendenze: «Non vi è dubbio sul ruolo di primaria importanza di questi enti pubblici, ma di fronte ad un’emergenza ambientale di porzioni globali e senza ritorno, forse ci si aspetterebbe un ruolo propositivo e costruttivo, finalizzato alla risoluzione di eventuali criticità, piuttosto che porre veti e blocchi senza soluzione» scrive Legambiente nel suo report.
Ai problemi autorizzativi si aggiungono quelli legati ai fenomeni di opposizione territoriale: Legambiente si riferisce ai processi di Nimby (Not in My Back Yard, cioè “non nel mio giardino”) o Nimto (Not in My Terms of Office, cioè “non durante il mio mandato”). “Non tutte le contestazioni territoriali sono fenomeni di questo tipo - puntualizza l’associazione - anzi va sottolineato il ruolo di sentinelle di cittadini e amministrazioni proprio per evitare la realizzazione di progetti fatti male. Ma la transizione energetica vede e vedrà al centro una profonda trasformazione dei territori. Impossibile raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette senza passare da questi». 
Piuttosto, per Legambiente è necessario avviare importanti campagne di informazione, partecipazione e ascolto. Magari in questo modo non ci creerebbe opposizione almeno per l’eolico off-shore, cioè in acque lontane dalla costa: un parco eolico proposto a largo del porto di Taranto, costituito da 10 turbine eoliche ciascuna da 3 MW, dopo ben 12 anni di complesse vicende autorizzative - tra le quali c’è il blocco della sovrintendenza ai beni culturali per l’impatto visivo generato davanti all’ex Ilva di Taranto - ancora non ha visto la luce. 

Rinnovabili sì, ma senza speculare sul suolo

Insomma, regole e procedure portano i tempi medi per ottenere l’autorizzazione alla realizzazione di un impianto eolico a 5 anni contro i 6 mesi previsti dalla normativa. Tempi infiniti per le imprese, ma anche per la decarbonizzazione, che ha bisogno di un quadro normativo fatto di regole chiare e semplici da applicare.
Ma non tutti sono d’accordo con questa lettura. Ad esempio, ci sono casi di speculazione energetica, come quello che sta aggredendo la Tuscia: siamo di fronte a ben 51 progetti di campi fotovoltaici presentati, in parte approvati e solo in minima parte respinti in pochi anni, complessivamente oltre 2.100 ettari di terreni agricoli e boschi, talvolta affittati altre espropriati, senza che vi sia alcuna assicurazione sulla chiusura di almeno una centrale elettrica alimentata da fonti fossili.
Secondo i dati raccolti da Paolo Pileri del Politecnico di Milano, oggi i progetti del Pnrr-Pniec (Piano nazionale integrato per l’energia e il clima) potrebbero mettere “a terra” in meno di sei anni circa 15 gigawatt di solare, per i quali potrebbero essere necessari tra i 10 e i 18 mila ettari di suolo (agricolo) con un aumento del 50 per cento del consumo di suolo annuale. Il suolo non è una risorsa rinnovabile e riproducibile, per questo bisogna considerare queste proiezione con estrema attenzione. 
Insomma, il dibattito è complesso e non va semplificato a tutti i costi. Ma sebbene ogni caso sia a sé, le associazioni - tra cui anche Legambiente - sono d’accordo nel dire che c’è bisogno di un testo unico a livello ministeriale che dia tempi certi alle procedure e che sia in grado di rispondere alle esigenze della transizione configurando sia l’inserimento armonioso nel paesaggio degli impianti sia il coinvolgimento attivo dei territori.