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16 Luglio 2021
Ultima modifica: 19 Luglio 2021 ore 11:01

Simone Cristicchi Ho scoperto dove abita la felicità!

In un libro apre la sua finestra personale sull'infinito alla ricerca della felicità. E ci racconta cosa ha scoperto.
Simone Cristicchi Ho scoperto dove abita la felicità!
Foto di Mattia Crocetti
Artista poliedrico ha raggiunto la fama nel 2007 vincendo Sanremo. Cristicchi con il talento speciale per i disegno da sempre è un esploratore dell'anima.
A volte succede e non sai darti una spiegazione. Vivi un’esperienza che ti cambia la vita e che ti porta a vedere il presente non più con gli stessi occhi di prima. Uno stato di perfetta letizia in connessione con il Creato che si dissolve in fretta e che in qualche modo si vorrebbe ricreare per riprendersi quella felicità.
Ma cosa significa davvero questa parola usata e abusata?

Simone Cristicchi, partendo proprio da questa sua esperienza personale, compie un viaggio intimo per cercare una definizione di felicità, da cui nasce il suo ultimo libro Happy Next – alla ricerca della felicità, uno spettacolo teatrale e anche un documentario.
Cantautore, scrittore, attore e regista teatrale, con il talento speciale per il disegno, sviluppato poi alla scuola di Jacovitti, Simone Cristicchi da sempre è un esploratore dell’anima.

Copertina del ibro HappyNext di Simone Cristicchi


Nasce a Roma nel 1977. Il forte dolore vissuto all’età di 10 anni per la perdita del padre lo porta ad isolarsi da tutto e si immerge nelle storie che escono dalla sua matita. Poi la musica entra in un pomeriggio d’estate all’età di 16 anni, trovando una chitarra in soffitta che diventa la sua compagna d’avventura. L’arte lo toglie dall’isolamento aprendogli la porta della vita. Molti i successi. Vince il Festival di Sanremo nel 2007 con la canzone Ti regalerò una rosa, dedicata a chi soffre di problemi psichiatrici. Ancora nel 2019, sempre al Festival di Sanremo con la canzone Abbi cura di me, considerata per molti una preghiera, si aggiudica i premi come migliore interpretazione e composizione musicale. Dal 2017 dirige anche il Teatro Stabile d’Abruzzo. Con Custodi del mondo, brano carico di speranza scritto assieme a Gabriele Ortenzi, vince l’ultima edizione dello Zecchino d’Oro 2021. A darne l’annuncio sui social un emozionatissimo e felicissimo Cristicchi.  
Sempre Magazine ha voluto conoscere meglio questo artista eclettico con molti progetti all’attivo, che ha avuto il coraggio di raccontare il suo viaggio verso la prossima felicità. L’ha poi trovata? «Felicità, non so definirla ma so dove sta.»

Si è aperta la finestra sull'infinito 

Simone, ma tu sei sempre così tranquillo e controllato di natura o è frutto di un lavoro interiore?
«Io sono sempre stato così. Ci sono momenti che magari si rischia di perdere la calma, ma fa parte del gioco.»
 
Come un nuovo Siddharta intraprendi il viaggio di Happy next, la prossima felicità. Tutto ha inizio da una tua esperienza personale intima, che hai chiamato “la finestra sull’infinito”. Cos’era esattamente?
«È come se dentro di me si fosse aperta una porta. Quella che Aldous Huxley definirebbe una porta della percezione. Tutti i sensi erano esageratamente amplificati, e ci tengo a dire che non ero assolutamente sotto effetto di LSD o allucinogeni, era una cosa del tutto naturale. Questa finestra di beatitudine, di totale immersione nell’oceano della gioia, poi, si è andata a richiudere dopo tre giorni e non si è mai più riverificata successivamente. Questo però mi ha fatto capire che esistono altri modi di percepire la realtà. Esiste la possibilità, per ognuno di noi, di provare questa sensazione. La cosa difficile è riuscire a farla durare nel tempo.»
 
Lungo il tuo cammino hai fatto degli incontri speciali. Passando dalle suore di clausura al monaco Zen. Hai trovato ciò che cercavi?
«Mai nessuno mi ha dato una risposta identica all’altra e questo mi ha fatto riflettere su quanto noi siamo unici, irripetibili. Questo è il primo miracolo della nostra vita: il fatto che non è mai esistito un altro come noi e non esisterà in futuro, come se fossimo dei piccoli capolavori. Poi il tema della felicità e talmente vasto, soggettivo e personale che non permette una sintesi: ognuno ha una sua idea di felicità. Ci sono però dei capisaldi: ho voluto inserire 7 parole come una sorta di impalcatura che tengono in piedi una parola delicata e labile.»
 
Attenzione, lentezza, umiltà, cambiamento, memoria, talento, noi. Da dove partiresti?
«Sono importanti tutte e sette. Però nella contingenza della nostra quotidianità mi viene in mente che l’attenzione, che è la prima parola nel libro, è quella fondamentale su cui poggiano tutte le altre. Perché senza uno stato di attenzione siamo come delle foglie al vento. Non siamo presenti a noi stessi e di conseguenza non possiamo essere aperti all’altro. Essere attenti in questo tempo così convulso, così veloce, basato sulla disattenzione, è un atto di rivoluzione, è anche non lasciarsi prendere in giro da false felicità.»

Il talento, come una scintilla divina

Con il talento si nasce o lo dobbiamo sviluppare?
«Ognuno di noi nasce con ciò che io chiamo: la scintilla divina, cioè la parte sacra del nostro essere. Questo talento però è sepolto dalla cenere, come se qualcuno lo avesse nascosto. Ci sono dei casi in cui il talento viene fuori nei primi anni di vita, ma sono casi rari. Ognuno di noi ha questo talento, ci vuole pazienza per capire e comprenderlo. Una volta compreso bisogna nutrirlo come una pianta.»
 
Tu come lo hai scoperto?
«La curiosità mi ha aiutato tanto nella vita e ho cercato sempre di mantenere vivo dentro di me, quello sguardo incantato, stupito verso qualsiasi cosa, verso gli altri esseri umani, la natura. Queste antenne della curiosità io le benedico, perché hanno creato un percorso artistico che mi permette ancora oggi di spaziare, di potermi avventurare in varie forme di comunicazione.»
 
Che tipo di padre sei con i tuoi due figli di 9 e 13 anni?
«Cerco si insegnare loro la curiosità, perché a partire da quella si può scoprire anche il proprio talento e quindi mettersi a disposizione degli altri. Ognuno deve fare il proprio percorso, con i proprio dubbi, ferite.»
 
La memoria. Hai fatto dell’”antiquariato umano” il tuo lavoro. Hai raccontato storie di malati di mente, i vissuti della guerra, in Magazzino 18 la storia dell’esodo degli istriani. Cosa ti lega da sempre alle storie degli emarginati, dei fragili, dei dimenticati?
«Io stesso sono stato un emarginato, perciò sento molto vicine queste persone. Quando è morto improvvisamente mio padre Stefano ho reagito in maniera dura, rinchiudendomi in me stesso, nel mio mondo e non volevo più avere rapporti con gli altri creandomi un mondo bellissimo di creatività. Avevo cominciato a disegnare, a scrivere canzoni e in questo mondo che mi sono inventato di sana pianta, niente di brutto poteva succedere perché ero io l’artefice, il creatore. Nel momento in cui sono diventato un artista, riconosciuto, popolare, ho pensato di mettere a disposizione questo strumento potentissimo: il microfono, per dare voce a chi non ne ha, illuminare le zone d’ombra che esistono e che molto spesso non si riescono a vedere. Un senso di responsabilità che va al di là dell’artista come intrattenitore.»
 
Attraverso questo viaggio hai riscoperto di nuovo il piacere del disegno che avevi abbandonato. Come mai?
«Ho lasciato il disegno perché ho disegnato troppo. Quando io mi innamoro di qualcosa lo porto fino all’estremo, questo in tutto, anche nel teatro. Ho lasciato quest’arte per abbracciare la musica. Contestualmente ho trovato questa chitarra in soffitta che mi stava aspettando chissà da quanti anni. E nel giro di poco tempo ho imparato a suonarla da autodidatta trasferendo quelle che erano le mie fantasie che prima riversavo su dei fogli di carta. Queste storie sono diventate le mie canzoni.»
 
Come hai trasformato le difficoltà in opportunità?
 «È stato un percorso naturale. Non ho avuto maestri che mi hanno illuminato il cammino. Sono stato io, con il mio istinto, a crearmi questa via d’uscita dal dolore, l’essere è spinto poi al miglioramento, all’evoluzione. Le sue ferite possono brillare e possono diventare delle medaglie al valore.»    
Simone Cristicchi in riva al mare
Foto di Mattia Crocetti

Che fortuna aver vissuto

Tra le tante persone intervistate è vero che ti sarebbe piaciuto intervistare Papa Francesco?
«Sì. Credo che sia un Papa rivoluzionario, che riesce a parlare a tutti. La sua Enciclica Laudato si’ sulla cura della casa comune mi è piaciuta tantissimo. Parla al cuore dell’umanità. Mi sarebbe piaciuto parlare con lui di felicità non tanto dal punto di vista religioso ma umano. Sentire come vive questa sua missione personalmente, intimamente, quali sono i momenti di felicità di papa Francesco.»
 
Più che un credente ti sei definito “un cercatore”. Eppure sembra che tu senta questa chiamata all’oltre.
«Per come sono fatto non mi posso accontentare della materia. Siamo circondati da una dimensione invisibile dove accadono delle cose. Credo nella sopravvivenza della parte più sacre della anima, credo nel mistero che ci circonda, come ammettono tutti i più grandi scienziati, da Einstein a Planck, i quali parlano di uno spirito immensamente superiore a quello dell’uomo. Nel nostro piccolo non possiamo che inchinarci di fronte a questa grande mente che tutto fa muovere, come dice Dante: «L’amor che move il sole e l’altre stelle.»
 
Perché sei affascinato dagli oggetti antichi?
«Perché sono carichi di storia, impregnati di energia di chi li ha posseduti e questa energia continua a sopravvivere anche con il passare del tempo. Mi piace dare nuova vita agli oggetti scartati, metafora di quello che dovrebbe essere la società nei confronti dei cosiddetti emarginati. Nessuna vita è da buttare, tutte le vite sono sacre. Gli oggetti, rispetto ad un corpo, nonostante l’usura del tempo possono avere delle nuove vite.»
 
Happy next è un libro pieno di speranza, di storie positive. Cosa hai imparato da questo viaggio, della vita?
«La cosa che ho imparato è che non si può essere felici da soli, e che è bellissimo creare una comunione di intenti intorno ad una iniziativa come questa, ad esempio. Questo lavoro è stato creato da tante voci che insieme hanno messo in piedi questo discorso sulla felicità. Quello che mi piace, che mi appassiona è trovare lungo il mio cammino delle persone che si interrogano come me, non è vero che l’umanità è addormentata, in parte lo è ma non del tutto. Abbiamo bisogno di trovare un senso alla nostra vita, dare significato a quello che ci accade intorno e come dicono gli orientali: “Se siamo disattenti siamo già morti”.
C’è un’umanità che si sta risvegliando, anche il successo di questo libro ne è testimonianza nel suo piccolo. La mia più grande speranza è di arrivare all’ultimo respiro e poter dire: “Che fortuna aver vissuto”.»