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13 Agosto 2021
Ultima modifica: 13 Agosto 2021 ore 17:21

Simone, la ragazza di Berlino Est

Sessant'anni fa veniva costruito il Muro di Berlino che per 28 anni divise famiglie, amici, un popolo. Il ricordo commovente di una ragazza cresciuta oltre il Muro.
Simone, la ragazza di Berlino Est
«Eravamo abituati al grigiore. Nei negozi gli abiti, tutti uguali, erano solo blu o marrone. Poi a Natale arrivava il pacco dai parenti dell'Ovest con i vestiti usati, la cioccolata».
Simone è una donna tedesca che vive in Italia ormai da 25 anni. Non era ancora nata quando il
13 agosto 1961 venne costruita la barriera di protezione antifascista, meglio conosciuta come il Muro di Berlino, che divideva la Repubblica Democratica Tedesca, filosovietica, ad Est e la Repubblica Federale di Germania controllata da Francia, Regno Unito e U.S.A., ad Ovest.

Quando è stato costruito il muro di Berlino?

Folla sul muro durante la caduta nella notte del 9 novembre 1989
9 novembre 1989. Cittadini di Berlino est e Berlino ovest iniziano a circolare liberamente da una parte all'altra del Muro.
Foto di ANSA/STF


Simbolo della guerra fredda, venne costruito durante la notte. Nelle prime ore era formato da una fila di soldati con mitra puntato verso chiunque si fosse avvicinato. Questa scena agghiacciante si presentò, senza preavviso nel pieno della notte, davanti agli occhi di giovani tedeschi che tornavano dalle discoteche, dove avevano trascorso la serata in compagnia degli amici. 
Improvvisamente la via per tornare a casa, per andare al lavoro, all’università, per abbracciare i propri familiari, era interrotta.

A scuola non si parlava del Muro

Simone sulla giostra a cavalli
Una volta all'anno anche a Lengefeld arrivavano le giostre.


Simone viveva a Lengefeld, vicino al confine con la Repubblica Ceca: «A scuola non si parlava del Muro e del perché era stato costruito. Ci dicevano che serviva per proteggerci, ma non ci hanno insegnato nulla di ciò che era storicamente successo, davano informazioni unilaterali. Ci insegnavano solamente quello che conveniva al SED (Partito di Unità Socialista). D’altro canto abbiamo imparato tutto sull’Unione Sovietica… Tutto era focalizzato lì e se ne poteva parlare solo bene». 
Già a scuola i giovani venivano inquadrati e selezionati. «Avevamo un professore di storia che probabilmente faceva parte della Stasi (il Ministero per la Sicurezza di Stato, ndr.).
Un giorno in classe ci chiese di parlare in confidenza di quello che pensavamo della DDR. I pochi che osarono criticare qualcosa furono presi di mira e puniti con insufficienze ingiustificate».
Anche i giovani soldati da mandare a presidiare il confine erano accuratamente selezionati: sceglievano chi non avrebbe mai avuto il coraggio di ribellarsi.

Ad Est tutto era grigio

Dopo la seconda guerra mondiale erano state confiscate tutte le aziende private, le proprietà, persino i castelli: «Ricordo che quello di Rauenstein, sequestrato ai baroni di Herder, era diventato una Kindererholungsheim, una “casa di riposo” dei bambini».
Lo Stato gestiva tutto, anche gli Intershop, dove si potevano acquistare prodotti dell’Ovest ma solo con marchi “buoni” che magari ti davano i parenti quando qualcuno della famiglia veniva autorizzato ad andarli a trovare. Servivano per far incassare alla DDR marchi della BRD che valevano 5 volte di più.
«Degli Intershop ricordo il profumo… Quando entravi tutto era diverso, colorato, presentato bene, con attenzione all’immagine. Nell’Est le cose erano fatte bene, perché dovevano durare nel tempo, ma non si badava all’aspetto accattivante. Eravamo abituati al grigiore. Nei negozi gli abiti, tutti uguali, erano solo blu o marrone. Poi a Natale arrivava il pacco dai parenti dell’Ovest con i vestiti usati, la cioccolata… Ricordo ancora l’emozione e le grida di gioia quando aprii un grosso pacco che mi aveva inviato un’amica! All’interno alcuni suoi vestiti usati, bellissimi, moderni, colorati… Avevo 15 anni… era un sogno per me poter indossare qualcosa di diverso, di originale, di carino».
E ancora una volta il profumo: «Da quegli abiti saliva aria di bellezza, di libertà… Da noi non esisteva l’ammorbidente. Non era necessario».

Chi poteva oltrepassare il Muro?

Giovani sul Muro di Berlino nella notte del 9 novembre 2019
Giovani festeggiano sul Muro di Berlino durante notte del 9 novembre 2019.
Foto di NSA/STF


Non era per nulla semplice oltrepassare quel Muro. Il permesso veniva concesso solo a persone di una certa età, che non avevano più alcun interesse a fuggire. Si poteva presentare domanda solo per far visita a parenti stretti, al massimo cugini. Qualcuno chiedeva anche di espatriare ma doveva essere psicologicamente fortissimo, perché veniva sottoposto ad una serie continua di trappole. Viveva in un inferno per anni, anche al lavoro, convocato e sottoposto ad interrogatori davanti ad una commissione che tentava di farlo parlare male della DDR. Rischiava la prigione. Ed era una prospettiva terribile: «Un mio amico è stato rinchiuso in una cella dove avevano colorato il pavimento delimitando un angolo dal quale non doveva uscire – ricorda Simone –. Di notte era costretto a rimanere in piedi… L’hanno distrutto psicologicamente…».
A volte venivano liberati per uno scambio di prigionieri tra Est e Ovest.
«Poi, da un giorno all’altro, arrivava l’autorizzazione – continua Simone – e avevi solo qualche ora di tempo per lasciare tutto ai tuoi familiari, raccogliere poche cose, stiparle in una valigia e andare. Qualcuno partiva talmente in fretta da non portare nulla con sè». 
Nella Germania dell’Est non si soffriva la fame, tutti avevano un lavoro e nessuno rimaneva in mezzo alla strada perché lo Stato si occupava di tutto e di tutti. Però mancava la libertà di andare, di esprimersi. «Bisognava parlare come voleva il SED, la Stasi era infiltrata ovunque e controllava, schedava. Anche la televisione era di Stato, ma qualcuno si costruiva artigianalmente delle antenne con le quali riuscivamo a vedere i canali dell’Ovest. Sapevamo che di là c’era tutto» continua Simone.

Arriva la perestroika

La gente era insoddisfatta ma nel 1985, quando Michail Gorbačëv venne eletto Segretario Generale del PCUS, la carica più alta nella gerarchia del partito e dell’Unione Sovietica, e iniziò a parlare di perestroika (ricostruzione) il vento del cambiamento iniziò a soffiare sempre più forte. 
Gorbačëv introdusse riforme per cambiare la direzione di tutti gli stati dell’Est ma il presidente della DDR, Erich Honecker, era contrario. 
Così ogni lunedì iniziarono le "Montagdemonstrationen" con le quali il popolo chiedeva le riforme.
«In tutte le città ma anche nei paesini più piccoli, ogni lunedì la gente si riuniva e manifestava pacificamente gridando “Wir sind das Volk!” (Noi siamo il popolo!). Pensandoci ora, facevamo quasi tenerezza – dice sorridendo . Le immagini che giungono in questi giorni dal Cile mi ricordano molto quel periodo e mi emozionano. La protesta è stata appoggiata dall’ambiente ecclesiastico: le chiese venivano messe a disposizione per incontrarsi e accoglievano chi faceva lo sciopero della fame».
Nella Germania dell’Est tutto ciò che non era strettamente necessario era difficile da ottenere. Per avere un’auto nuova bisognava fare domanda e la risposta arrivava magari dopo 14 anni. Nel frattempo ci si doveva organizzare: «Mio padre, che era meccanico, era riuscito a sistemarsi un’auto comprando qua e là pezzi di auto demolite».

La vita di Simone a Berlino Est

Simone appoggiata ad un auto con targa della DDR
Simone a 18 anni in vacanza in Ungheria. Studiava a Chemnitz e quell'anno prese il diploma.


Simone si trasferì a Berlino Est nel 1986: «Volevano riempire la città di gente per dimostrare quanto fosse bella e potente. Chiedevano alle aziende della DDR personale da inviare a Berlino, così andai a vivere in un grandissimo appartamento, concesso gratuitamente dallo Stato, che dividevo con altri giovani. Lavoravo come vetrinista. C’erano un sacco di cantieri in giro per la città dove si costruiva, si abbelliva. Realizzavamo cartelloni per le mense degli operai, tutte gestite dalla Stato, fatti a mano, con pennelli, colori, carta adesiva. Preparavamo anche gli striscioni per le festività nazionali.
Berlino era ricca di palazzi bellissimi ma vecchi, grigi, abbandonati. Si vedeva dove passavano ospiti importanti o politici perché, in quelle occasioni, venivano messe tende posticce o decorazioni provvisorie».
Per passare da Ovest a Est si dovevano cambiare almeno 25 marchi con valore di 1 a 1, quando normalmente 1 marco dell’Ovest valeva 5 marchi dell’Est. Entro la mezzanotte gli ospiti dovevano ritornare dall’altra parte del Muro, altrimenti avrebbero dovuto alloggiare in costosissimi alberghi di lusso statali, se non avevano l’autorizzazione ad essere ospitati da parenti.
Simone improvvisamente ricorda un episodio che la spaventò moltissimo: «Un amico italiano era venuto a trovarmi e prima della mezzanotte l’avevo riaccompagnato al Checkpoint Charlie (un importante posto di blocco che collegava il quartiere sovietico di Mitte con quello statunitense di Kreuzberg a Berlino, ndr.). Per tornare al mio appartamento, a circa un’ora di strada, presi il tram. Mi accorsi subito che gli unici due uomini saliti con me mi stavano seguendo. Ne ebbi conferma quando finsi di scendere ad una fermata e anche loro fecero per scendere insieme a me. Quando tornai al mio posto, anche loro rimasero sul tram. Ero nel panico. Erano certamente uomini della Stasi. Giunta alla mia fermata, appena si aprirono le porte, iniziai a correre il più velocemente possibile e quando raggiunsi la porta del mio palazzo, prima di entrare mi voltai: i due uomini correvano, mi stavano inseguendo. Mi chiusi in casa terrorizzata». 
Ripensando a quel periodo Simone riflette e dice: «Sono stata fortunata perché non mi hanno mai chiesto di entrare nel partito… non avrei potuto dire di no…».

Alle manifestazioni del lunedì 

Partecipava attivamente alle manifestazioni del lunedì. Nel cielo sopra Berlino giravano gli elicotteri: «I cecchini erano appostati sui tetti e i militari si muovevano tra noi con i cani pronti ad azzannarci. Ricordo gente trascinata via per i capelli. Tentavano di dissolvere le manifestazioni spaventando la gente. Filmavano tutto e tutti per schedare e documentare, nel caso fosse successo qualcosa. Per mesi ho avuto incubi terribili: mi svegliavo urlando nella notte».
Iniziato da piccoli gruppi il movimento crebbe e raggiunse una potenza tale da costringere il presidente Honecker nel 1989, ad accontentare il popolo: «Il muro cadde quando concessero il diritto di viaggiare tra Est e Ovest perché dovettero cedere alle richieste dei manifestanti. Ormai gli altri stati avevano aperto i confini e la gente scappava».
Pochi mesi prima era stato aperto il confine tra Ungheria e Austria: «Andavamo già in Ungheria in vacanza, sul lago Balaton, in discoteca. Noi ragazzi mettevamo via i soldi per comprarci vestiti carini per quelle occasioni. Avevo fatto richiesta del visto per andarmene ma, per non destare sospetti, l’avevo chiesto per la Bulgaria. Pensavo che sarei potuta scendere prima dal treno in Ungheria, e da lì avrei raggiunto l’Austria».
Quando cadde il Muro Simone non si trovava a Berlino: «Sul più bello ero dai miei genitori a Lengefeld! Ricordo le immagini in televisione della gente che si arrampicava sul Muro, che si abbracciava. Un’energia pazzesca! Mi viene ancora la pelle d’oca. Pensavo che se ora potevo andare di là quando volevo, potevo anche tornare indietro quando volevo! Quando sono tornata a Berlino ho potuto visitare per la prima volta la parte Ovest: le luci, i colori, perfino l’erba mi sembrava più verde ad Ovest. Tutto era in ordine, pulito, nuovo, le insegne pubblicitarie mi abbagliavano e i negozi erano pieni di belle cose».
Tutta questa bellezza non è riuscita però a nascondere un aspetto doloroso. Nella Germania dell’Est qualcuno aveva problemi con l’alcol, ma non conoscevano la droga: «La cosa più brutta è stata vedere i tossicodipendenti e i barboni che dormivano per strada. Non ero abituata, e questo degrado mi ha fatto male».

Crollo del Muro: speranza e paura

La caduta del Muro ha aperto un varco verso la libertà, verso la possibilità di realizzare i propri sogni, ha portato tanta speranza ma anche tanta paura perché con esso sono cadute anche le sicurezze. Tanti giovani sono partiti in cerca di lavoro, le fabbriche sono state rilevate per pochi marchi: «La fabbrica di lampade per la quale ho lavorato per un periodo, è stata venduta al prezzo simbolico di 1 marco – racconta Simone –. Dava lavoro a 600 persone. Quando è caduto il Muro la gente non comprava più il latte nella confezione grigia, si acquistava tutto quello che era nuovo, in confezioni attraenti, ciò che non avevamo potuto avere prima, ma così si rischiava di mandare in rovina le aziende locali. Pian piano la gente ha capito che doveva tornare ad acquistare i propri prodotti per non far andare in malora tutto».

Un cambiamento indispensabile che i tedeschi hanno dovuto affrontare anche con dolore e fatica ma dimostrando una grande capacità di recupero: «Nel 1990 mi sono trasferita a Regensburg e percorrevo un tragitto di tre ore per andare a visitare i miei genitori una volta al mese. Ad ogni viaggio vedevo cambiamenti. In dieci anni hanno rifatto tutto l’Est ad una velocità incredibile.
Qui in Italia, dove vivo dal 1994, ci vorrebbero 100 anni…» conclude sorridendo scherzosamente, ma non troppo.