Un conflitto dimenticato quello che va avanti dal 2003 in Darfur, quella area del Sudan nel pieno del deserto del Sahara. Tutto ha avuto inizio quando il Movimento Popolare di liberazione del Sudan ha attaccato le forze militari sudanesi nel Darfur settentrionale. Negli anni, migliaia di persone sono state uccise e milioni di civili hanno dovuto abbandonare le loro terre. Oggi scappano prevalentemente verso il vicino Ciad. L'esodo conta oltre 1.2 milioni di rifugiati. «UNHCR» e «Croce Rossa Internazionale» sono sotto pressione nell'affrontare questa emergenza che coinvolge intere popolazioni del Darfur. In particolare, continua la "guerra etnica": le popolazioni non arabe come i Masalit, gli Zaghawa e i Furs continuano ad essere bersagli delle forze di liberazione, le RSF composte in prevalenza da militari arabi, che si riforniscono in Libia con la collaborazione di mercenari russi. Da 20 anni ormai in guerra per conquistare tutto il Darfur.
Lo sa bene Izza che nel 2018, grazie ai canali umanitari, con una figlia nata durante il periodo di detenzione in Libia, è riuscita a trovare rifugio in Italia, in una casa-famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII. Il marito che viaggiava con lei è anche stato incarcerato in Libia e non si sono mai più avute notizie. Forse è morto durante la detenzione o cercando di approdare in Europa? Prima di partire avevano messo al sicuro i loro figli in una città di confine, con i nonni paterni. Per diversi anni ha cercato di aiutarli a distanza perché avessero di che mangiare. Poi all'improvviso inizia la disperazione. I nonni muoiono. I figli di Izza, tutti minorenni, non hanno di che vivere e partono attraversando il deserto come migliaia di concittadini. La comunicazione con loro si interrompe per lunghissimi mesi e l'angoscia di non vederli mai più.
S, la figlia più grande, ha solo 17 anni, riprende i contatti con la madre solo la scorsa estate. Arrivata in Libia, ha temuto per la sua vita, a rischio di essere trafficata e venduta, perde di vista i fratelli e cerca disperatamente aiuto per ripartire e tornare verso sud. Quando riprende i contatti con Izza nuovamente, è in salvo a N'Djamena, la capitale del Ciad invasa dai profughi, presso una famiglia di connazionali. La sentiamo direttamente, parla a fatica l'arabo, non conosce il francese né l'inglese. Ma i suoi racconti e la sua ansia costante fanno pensare che sia sopravvissuta alle violenze e alla fame e debba essere messa al sicuro al più presto, perché non riparta per rotte impraticabili e pericolose.
Aiutatemi a salvare i miei bambiniIzza
Negli ultimi giorni, a causa di uccisioni sommarie e bombardamenti con armi pesanti in aree densamente popolate, la organizzazione Human Rights Watch ha denunciato i crimini accertati - torture, stupri e saccheggi - e per la prima volta è tornata a parlare apertamente di genocidio, richiedendo ai governi dell'area forti sanzioni contro i responsabili dei massacri.
Dal 10 maggio, infatti, El Fasher, la storica città di passaggio delle carovane, dove è anche l'aeroporto internazionale, è devastata dagli scontri tra le Forze Armate Sudanese (SAF) contro le RSF. È drammatica la situazione nella città dove sono intrappolate poco meno di 1,5 milioni di persone tra abitanti e sfollati interni che vi si erano rifugiati. Di ieri la notizia dell'irruzione delle forze paramilitari le RSF al South Hospital, l'unica struttura in grado di rispondere ai bisogni sanitari sempre più emergenziali della popolazione a El Fasher, capoluogo del Nord Darfur, causando vittime tra i pazienti e il personale sanitario. Le RSF sono sempre più accanite perché il Nord Darfur e la sua capitale sono l'unica parte della più ampia regione del Darfur fuori dal controllo dalle cosiddette forze di liberazione. L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha da tempo lanciato un appello per l'emergenza umanitaria in Sudan che sta mettendo in ginocchio anche i presidi di assistenza lungo i confini e soprattutto in Ciad nella capitale, dove si stanno riversando centinaia e centinaia di profughi, in particolare donne e bambini.
Izza e gli operatori che la accolgono continuano la sua disperata lotta al ricongiungimento familiare dall'Italia e con le organizzazioni sul posto. A tutti chiede senza sosta: «Aiutatemi a salvare i miei bambini. Sono distrutta e mentre lavoro ogni giorno cerco di non pensare che sono dispersi ed io impotente di fronte al loro grido di aiuto». Anche la voce del funzionario dell'UNHCR, sentito di nuovo ieri per chiedere informazioni di J. che aspetta la sua registrazione nella capitale del Ciad, è molto affaticata.
«Stiamo facendo il possibile - assicura - mi spiace non poter rispondere velocemente ma qui siamo travolti dalle richieste di aiuto. Questo è un esodo enorme di persone. Sollecitate anche i vostri governi. Le nostre forze non bastano a proteggere queste migliaia di rifugiati».