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29 Marzo 2024

Suicidio assistito? No, grazie!

Ostentando la libertà di scelta, in realtà si arma la mano dell'ammalato affinché si possa togliere la vita.
Suicidio assistito? No, grazie!
Foto di Erubiel Flores
È di qualche settimana fa la notizia che la Consulta della Regione Emilia Romagna, in attesa di una legge nazionale, ha completato il percorso affinché possa essere garantito al malato il diritto di congedarsi dalla vita, nel rispetto della sua volontà.
Nessuno sarà obbligato, è una scelta di libertà. Uno slogan che si ripete quando si perde il senso del bene comune per ipotizzarne maldestramente quello di qualcuno.
Poco credibile la scelta del Consiglio Regionale dell’Emilia Romagna di definire un percorso per il suicidio assistito quando ancora nessuno fra i suoi cittadini ne ha fatto richiesta, pochissimi sul territorio nazionale. Così, dopo il flop della regione Veneto e più di recente del Piemonte che hanno respinto a maggioranza la proposta di legge Cappato, si è tentata una strada più rapida e sicura, quella della delibera di giunta. Un provvedimento d’urgenza, senza un dibattito e soprattutto precedendo la norma nazionale ancora in fase di discussione.
Ogni norma scaturisce da un bisogno, ma quando questo manca porta inevitabilmente a suscitarlo.
Il tutto in barba alle indicazioni dell’Avvocatura dello Stato che ha considerato illegittimi tali balzi in avanti. Un provvedimento che ha pure incaricato il Comitato etico sbagliato. È stato infatti travisato quanto chiaramente indicato dal Comitato Nazionale di Bioetica. Anche la Comunità Papa Giovanni XXIII ha sottoscritto un ricorso al Tar contro questa delibera. 
 
Il primo dovere di ogni stato democratico è quello di tutelare la vita dei più deboli. Il diritto alla vita, infatti, è un «diritto inviolabile supremo» su cui si fonda la Costituzione italiana.
Come pensare di adempiervi armando la mano dell’afflitto affinché la vita se la possa togliere?
Fino ad oggi il suicidio è stato considerato un atto estremo, da prevenire il più possibile, con tentativi di salvataggio sempre considerati eroici. L’individualismo più esasperato porta a ritenere affare del singolo togliersi la vita, scelta di autodeterminazione su cui non influire.
In una visione più ampia il problema non sta solo in chi arriverà così a togliersi la vita, massima tragedia del nostro tempo. Per la prima volta nella storia fra le mansioni del medico ci sarà quella di armare la mano del malato affinché possa uccidersi in barba al Giuramento di Ippocrate (V secolo a.C.): “Non darò a nessuno, anche se richiesto, un medicinale letale, né fornirò consigli per questo”.
Col suicidio assistito il medico si rende responsabile della morte proprio di colui che la vita doveva tutelare e curare. Facendolo rientrare nei livelli essenziali di assistenza, erogati gratuitamente dal SSN, si instaura un conflitto di interessi nel rischio di preferire la somministrazione del “farmaco” più economico, assecondando quello letale.
Una delle condizioni di accesso riguarda la necessità di sostegni vitali. Tuttavia non ne esiste definizione univoca. Vi appartengono ad esempio i farmaci salvavita compresi gli antitumorali e persino la cura infermieristica di lesioni cutanee, svuotamento di vescica e intestino…
Forse si finge di non sapere che nella malattia è fisiologico passare da depressione e disperazione per arrivare, vita permettendo, all’accettazione del proprio stato. Vorremo impedirlo?