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23 Luglio 2019

Suore di clausura difendono i migranti

Aderisce anche la Comunità Papa Giovanni XXIII all'appello rivolto a Mattarella e Conte da Clarisse e Carmelitane scalze.
Suore di clausura difendono i migranti
Da queste donne che hanno scelto la vita ritirata giunge un appello ad evitare ogni chiusura e l'impegno ad essere in prima linea nell'accoglienza.
Sono suore di clausura ma – a differenza di quanto sembra evidenziare l’appellativo – seguono con attenzione i temi di attualità. E la vita ritirata non impedisce loro di intervenire, da cittadine attive, sollecitando le istituzioni.
Così l’11 luglio Clarisse e Carmelitane scalze di 62 monasteri italiani hanno deciso di inviare una Lettera aperta al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e al Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte, per «obbedire alla nostra coscienza di donne, figlie di Dio e sorelle di ogni persona su questa terra, esprimendo pubblicamente la nostra voce».
L’appello contiene quella che loro stesse definiscono una «supplica», con una richiesta precisa: «Tutelate le vite dei migranti». 
Scendendo nel dettaglio, le suore chiedono «che le istituzioni governative si facciano garanti della loro dignità, contribuiscano a percorsi di integrazione e li tutelino dall’insorgere del razzismo e da una mentalità che li considera solo un ostacolo al benessere nazionale
La loro visione è invece diversa. «Accanto alle tante problematiche e difficoltà – si legge nella lettera – ci sono innumerevoli esempi di migranti che costruiscono relazioni di amicizia, si inseriscono validamente nel mondo del lavoro e dell’università, creano imprese, si impegnano nei sindacati e nel volontariato. Queste ricchezze non vanno svalutate e tante potenzialità andrebbero riconosciute e promosse.»

Dalla clausura una lezione di apertura

Da queste donne che nell’immaginario comune hanno scelto di porre una barriera tra sé e gli altri, arriva invece una lezione di apertura: «Siamo anche profondamente convinte che non sia ingenuo credere che una solidarietà efficace, e indubbiamente ben organizzata, possa arricchire la nostra storia e, a lungo termine, anche la nostra situazione economica e sociale. È ingenuo piuttosto il contrario: credere che una civiltà che chiude le proprie porte sia destinata ad un futuro lungo e felice, una società tra l’altro che chiude i porti ai migranti, ma, come ha sottolineato papa Francesco, “apre i porti alle imbarcazioni che devono caricare sofisticati e costosi armamenti”.»

Monasteri in prima linea nell’accoglienza

Prevedibile la reazione di chi potrebbe rispondere all’appello con frasi del tipo: «Se vi piacciono tanto, accoglieteli in casa vostra!», secondo lo stile oggi imperante nei social. 
Ma su questo punto sono le suore stesse ad esplicitare la necessità di non limitarsi alle parole: «Molti monasteri italiani –  scrivono –  appartenenti ai vari ordini, si stanno interrogando su come contribuire concretamente all’accoglienza dei rifugiati, affiancando le istituzioni diocesane. Alcuni già stanno offrendo spazi e aiuti. E, al tempo stesso, tutte noi cerchiamo di essere in ascolto della nostra gente per capirne le sofferenze e le paure.»
Infine un chiarimento da queste donne che hanno deciso di dedicare tutta la vita a Dio: «Desideriamo dissociarci da ogni forma di utilizzo della fede cristiana che non si traduca in carità e servizio

L’adesione della Comunità Papa Giovanni XXIII

La lettera è stata pubblicata dal quotidiano Avvenire, con l’indicazione di un indirizzo email – segreteria.sottoscrizione@gmail.com – per «lasciare la possibilità di sottoscrivere la lettera ad altri Ordini, Istituti e comunità religiose che ne condividessero i contenuti e la modalità». Adesioni che sono giunte a centinaia nel giro di pochi giorni. 
Tra gli aderenti anche la Comunità Papa Giovanni XXIII. «Come Comunità abbiamo risposto prontamente a questa emergenza fin dal suo primo manifestarsi  – spiega il presidente Giovanni Paolo Ramonda – e abbiamo sperimentato che l’integrazione è possibile se avviene in modo diffuso, con piccoli nuclei di persone che si inseriscono nei nostri Paesi, nelle nostre città. Allora queste persone acquisiscono un  volto e un nome, diventano i nostri vicini e scopriamo che in fondo sono persone come noi che cercano solo di costruire un futuro dignitoso per sé e per le loro famiglie».