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21 Novembre 2025

Tanzania: le elezioni scatenano il malcontento

I partiti d'opposizione fuori gioco, i social media bloccati e una repressione violenta sono il biglietto da visita del secondo mandato di Samia Suluhu Hassan
Tanzania: le elezioni scatenano il malcontento
Foto di ANTHONY SIAME
Le elezioni di ottobre in Tanzania hanno segnato l'inizio di uno dei periodi più oscuri della sua storia recente, con la presidente Samia Suluhu Hassan confermata al potere in un clima di arresti, censura e repressione delle proteste giovanili. I missionari presenti raccontano le tensioni e le speranze.
Le elezioni generali di fine ottobre hanno aperto uno dei periodi più bui nella storia recente della Tanzania.
Con i principali partiti dopposizione ridotti al silenzio con arresti e intimidazioni, la presidente Samia Suluhu Hassan ha ottenuto un secondo mandato con circa il 98% dei voti ufficiali. Il suo partito, il Chama Cha Mapinduzi (CCM), ha conquistato quasi tutti i seggi dell’Assemblea Nazionale.

Proteste e repressioni in Tanzania

Le strade, però, non sono rimaste in silenzio. Mentre la polizia e lesercito imponevano il coprifuoco e le connessioni internet venivano interrotte, molti tanzaniani - soprattutto giovani - hanno dato vita a proteste nelle principali città del Paese.
La repressione è stata brutale.
Secondo un rapporto diffuso a Nairobi dal movimento Jumuiya Ni Yetu” (La comunità è nostra”, in kiswahili) e dal Pan-African Solidarity Collective – che riuniscono 40 organizzazioni per i diritti umani e della società civile di 10 Paesi africani – al 7 novembre si contavano «almeno 3.000 vittime e migliaia di dispersi».
Nonostante questi dati non siano stati verificati da fonti indipendenti, quanto accaduto resta una ferita profonda, destinata a segnare per sempre lidentità nazionale, anche se oggi sembra essere tornata una fragile pseudo normalità”.

La testimonianza dei missionari in Tanzania 

Abbiamo raccolto la voce di alcuni missionari che operano nel Paese (per motivi di sicurezza non scriveremo i loro nomi).
«Sin dai tempi dell’indipendenza la Tanzania è sempre stata in pace», raccontano. «Per questo siamo rimasti sconvolti. Ci sono stati incendi, sparatorie, lanci di bombe e gas lacrimogeni. Abbiamo vissuto il coprifuoco: tutto era chiuso e fermo, anche il traffico. Abbiamo dovuto sospendere le nostre attività solidali per una settimana.»
 
Secondo loro, le proteste e la repressione non sono che lepilogo di un malcontento profondo, nato dalle scelte politiche ed economiche della presidente Samia Suluhu Hassan nel suo primo mandato.
«Tutto è iniziato con rapimenti e uccisioni di chi criticava il governo. La corruzione ha continuato a crescere dopo la morte del presidente precedente, John Magufuli, considerato da molti un difensore dei poveri e un patriota che voleva la prosperità del Paese senza dipendere dall’Occidente. Con Samia Suluhu Hassan quasi tutte le risorse generatrici di reddito sono invece finite nelle mani di pochi cittadini ricchi o di interessi stranieri, e questo ha alimentato la rabbia popolare. Anche perché la maggioranza della popolazione vive ancora in povertà e le disparità sociali sono in aumento.»

Nei mesi precedenti al voto, la tensione è esplosa.
«I partiti dopposizione sono stati esclusi dalle elezioni, i social media bloccati, i media censurati. Tundu Lissu, leader del principale partito d’opposizione Chadema, è stato arrestato nell’aprile 2025 con laccusa di tradimento, dopo aver lanciato il movimento Nessuna riforma, nessuna elezione, per chiedere un voto libero ed equo.»

La mobilitazione dei giovani

«Purtroppo il potere corrompe e in questo caso ha distrutto la democrazia e la libertà di parola», aggiungono. «Si dice persino che siano arrivati militari dall’Uganda per reprimere le proteste. Anche se queste accuse non sono confermate da fonti indipendenti, è comunque certo che molti giovani sono morti. La maggior parte ha partecipato alle proteste pur sapendo che non sarebbe tornata a casa viva.»
 
Nonostante le minacce e i divieti di condividere immagini e video, «buona parte della gente ha scelto la strada della mobilitazione e vuole mostrare al mondo cosa è successo», affermano ancora i missionari.
Oggi la presidente ha promesso «pace e riconciliazione nazionale», ma il consenso del governo sembra irrimediabilmente compromesso.
«Sarà ricordato come il governo che ha messo a tacere chiunque parlasse male di lui, non importava se fosse un prete, un ex funzionario governativo o un semplice imprenditore», concludono. «Ma la speranza resta: che non solo la Tanzania, ma lAfrica intera, si sollevino contro leader che non lavorano per il popolo. I giovani credono ancora in un futuro diverso, anche se il prezzo sarà alto.»