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31 Gennaio 2025
Ultima modifica: 31 Gennaio 2025 ore 18:01

Piccolo migrante su Almasri: «Anche io sono stato picchiato dai suoi uomini»

La testimonianza di un tredicenne egiziano accolto in una struttura di accoglienza della Comunità Papa Giovanni XXIII
Piccolo migrante su Almasri: «Anche io sono stato picchiato dai suoi uomini»
Foto di Archivio "Sempre"
Un ragazzino egiziano di 13 anni ha riconosciuto Osama Almasri Njeem, capo della polizia giudiziaria libica, come uno degli aguzzini che picchiava i migranti. Il ragazzo, passato per la prigione di Mitiga, ha raccontato di essere stato malmenato dai suoi uomini. Questa testimonianza si aggiunge alle accuse di crimini di guerra e contro l'umanità che pendono su Almasri, recentemente arrestato e poi rilasciato a Torino.

Sabato 18 gennaio 2025, a Torino si gioca "Juventus-Milan", una delle sfide più attese del campionato di calcio italiano. Vinceranno i padroni di casa per due reti a zero. Alla stadio ci sono oltre 41mila persone, in televisione seguono il match oltre sei milioni e mezzo. A Torino, quella sera, è presente anche Osama Almasri Njeem, capo della polizia giudiziaria libica. Il giorno dopo Almasri viene arrestato su mandato della Corte penale internazionale per accuse di crimini di guerra e contro l’umanità. Dopo due giorni viene rilasciato e riaccompagnato a Tripoli con un Falcon 900 del governo italiano «per ragioni di sicurezza».

«È lui l'uomo che picchiava le persone e che comandava gli altri. Anche io sono stato picchiato dai suoi uomini». A parlare è Mohamed, nome di fantasia, bambino egiziano di 13 anni, oggi in un luogo sicuro. Appena approdato in Italia, da solo, è stato accolto per un periodo nella Casa dell'Annunziata a Reggio Calabria, una casa della Comunità di don Oreste Benzi per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, come vengono chiamati in gergo tecnico i piccoli migranti che arrivano soli sulle nostre coste. Quando è arrivato in Italia aveva 10 anni. 

«Lui era il capo, – continua Mohamed indicando la foto di Almasri – era lui che decideva i tempi, era lui che decideva chi, come e dove spostarci. Ricordo ancora i nomi dei suoi uomini: Ayub, Ossama, Adabae, El Nemir».

Partito dal sud dell'Egitto, il padre si è indebitato con un vicino per pagare il viaggio ai trafficanti. I genitori ed un fratello più piccolo sono rimasti nel paese. «Quando avevo 10 anni sono partito dall'Egitto con altri quattro ragazzi un po' più grandi di me - racconta il ragazzino –. Le prime botte le ho prese nel deserto sul pick-up, i fuoristrada col cassone scoperto. A bordo c’erano tante persone e uno dei ragazzi rischiava di rimanere soffocato e schiacciato degli altri. Allora il trafficante ci ha fatti scendere tutti e ha iniziato a picchiarci con dei bastoni. Mi ricordo il nome di quello che ci ha picchiato perché era egiziano come me, si chiamava Abdulnaser Leghash. Quando ero in Libia ci hanno messo dentro dei magazzini. Un giorno hanno picchiato anche me ed un altro ragazzo di 14 anni. Quando ci hanno picchiato gli altri migranti si sono ribellati. Si sono alzati per difenderci perché eravamo troppo piccoli. Allora i trafficanti hanno iniziato a sparare in aria con i mitra finché tutti si sono calmati».
Oggi Mohamed ha 13 anni, frequenta le scuole medie e nel tempo libero fa attività con gli animali, gli piace perché lo faceva col suo papà che era un guardiano di animali in Egitto.

Quella di Mohamed è solo una delle tante storie dei 200 bambini e ragazzini accolti in dieci anni alla Casa dell'Annunziata. Le loro storie sono state raccolte nel libro "Figli venuti dal mare". Un libro in cui si spiega perché partono, quali rotte compiono, i traumi che subiscono durante il viaggio e l'integrazione che ricevono in Italia. Un testo sui bambini migranti che viaggiano soli, un fenomeno in costante aumento in tutte le regioni del mondo. Analizzando i dati si osserva che l'età dei MSNA è sempre più bassa e che viaggiano sempre più femmine.

Nel libro sono raccontate anche le storie di chi ha subito le torture in Libia, dove dal 2011 si è strutturato un sistema criminale che per ottenere profitti sfrutta i migranti in viaggio verso l'Europa. Come la storia di Mamadou, partito dalla Guinea e passato in Libia, da solo, a 14 anni.

«Quando salutai mio padre sapevo che non lo avrei più rivisto. Mi diede tutti i soldi che aveva, una somma che bastava per il viaggio di una sola persona. Dopo avere attraversato il deserto siamo arrivati a Sebah, poi Tripoli ed infine Sabrata, città che si affaccia sul Mare Mediterraneo. Ci hanno sistemato in magazzini, senza letti, uno ammassato sull'altro. Ragazzi, donne e bambini. Ricordo l'odore, la puzza. Ricordo quando i trafficanti venivano per scegliere a caso delle ragazze, senza curarsi dell'età. Ho visto anche bambine incinte. Quando ero lì mi hanno parlato del "palo": alcune donne le appendevano con le mani legate in alto ad un palo ed ognuno dei trafficanti poteva farci quel che voleva. Quando le riportavano indietro le lasciavano cadere a terra, come morte».