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22 Dicembre 2025

Quando l'integrazione funziona: la storia di Sadik

Come trasformare esperienze di integrazione riuscita in nuove opportunità per chi mette piede per la prima volta in Europa.
Quando l'integrazione funziona: la storia di Sadik
Foto di Capanna di Betlemme di Bologna
Il cammino dei migranti verso l'inclusione è spesso frenato da documenti difficili da ottenere, diffidenza nel mondo del lavoro e discriminazioni nel trovare un alloggio. Sadik, arrivato 6 anni fa dal Maghreb, grazie al progetto europeo AMIR, oggi affianca altri giovani migranti nel loro percorso come peer mentor: una guida fidata verso l'inclusione.
Burocrazia complicata e troppo digitalizzata, porte chiuse nel mercato del lavoro e muri invisibili nel trovare una casa: per molti giovani migranti in Europa, l’integrazione è ancora un percorso a ostacoli.
Ma ci sono anche storie positive come quella di Sadik arrivato dal Maghreb 6 anni fa ed oggi finalmente integrato. «La prima difficoltà – racconta oggi che ha 36 anni, tanti amici, una casa, un lavoro stabile e fa pure volontariato - è stata capire e parlare bene la lingua italiana e poi ottenere un permesso di soggiorno. Pensando al mio passato, i primi tempi davvero è stata dura! Per mia fortuna sono stato accolto in una casa della Comunità Papa Giovanni XXIII, la Capanna di Bologna, perché arrivato da Milano a Bologna, non avevo trovato un posto dove dormire, solo tante false promesse. Ma la strada non può essere una casa per nessuno». 
Foto di Capanna di Betlemme di Bologna
 
Nonostante le difficoltà e gli ostacoli nella sua vita Sadik non si perde d'animo e si fida di chi lo accoglie. Inizia a studiare italiano, si dà da fare anche con gli altri ospiti della struttura, alcuni anche con gravi problemi di salute. E poi finalmente inizia a lavorare e a costruire il suo futuro, pur dovendo affrontare difficoltà e discriminazioni. «Non è facile per chi è straniero, sembra sempre che fai qualcosa di sbagliato. Ho fatto diversi lavori ed oggi sono soddisfatto, lavoro in un'azienda di elettromeccanica a Bologna e mi piace molto. Mi trovo bene con il mio datore di lavoro e i miei colleghi e finalmente mi sento al mio posto! E quando non lavoro, alcune sere mi dedico anche al servizio in strada coi senza tetto».

Un progetto per l’inclusione di chi ha il diritto di restare

È in questo scenario che Sadik sceglie di partecipare al programma di mentori, ovvero di persone integrate che affiancano connazionali arrivati da poco in Europa, grazie al progetto transnazionale AMIR: una strategia di integrazione di mentoring tra pari e di sviluppo delle competenze per garantire l'inclusione di cittadini di paesi terzi a livello regionale e locale, finanziato dal Fondo europeo Asilo, Migrazione e Integrazione (AMIF) e coordinato dalla Comunità di don Benzi, insieme ai partner di otto Paesi. L’obiettivo è ambizioso: rafforzare l’inclusione sociale ed economica di persone migranti attraverso strategie innovative per la ricerca del lavoro, della casa e per l'alfabetizzazione finanziaria.
La fotografia scattata dalle ricerche condotte dal team del progetto parla chiaro. Lo status giuridico resta il primo grande discrimine: permessi temporanei e procedure complesse ritardano l’accesso ai servizi, mentre informazioni contraddittorie tra sportelli e uffici immigrazione alimentano confusione e rischi di errori fatali.  Nel mercato del lavoro il divario è altrettanto netto: nel 2023 la disoccupazione degli immigrati ha toccato il 14%, contro il 7,8% degli italiani; le donne migranti risultano le più penalizzate. Sul fronte abitativo, la situazione non migliora poiché anche la ricerca della casa è una vera odissea: canoni elevati, scarsa disponibilità di immobili e diffidenza dei proprietari di case rendono quasi impossibile trovare una soluzione stabile, con episodi di discriminazione esplicita come annunci “solo italiani”. «Anche io ho avuto difficoltà a trovare un appartamento dove vivere da solo in questi sei anni. Ho cambiato casa più volte aiutato da amici - spiega Sadik - Spesso chi affitta non si fida degli stranieri, anche se abbiamo un lavoro e pure se è a tempo indeterminato. Ma oggi finalmente posso dire di vivere a casa mia!».

La rinascita di Sadik e la forza del mentoring tra pari

Il programma di peer mentoring a cui sta partecipando Sadik vuole valorizzare i percorsi di integrazione riusciti e aiutare chi ha ottenuto il diritto di asilo in Italia a diventare una risorsa per la comunità. «Quel che mi spinge a diventare un peer mentor nelle case di accoglienza della Comunità Papa Giovanni XXIII è il ricordo del mio passato, di quei giorni in cui ero appena arrivato in Italia. Non c'era nessuno ad aiutarmi, non avevo niente in tasca, non sapevo dove andare per richiedere i documenti. Non avevo un posto dove dormire. Sapevo solo che non potevo tornare indietro. Per questo oggi voglio aiutare le persone che arrivano in Europa. Nessun migrante deve trovarsi totalmente da solo e abbandonato a se stesso. Vorrei affiancare i giovani migranti accolti per un percorso di riscatto e di integrazione perché possano contare su qualcuno che li aiuta e di cui fidarsi, alla pari. Come è successo a me con le persone che mi hanno aiutato e mi hanno dato una possibilità di vivere con un lavoro onesto e nella legalità. Mi hanno fatto anche scoprire quanto è importante la mia vita e che va vissuta non solo per me e la mia famiglia ma anche per aiutare chi è emarginato».
Proprio in questi giorni Sadik ha terminato il programma formativo dei peer mentors insieme ad un gruppo di 15 giovani con background migratorio residenti in Emilia-Romagna e provenienti da Sud America, nord Africa ed Est Europa. Insieme ai futuri peer mentors di altri giovani connazionali, Sadik ha potuto ritrovare il senso del suo percorso di vita e nuove prospettive per la sua inclusione e quella di chi affiancherà nei prossimi 10 mesi di programma. E ha già in mente consigli importanti da non trascurare. La cosa più importante per me è conoscere bene la lingua italiana. «È stato fondamentale andare a scuola per capire dove andare e come fare i documenti, per andare all'ospedale, per lavorare e anche per fare amicizia. Per vivere bene devi imparare la lingua, lavorare sodo e rispettare le persone e le leggi del paese che ti ha accolto. E dare un pò del tuo tempo libero a chi è solo».