Giorgia Brambilla e Giovanna Valsecchi offrono due strumenti per educatori e ragazzi, basati sulla Teologia del Corpo di San Giovanni Paolo II. I volumi mirano a colmare il vuoto di una formazione all'affettività che includa il corpo, proponendo un percorso in nove tappe per i giovani. L'obiettivo è riscoprire l'amore autentico e la libertà attraverso un linguaggio accessibile e pratiche educative concrete.
«Un corpo per amare – con tutto me stesso» è il motto, l’indicazione che si ottiene accostando i titoli dei due recenti volumi scritti da Giorgia Brambilla – professore straordinario di Bioetica a Roma – e da Giovanna Valsecchi – insegnante di religione cattolica a Milano.
Due strumenti che si offrono ad educatori, insegnanti e ragazzi per la formazione all’affettività nei percorsi post-cresima. Una formazione nella quale – rilevano le autrici – c’è un grande assente: il corpo. Per colmare questo vuoto sono stati dati alle stampe questi due agili strumenti: un manuale per formatori e un libretto con le schede di un affascinante percorso in nove tappe per i ragazzi.
Il riferimento è quello dei fondamenti antropologici e teologici della Teologia del Corpo di san Giovanni Paolo II, tradotti in un linguaggio semplice e accessibile, senza rinunciare al rigore dei contenuti.
Abbiamo raggiunto telefonicamente le due autrici.
Da che cosa nasce l’idea di un libro sul corpo?
Giorgia Brambilla«Lo scorso anno c’è stata una concentrazione di richieste da parte di parroci ed educatori nelle realtà in cui tenevo degli incontri. Ho chiesto aiuto a Giovanna Valsecchi, mia brillante studentessa. Parlare del corpo è parlare della persona e della sua bellezza, della sua verità. Le catechesi di Giovanni Paolo II non sono solo catechesi su matrimonio e famiglia ma c’è un percorso per il recupero del corpo e della sua capacità di essere dono a partire dal principio di cui parla Gesù. C’è una visione dualistica della persona: il corpo da una parte e la mia interiorità dall’altra. Questa visione non può che spingere verso uno scarso rispetto del sé».
Il vostro lavoro si inserisce in un contesto culturale dominato da una pluralità di visioni sulla sessualità e l'affettività. Che differenza c'è tra la visione della persona e del corpo proposta dalla Teologia del Corpo e quelle promosse da altre correnti di pensiero, e perché pensate che la Teologia del Corpo rimanga attuale e significativa anche in un'epoca post-moderna?
«Conosciamo lo slogan “Il corpo è mio e ne faccio quello che voglio”. Noi proponiamo un’altra visione: un corpo per amare con tutto me stesso. Pensavo che serva un approccio portatore di senso, rivolto all’umanum per contrastare le derive di questi tempi, si pensi ad esempio alla pornografia e ai femminicidi. Il primo segno di disordine è l’incapacità di riconoscere l’altro come persona. Siamo bombardati da immagini che meccanicizzano il corpo e quello che occorre è un’educazione, un processo graduale. È così che la Teologia del Corpo diventa “pedagogia del corpo”. Tutti noi dobbiamo rieducarci al sapore dell’amore autentico. Dobbiamo aiutare i giovani a ripartire da chi sono, dalla persona, dal proprio corpo, partire dall’amore non come avventura ma come apprendimento ad amare, con impegno. E in questo lento, graduale e meraviglioso apprendimento scopriranno che imparare ad amare è imparare ad essere liberi. Con i giovani abbassiamo molto l’asticella, offriamo cose per ridurre il danno, ma loro desiderano molto di più e pensiamo che la Teologia del corpo sia più confacente, più grande, più opportuna rispetto ad una mera educazione sessuale».
Il vostro manuale si propone di tradurre la complessa Teologia del Corpo di San Giovanni Paolo II in un linguaggio accessibile per adolescenti e giovani, specialmente per i formatori. Quali sono state le sfide maggiori in questo processo di semplificazione e quali strumenti o metodologie avete utilizzato per renderla concreta e applicabile nella pastorale giovanile?
Giovanna Valsecchi«Il nostro intento è stato quello di ripartire da quello che sono i giovani per ridonare loro una libertà autentica. Abbiamo cercato di renderla comprensibile e vicina alla vicariale degli adolescenti. Il target è quello del post-cresima. La difficoltà principale è stata quella di evitare di ridurne i concetti. Tradurla ha significato da una parte custodirne la profondità e dall’altra trovare parole ed espressione che permettano ai ragazzi di riconoscersi. Ci hanno accompagnato due rischi: utilizzare un linguaggio troppo astratto e distante dal loro vissuto, e scendere ad una comunicazione moralistica perdendo la ricchezza teologica. Per superarli siamo partiti dall’esperienza, dalle domande vere dei giovani ed in questo le nostre professioni ci aiutano. Poi abbiamo integrato antropologia, teologia ed anche un pizzico di psicologia. Infine suggerire piste e pratiche per un’educazione affettiva; anche agli educatori. Da qui un itinerario che prevede una serie di tappe che coprono l’anno catechetico.
Il cammino proposto parte dall’identità – chi sono io? – e arriva alla vocazione all’amore come dono di sé.
Le nove tappe – molto pratiche – vogliono essere un po’ una mappa, non un contenitore di norme ma un invito a scoprire che la nostra fede – come consegnata da Giovanni Paolo II – è un’esperienza intima ed universale della totalità della vita».