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19 Maggio 2021
Ultima modifica: 24 Gennaio 2023 ore 21:41

Una serra per sconfiggere la fame

È un'invenzione che potrebbe risolvere l'insicurezza alimentare in alcuni Paesi aridi. Fresca al suo interno, funziona con vento, sole e acqua di mare.
Una serra per sconfiggere la fame
Foto di Seawater Greenhouse Ltd
Racconto dalle missioni.
Con temperature estive che superano i 40° C, l’arida regione costiera del Somaliland è l'ultimo posto in cui ti aspetteresti di vedere un’enorme serra. Eppure c’è ed è piena di pomodori e altre verdure. Semplici reti ombreggianti, acqua di mare e un pizzico di scienza sono gli ingredienti che hanno reso possibile questa magia: coltivare ortaggi e piante dove sembrava impossibile riuscirci.
Solo l’1,8% del terreno in Somaliland viene coltivato a causa del caldo torrido e della scarsità idrica. Con Eritrea, Etiopia e Somalia, il Somaliland fa parte del Corno d’Africa, centro mondiale dell'insicurezza idrica e di conseguenza anche punto nevralgico dell'insicurezza alimentare.

La serra che raffredda l'ambiente

A rendere possibile quell’orto lussureggiante nel Somaliland è una serra che funziona all’incontrario: invece di trattenere il calore, imprigiona l’umidità e raffredda l’aria usando l’acqua di mare e il vento. La serra è lunga 100 metri e larga altri 100; le pareti sono pannelli costituiti da strati di cartone ondulato, con una particolare configurazione incrociata, continuamente irrorato con acqua proveniente dal mare. Il vento entra attraverso i fori del cartone e il calore dell’aria viene assorbito dall’acqua: ogni parete fornisce una vasta area per l'evaporazione dell'acqua di mare che scorre verso il basso. Alcuni pannelli solari forniscono l’energia necessaria per la pompa che porta l’acqua dal mare alla serra e che irrora le pareti di cartone.
 
Progettate e costruite dalla società britannica Seawater Greenhouse Ltd, le serre ad acqua marina sfruttano il principio del “raffreddamento evaporativo” e permettono di coltivare ortaggi e piante in regioni costiere calde, zone in cui altrimenti sarebbe impossibile sviluppare l’agricoltura.
Charlie Paton, fondatore e direttore dell'azienda, è l’ingegnere che ha sviluppato questa innovativa soluzione e ha lavorato per migliorarla negli ultimi 25 anni.
Inizialmente la tecnologia delle serre ad acqua marina è stata utilizzata in Paesi caldi che si potevano permettere l’investimento cospicuo necessario per i particolari materiali impiegati.
Il primo progetto risale al 1992 sull’isola di Tenerife, poi nel 2000 è stata progettata ed eretta una serra ad acqua marina sull’isola di Al-Aryam negli Emirati Arabi e nel 2004 è stata costruita una serra nell’Oman. Nel 2010 un investitore ha incaricato la Seawater Greenhouse di avviare un progetto in Australia con l'obiettivo di coltivare pomodori. La struttura pilota era di 2mila metri quadrati e ora, di proprietà della società locale Sundrop Farms, copre 20 ettari: qui si produce il 15% di tutti i pomodori australiani: 15mila tonnellate l’anno.

Un rimedio contro la povertà

A quel punto la serra poteva diventare una gallina dalle uova d’oro, ma Paton decide di portare il suo progetto in Africa. Perché?
«Trovo davvero interessante affrontare le sfide» spiega l’inventore delle serre in un’intervista alla BBC. «Per un motivo o per l'altro, molte persone dalla Somalia sono venute a chiedermi: che ne dici di lavorare in Somaliland? La risposta breve poteva essere: no, non è possibile, è troppo difficile e costoso e complesso. Ma questa richiesta mi ha fatto pensare: come potremmo semplificarlo e renderlo meno costoso? Così insieme ai colleghi dell'Aston University abbiamo sviluppato una versione semplificata e a basso costo della serra ad acqua di mare».
Invece dei ventilatori, costosi e ingordi di elettricità, sono stati sviluppate pareti di cartone che imbrigliano e incanalano i venti costieri. C’è voluto un anno di modelli matematici che hanno studiato i venti in Somaliland per arrivare a un progetto più semplice: invece di costare milioni di dollari come le precedenti che aveva costruito, la serra in Somaliland costa solo 200mila dollari. Facendo un paio di calcoli, per riuscire a dare ai 4 milioni di abitanti del Somaliland i 400 grammi giornalieri di frutta e verdura che l’OMS stima essere il requisito minimo per la salute, basterebbe costruire serre su 2000 ettari. Costo totale: 400 milioni di dollari. Vi sembrano troppi soldi?
«Se non sbaglio, gli aiuti stanziati lo scorso anno per l'Africa subsahariana sono stati di 45 miliardi di dollari» afferma Paton. Destinando una piccola percentuale di questi aiuti per la costruzione di altre serre come quella in Somaliland, alcune zone del Corno d’Africa risolverebbero il problema alimentare.

Le sfide da affrontare

Quindi basta trovare i fondi necessari ed è tutto risolto? Non proprio.
«La sfida più grossa – spiega Paton – è convincere le persone a coltivare ortaggi. L'agricoltura è qualcosa che di solito produce uno scarso rendimento e culturalmente è guardato dall'alto in basso dagli uomini somali. Dobbiamo cambiare questa mentalità dimostrando che se ne può trarre profitto».
La serra è un progetto conosciuto sul territorio e vengono invitati regolarmente alcuni gruppi di universitari per far conoscere il progetto e le sue potenzialità.
Potrebbero volerci anni per trovare i fondi e per cambiare la mentalità della gente, ma il risultato che si potrebbe raggiungere è troppo importante per rinunciarvi.
La serra in Somaliland è progetto pilota che vanta importanti primati: è la prima serra raffreddata e gestita con acqua di mare nel Corno d'Africa; è il primo impianto di dissalazione solare nella regione e potrebbe portare all’autosufficienza alimentare la popolazione di quelle aride regioni. Tante sono le sfide da affrontare: facendo una donazione o condividendo questa storia, si può fare molto per portare avanti questa visione del mondo, dove persone e natura sono uniti per il benessere di tutti.