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24 Luglio 2023
Ultima modifica: 24 Luglio 2023 ore 09:07

Zuppi rilancia il Codice di Camaldoli

Ottant'anni dopo «la nostra democrazia è fragile e la pace nuovamente in pericolo»
Zuppi rilancia il Codice di Camaldoli
Foto di UFFICIO STAMPA QUIRINALE/ FRANCESCO AMMENDOLA
Nell'anniversario dell'evento in cui giovani intellettuali cattolici si ritrovarono nel monastero benedettino per riflettere sui fondamenti dell'ordinamento sociale, il presidente della CEI denuncia la frattura tra cultura e politica e pronuncia una «chiamata alla responsabilità», aggiungendo: «siamo disponibili ad aiutare iniziative di questo tipo».
Ottant’anni dopo lo scenario è completamento diverso, anche se non mancano analogie. Allora si trattava di ricostruire su nuove basi la convivenza civile dopo l’esperienza del totalitarismo fascista che aveva trascinato l’Italia in una guerra altamente distruttiva. Oggi non ci sono macerie materiali ma c’è comunque l’esigenza di ricostruire, a partire dalla cultura, perché la nostra democrazia è fragile e la pace nuovamente in pericolo.
Pronunciando la prolusione di apertura del convegno sul Codice di Camaldoli, il 21 luglio, il cardinale Matteo Zuppi non si è limitato a rievocare nostalgicamente quell’evento che tanta influenza ebbe sulla storia successiva, ma ha delineato le sfide che oggi provocano i cattolici nel nuovo contesto storico.

Cos’è il Codice di Camaldoli

Innanzitutto: di cosa si parla quando si evoca il Codice di Camaldoli?
Dal 18 al 24 luglio 1943 un gruppo di giovani intellettuali cattolici si ritrovò nel monastero benedettino in mezzo ai boschi del Casentino per riflettere sui principi che reggono l’ordinamento sociale, per immaginare una convivenza civile, uno Stato, un’economia fondata sulla dottrina sociale della Chiesa.
«La visione di Camaldoli aiutò a preparare quell’inchiostro con cui venne scritta la Costituzione, frutto di idealità ma anche di capacità di confronto, visione, consapevolezza dei valori della persona, giustizia, libertà, solidarietà». L’osservazione storica consente a Zuppi di esprimere il primo fondamentale giudizio: «La presenza politica, che avrebbe segnato la ricostruzione e decenni successivi, rinasceva dal grembo della cultura. Uno dei problemi di oggi è invece proprio il divorzio tra cultura e politica, non solo per i cattolici, consumatosi negli ultimi decenni del Novecento, con il risultato di una politica epidermica, a volte ignorante, del giorno per giorno, con poche visioni, segnata da interessi modesti ma molto enfatizzati».
Per rilanciare la politica su basi nuove occorre ripartire dalla cultura. «L’esperienza insegna che il lavoro culturale, anche indipendente dalla politica, è fondamentale. Oggi ce n’è un grande bisogno per sfidare la politica a guardare lontano con visioni e pensieri lunghi».
Zuppi è il capo dei vescovi italiani e non si limita a lanciare provocazioni: «siamo disponibili ad aiutare iniziative di questo tipo».

Democrazie fragili, un pericolo per la pace 

L’altra attualizzazione del Codice di Camaldoli è sui temi della pace e della democrazia. Il convegno del 1943 era frutto dell’insegnamento di Pio XII.  «Il Papa – ricorda Zuppi – saldò strettamente l’urgenza della pace e la scelta per la democrazia. Aiutare l’una rafforzava l’altra. E dovremmo ricordarci che l’infiacchimento della democrazia è sempre un cattivo presagio per la pace».
Dopo quello per la cultura, un altro compito che il cardinale indica ai cattolici: «Oggi la democrazia appare infragilita e in ritirata nel mondo. Ecco un campo cui i cristiani devono applicarsi, interrogandosi su come deve essere la democrazia nel XXI secolo, vivere quell’amore politico senza il quale la politica si trasforma o si degenera».
Dal pontefice di allora a quello attuale il passo è immediato: «Francesco insiste sulla pace anche quando sembra difficile o sulla fraternità anche quando dilaga l’estraneità. L’insistenza sugli obiettivi massimi sfida il senso comune che, insegna Manzoni, resta nemico del buon senso. Francesco mostra che “il realismo della speranza” muove assai di più di tante valutazioni. E non si può parlare di pace senza parlare della giustizia! Cercare la pace è compromettersi per trovare la giustizia».

I cristiani europei tornino a confrontarsi

Lo sguardo del cardinale Zuppi non è limitato all’Italia ma si estende all’Europa. La sua proposta è suggestiva e tiene conto di tutte le insoddisfazioni che l’attuale condizione dell’Europa, nei suoi assetti istituzionali e politici, suscita fra i credenti: «Sarebbe importante una Camaldoli europea, con partecipanti da tutt’Europa, per parlare di democrazia e Europa. I padri fondatori hanno avuto coraggio, rompendo con le consolidate logiche nazionalistiche e creando una realtà mai vista né in Europa né altrove. Nella pace e per preparare la pace bisognava rendere solidali le democrazie. Sarebbe importante che i cristiani europei tornassero a confrontarsi perché l’Europa cresca, ritrovi le sue radici e la sua anima, si doti di strumenti adeguati alle sfide».
Su quali gambe possono camminare queste idee? Zuppi osserva: «Pio XII è stato all’origine del Codice di Camaldoli, ma la DC è stata fondata da De Gasperi». È un invito alla responsabilità dei laici ma non è una ritirata della Chiesa in quanto tale, la quale invece «è attenta a ciò che avviene sul piano politico e sa riconoscere ciò che ha valore e ciò che non lo ha». Gli esempi che porta sono eloquenti: l’epocale questione dei migranti, una politica di sostegno della natalità e di difesa della vita, con la consapevolezza che i principi e le posizioni che propongono i cristiani non esprimono l’interesse della Chiesa, ma il bene di tutti.
«Si parla di irrilevanza dei cattolici nella politica italiana – osserva il cardinale facendo riferimento ad un ricorrente e a volte stantio dibattito italiano –. L’irrilevanza è non fermarsi accanto all’uomo mezzo morto della parabola del buon Samaritano, nella via tra Gerico e Gerusalemme».
La conclusione è un invito – come direbbe Francesco – a non stare sul balcone ad osservare. «Una ripartenza? Certo, non si può restare inerti. Non si può restare chiusi nel proprio “io”: bisogna avere il coraggio del noi! Fosse un “noi” che discute, diverge, ascolta, propone. Siamo, come allora, travolti dalla tempesta della guerra. Nessuno può dire che non ci riguarda. (…) Tornare a Camaldoli, allora, è un bisogno e una chiamata alla responsabilità: per guardare lontano e non essere prigionieri del presente».
 
Il testo completo della Prolusione