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21 Ottobre 2023
Ultima modifica: 21 Ottobre 2023 ore 15:52

La guerra si estenderà al Libano?

Tensione crescente fra i profughi un Paese al collasso, il racconto.
La guerra si estenderà al Libano?
Foto di Archivio Operazione Colomba
Ci sono persone in fuga che rischiano di fuggire da due guerre. Dalla Siria prima, dal Libano poi. Per ora non ci sono evidenze di un allargarsi del conflitto, eppure la tensione fra gli estremisti filo-palestinesi ed Israele preoccupa. Intanto nel Paese per molte persone la situazione è insostenibile; i volontari di Operazione Colomba hanno scelto di non abbandonarle. A Gaza bombe anche sulle Ong e sulla Caritas.
Nel buio della notte medio-orientale, si susseguono attacchi da parte di Hezbollah, l'organizzazione politica e militare sciita filo-iraniana, dal territorio del Libano contro Israele: razzi e missili continuano a raggiungere postazioni dell'esercito israeliano al confine. È documentata la morte di un soldato israeliano e il ferimento di altri quattro. In risposta, Israele continua a colpire le postazioni di Hezbollah nel Sud del Libano. Da vedere se si fermerà qui.

La nazione, prevalentemente musulmana ma con una significativa minoranza cristiana, sta ancora cercando di riprendersi da decenni di instabilità, conflitti e violenza. Nel Paese convivono sunniti e sciiti, cristiani maroniti e ortodossi e una piccola comunità drusa. L'economia libanese è in crisi, con una disoccupazione elevata, una moneta deprezzata e un debito pubblico insostenibile.

I Siriani in Libano: Paura, Conflitto e Speranza

Nel cuore del Medio Oriente, il Libano è attualmente al centro di una crisi umanitaria senza precedenti. Ospitando un numero sproporzionato di rifugiati siriani rispetto alla sua popolazione, il paese è alle prese con tensioni interne crescenti e la costante paura di un allargamento del conflitto con Israele. Secondo l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), sarebbero meno di un milione i siriani fuggiti nel Paese, ma le autorità libanesi ne contano almeno 1 milione e mezzo, ai quali vanno aggiunti circa 400.000 rifugiati palestinesi e circa 18.000 di altre nazionalità, arrivando a 2 milioni di rifugiati su una popolazione di circa 7 milioni di persone).

Il conflitto israelo-libanese, che si sta intensificando, ha innescato un clima di terrore tra i rifugiati siriani. Le notizie di possibili ulteriori attacchi dal Libano verso Israele e le conseguenti risposte militari israeliane hanno alimentato l'incertezza e la paura tra le persone più vulnerabili. La possibilità di un'escalation del conflitto rappresenta un'ombra cupa che minaccia la sicurezza e la stabilità della regione.

Paola Fracella, referente per il Libano di Operazione Colomba, è tornata da poco dal Nord del Paese, dove ha verificato la situazione nel campo profughi in cui vivono i volontari dell'organizzazione. Qui la tensione è palpabile, racconta: «Nonostante la situazione molto instabile, il progetto resterà aperto — spiega Paola — e i volontari sono in continuo contatto con l'Italia per monitorare la situazione». L'organizzazione è presente in un campo profughi libanese dal 2013.

I volontari svolgono un lavoro quotidiano fra la gente: accompagnano gli sfollati siriani come protezione per i posti di blocco militari, durante le visite mediche, aiutano le persone ad accedere ai servizi di base. Operazione Colomba cerca di mettere i rifugiati in contatto con le ONG, anche se le loro risorse sono sempre più limitate a causa dei tagli ai finanziamenti. «Lavoriamo principalmente con i rifugiati siriani — spiega Paola —, che vivono in condizioni di estrema vulnerabilità, subendo violazioni di tutti i tipi».
 


Racconta ancora: «Il paese è in una condizione disastrosa, con povertà diffusa e inflazione alle stelle. La paura di una guerra con Israele è costantemente presente, una possibilità che potrebbe diventare realtà da un giorno all'altro».

I rifugiati siriani vivono sotto pressione da parte del Governo libanese che per tornare in Siria: «L'intolleranza dei libanesi verso i siriani è in aumento; la gente che vive da anni nei campi profughi subisce raid, aggressioni, e anche deportazioni illegali ed arbitrarie dal libano verso la Siria. La legge dice che possono essere trasferite le persone arrivate dall'aprile del 2019, ma in realtà nessuno controlla. Anche perché sono pochissimi i rifugiati ad avere i documenti in regola; e con le ultime azioni del Governo avere un permesso di soggiorno è praticamente impossibile. Del resto il rientro in Siria è impossibile, soprattutto per coloro che sono fuggiti dalla guerra e che sarebbero considerati traditori e terroristi».

Per i bambini siriani la scuola non c'è

E come si vive in un campo profughi? «L'accesso all'istruzione per i bambini non è garantito e non si intravede la fine di questa crisi». Continua Paola: «I bambini siriani dovrebbero andare a scuola nel pomeriggio, mentre quelli libenesi alla mattina. Ma questo sistema non ha mai funzionato bene, perché gli insegnanti non vengono pagati. Per i siriani quest'anno la scuola non è ancora iniziata. Anche la situazione sanitaria è particolarmente critica, con un sistema sanitario privato che rende quasi impossibile curarsi».


Nonostante la situazione critica, i volontari di Operazione Colomba restano sul campo, alternandosi per garantire una presenza costante. Spiega Matteo Fadda, Presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII a cui Operazione Colomba afferisce: «La loro presenza è indispensabile: i rifugiati ci chiedono di non essere lasciati soli, e vivono nella paura costante di essere dimenticati».


La speranza di tutti è di poter lasciare il Libano attraverso i corridoi umanitari, perché fare una vita dignitosa in Libano è quasi impossibile.

Con Israele è guerra continua

Il Libano ha una lunga storia di tensioni con il suo vicino meridionale, Israele. Le due nazioni sono state coinvolte in una serie di conflitti, il più recente dei quali è stato nel 2006, quando il partito politico e gruppo militante libanese Hezbollah ha lanciato attacchi cui si è visto rispondere con vaste operazioni militari nel Libano meridionale.  I Paesi vicini hanno preso posizioni diverse a seconda dei loro interessi geopolitici. Iran e Turchia hanno sostenuto Hezbollah; l'Arabia Saudita e altri stati del Golfo hanno espresso preoccupazione per l'influenza iraniana.

Cosa sta accadendo intanto a Gaza

Intanto la situazione umanitaria nella Striscia di Gaza sta peggiorando costantemente, con un crescente numero di vittime e distruzione delle infrastrutture essenziali. Secondo i dati forniti dall'Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA), dal 7 ottobre al 20 ottobre, la violenza ha causato la morte di 3.785 persone e il ferimento di altre 12.500.
Palazzi distrutti dalle bombe nella striscia di Gaza
Ottobre 2023, rappresaglia israeliana in risposta agli attacchi di Hamas.

La Protezione Civile Palestinese ha riferito che 47 famiglie sono state completamente cancellate dai registri amministrativi, mentre almeno 320 famiglie hanno perso tra 2 e 5 membri, 85 tra 6 e 9, e 79 dieci o più. Questa devastante perdita di vite umane ha un impatto tremendo sulla salute mentale della popolazione, con circa 20.000 persone che necessitano di servizi specializzati di salute mentale.

La crisi sta colpendo duramente anche i pazienti con malattie croniche. Circa 9.000 malati di cancro dipendono dal trattamento chemioterapico per la loro sopravvivenza. Inoltre, 50.000 donne incinte non possono accedere alle cure prenatali.

Gli sfollamenti interni stanno raggiungendo livelli allarmanti, con l'UNRWA che riporta 527.500 minori sfollati e 500.000 strutture UNRWA distrutte o danneggiate. Attualmente, 66.311 sfollati sono ospitati in 148 rifugi, mentre molti altri restano sotto le macerie.

La situazione umanitaria si è ulteriormente aggravata con 1.400 morti israeliani e 4.692 feriti, anche in Cisgiordania e Gerusalemme. La settimana appena trascorsa è stata quella con il maggior numero di vittime registrate dal 2005.

«C'è un rischio imminente di morte o di epidemia di malattie infettive per la popolazione se non si consente immediatamente l'accesso all'acqua e al carburante nella Striscia di Gaza», è la denuncia di OCHA. Il personale medico, paramedico e umanitario a Gaza ha subito attacchi, con 59 medici feriti e 28 morti nell'Al Ahly Hospital. Mentre a Gaza City due ospedali, sei ambulatori e dieci furgoni medici sono stati distrutti.
 
Gli artefici di questa catastrofe umanitaria sono responsabili dell'impunità per i crimini di guerra commessi, tra c

Infine, la distruzione delle infrastrutture ha portato alla distruzione o al danneggiamento di 142.900 strutture abitative e 318 strutture educative. Tra queste, 20 scuole UNRWA - due delle quali utilizzate come rifugi temporanei - e 140 scuole amministrate dall'autorità palestinese. Inoltre, 11 moschee sono state distrutte, 7 chiese e numerose moschee danneggiate, e un'università distrutta. Anche 26 strutture sanitarie sono state danneggiate, inclusi 6 ospedali.

La crisi - riporta OCHA - nella striscia sta colpendo duramente anche il personale delle ONG. Dal 7 ottobre, almeno 15 membri dello staff UNRWA sono stati uccisi e uno dei palazzi che ospita gli uffici delle ONG, anche italiane, è stato colpito.

Alcuni operatori Caritas erano in un edificio che ospitava almeno 400 persone colpito dai razzi di Israele: «Al momento in cui scriviamo il bilancio ammonta a 11 morti, con decine di altri feriti. Purtroppo, si prevede che nel corso delle ore i numeri aumenteranno. I nostri cuori sono vicini a tutti coloro che sono stati colpiti da questo devastante attacco».