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31 Agosto 2023
Ultima modifica: 31 Agosto 2023 ore 10:05

La gestione delle migrazioni è un fallimento

"Aiutiamoli a casa loro" richiede investimenti, percorsi migratori legali e volontà politica
La gestione delle migrazioni è un fallimento
Foto di Resq Saving People
Gli sbarchi nel Bel Paese sono più che raddoppiati rispetto all'anno scorso, con oltre 70.000 persone arrivate nel 2023: la politica dei respingimenti mostra le sue fragilità. Intanto le prefetture si affannano per distribuirli su tutto il territorio italiano.
Talvolta certi dati sono più illuminanti di mille considerazioni. Prendiamo quelli ufficiali del Viminale. Il quadro, aggiornato al 12 luglio, è il seguente: gli sbarchi nel 2023 sono già arrivati alla cifra di 73.414 persone; alla stessa data nel 2022 erano state 31.333, ossia più che raddoppiati; gli arrivi dalla Tunisia hanno ormai largamente superato quelli dalla Libia.

Accostiamo a questi dati alcuni altri: secondo l’Oim (Organizzazione Internazionale delle Migrazioni) le vittime nel Mediterraneo accertate di questa prima metà dell’anno sono 1.300, il numero più elevato dal 2017; mentre confrontando due periodi analoghi (dal 22 ottobre al 10 luglio del 2022-2023 sul 2021-2022), secondo l’Ispi, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, la percentuale dei naufraghi migranti soccorsi e salvati dalle Ong del mare sono crollati: siamo passati dal 17,9% al 7,4%.

È un dato spiegabile, se si pensa al numero decisamente più elevato di partenze dalle coste nord africane da un lato e agli ostacoli frapposti dal Governo italiano alle navi della flotta umanitaria (il Decreto Piantedosi che limita gli interventi di soccorso e l’assegnazione di porti lontani per lo sbarco dei migranti, che “tengono lontane” a lungo le navi di soccorso umanitario dall’area di Mediterraneo dove avviene il maggior numero di naufragi).

È un quadro drammatico, quello disegnato da queste poche cifre. Che consente alcune considerazioni.


La prima: la strategia del Governo di frenare le partenze è fallita. Non ci voleva un mago per prevederlo: fare accordi con Paesi come la Libia e la Tunisia, a suon di quattrini e di motovedette regalate, non porta i frutti sperati (sperati dal Governo stesso, s’intende; giusto per chiarezza, “frenare le partenze” cercando di bloccare i migranti in Paesi che violano in tutti i modi i diritti umani va considerata una scelta aberrante). Come si è sempre detto, perlomeno da parte delle organizzazioni della flotta civile e di tanta parte della società civile, gli unici modi seri di evitare i disperati viaggi della speranza attraverso il mare sono creare percorsi legali di ingresso e, soprattutto, intervenire sui Paesi di partenza cercando di eliminare le ragioni che spingono le persone a partire (ma questo, naturalmente, implicherebbe una gigantesca azione di cooperazione e di investimenti nei Paesi poveri, che nessun singolo Paese ricco da solo è in grado di fare).

Questa considerazione generale andava fatta, ma nell’attualità di questo periodo ci sono altre questioni che i dati ci palesano.

I morti in mare aumentano. Frenare, ostacolare, criminalizzare l’azione di soccorso delle organizzazioni umanitarie produce anche questo effetto: le navi per salvare chi è in pericolo non ci sono, o quanto meno non ci sono abbastanza. Quella governativa è una strategia che produce vittime innocenti.

Tuttavia, a fronte di questa ecatombe di vite umane (se guardiamo al numero accertato dal 2014 siamo a oltre 27 mila morti in mare), la strategia del Governo, per nulla diversa da quelli che l’hanno preceduto, è di stringere patti scellerati con Paesi che commettono abusi di tutti i generi sui migranti e di fermare, ostacolare, allontanare dai luoghi del naufragi le navi soccorso (e va ricordato che molte navi mercantili già da tempo hanno deviato le loro rotte per evitare il “rischio” di incappare in qualche naufragio e di dover quindi intervenire - perché, appunto, soccorrere chi è in pericolo in mare è un dovere, da parte degli Stati e da parte di ogni singolo comandante che si trovi a navigare nei pressi di una imbarcazione in pericolo).

Perchè queste scelte? Due ipotesi

Una domanda sorge inevitabile: perché? Per quale ragione, se la volontà del Governo è frenare il flusso migratorio attraverso il Mediterraneo, si accanisce invece con chi soccorre e salva chi rischia di annegare? La faccenda risulta tanto più incomprensibile guardando i numeri citati sopra: le Ong del mare quest’anno sono intervenute su una cifra estremamente esigua (il 7,4%) dei migranti nel Mediterraneo, cioè quelli che si trovavano in imminente pericolo.

Ci sono due ipotesi possibili, per rispondere a questa apparente contraddizione.

La prima è che occorre mostrare agli elettori che si “mantengono le promesse”: dopo aver lungamente attaccato ad alzo zero le navi della flotta civile indicandole come responsabili dell’“invasione”, è necessario far vedere che si cerca di ridurre quanto più possibile la loro azione.

La nave RESQ al varo
La nave, battente bandiera tedesca, varata dalla onlus italiana RESQ People Saving People
Foto di RESQ
La seconda spiegazione, plausibile e non alternativa alla prima, è che l’ostracismo verso le Ong vada perpetrato fino a renderle “inoffensive”, fino a farne smettere l’attività, perché quella presenza in mezzo al Mediterraneo è scomoda. I soccorritori sono testimoni di quello che accade nel mare; sono testimoni delle catture illegali da parte delle motovedette della cosiddetta Guardia costiera libica; sono testimoni dei naufragi, di cui spesso non verremmo a sapere nulla. I soccorritori della flotta civile sono infine la voce in grado di raccontare cosa accade nei lager libici e nelle cacce all’uomo nero tunisine. È difficile immaginare altre spiegazioni sensate a un’attività di criminalizzazione e di denigrazione tanto pervicaci e aggressive. Ma sono spiegazioni che fanno inorridire.